La vicepresidente argentina Cristina Fernández del Kirchner cerca di rimandare il pagamento del debito con il Fmi (di 44 miliardi di dollari). Il Paese sudamericano barcolla tra gli effetti della crisi sanitaria, recessione, inflazione e l’esodo di molte imprese straniere. E la politica paternalista – in vista delle elezioni ad autunno – non aiuta
L’Argentina ci prova. Il vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner cerca di posticipare l’accordo con il Fondo Monetario Internazionale con la scusa della pandemia. Secondo il Financial Times, l’intesa sul debito da 44 miliardi di dollari comporterebbe misure e tagli alla spesa pubblica che rischiano di pesare sull’elettorato, a pochi mesi dalle elezioni legislative del 24 ottobre.
Il ministero delle Finanze ha detto di volere concludere i negoziati entro maggio, ma alcuni settori del governo vogliono una proroga. “Cristina Fernández de Kirchner vuole chiudere un accordo con il FMI dopo la pandemia […] Non è molto serio fare un accordo economico in un momento in cui non si sa se l’economia [dell’Argentina] rimarrà aperta o chiusa […] Siamo in emergenza [in Argentina]. Non affrettiamoci”, ha detto la fonte al Financial Times.
L’Argentina dovrà rimborsare gran parte del debito tra il 2022 e il 2023, ma l’economia argentina è stata duramente colpita dalla crisi sanitaria, contraendosi del 10% lo scorso anno (è il terzo anno di recessione). Il Paese sudamericano è il più grande debitore del Fmi ed è noto per le cicliche e ripetute crisi economiche.
Analisti di Wall Street si dividono tra il disinteresse e il pessimismo per quanto riguarda il futuro finanziario dell’Argentina. Quest’anno si prevede che l’inflazione salga effettivamente dal 50 al 60%, mentre il governo insiste (con ottimismo) di contenerla al 29%.
Per JP Morgan l’economia argentina crescerà del 5,8% nel 2021, anche più delle previsioni del governo, che spera nel 5,5%, mentre il Fmi calcola il 4,5%. Tuttavia, per fare fronte alla pandemia e gli effetti economici del lockdown, l’Argentina ha dovuto aumentare molto il deficit e indebitarsi ancora per continuare a stampare moneta. Mentre continua lesodo di imprese straniere. Circa 16 società hanno chiuso le loro attività in Argentina: da Norwegian ed Emirates a Falabella e Walmart.
L’economista Martín Calveira, ricercatore del IAE Business School dell’Università Austral, ha dichiarato all’agenzia Efe che per il 2021 è fondamentale stabilizzare la crisi sanitaria e modificare la prospettiva della politica fiscale sui prezzi e i cambi valutari, in un contesto dove il 44,2% degli argentini viva sotto la soglia di povertà. Se la crisi legata al Covid-19 non migliora – o addirittura peggiora -, l’Argentina dovrà continuare a stampare denaro e questo potrebbe aumentare la richiesta di dollari e il divario tra l’indice cambiario ufficiale e quelli alternativi. Un panorama complesso “condito” con il taglio fiscale, sempre difficile negli anni elettorali in Argentina.
Diego Ferro, presidente del fondo M2M Capital, è meno ottimista. L’esperto ha spiegato al sito Infobae che per i politici argentini è più facile “raddoppiare l’errore che pagare il costo di cominciare a fare le cose bene. Non esiste una leadership […] Se arrivasse una leadership la crisi potrebbe rientrare. Ma se si continua la politica del sussidio, si seguirà la rotta del Venezuela, e sappiamo com’è andata. L’Argentina è entrata in un circolo vizioso pericoloso, in cui le misure sbagliate sono politicamente giuste ma nel breve periodo”.
Un esempio è la misura eseguita da Martín Guzmán con l’indice cambiario quando il dollaro è arrivato a 200 pesos. Il ministro ha aggiunto una correzione fiscale aggressiva che è stata subito frenata da Fernández de Kirchner. Che si è anche opposta all’aumento delle tariffe dei servizi pubblici del 40% proposto dal ministro. La linea economica dell’ex presidente dunque è subordinata all’agenda elettorale e non alla situazione finanziaria del Paese, già abbastanza difficile.