Un mea culpa per gli anni persi, un piano d’azione per recuperarli. L’inviato speciale per il Clima di Joe Biden, John Kerry, svela la road map americana per arrivare alla Cop26 di Italia e Uk. Obiettivo zero emissioni, e con la Cina si riapre un dialogo (condizionato)
America is back, ha detto Joe Biden appena insediatosi alla Casa Bianca. L’America è tornata ai tavoli internazionali e al timone delle democrazie occidentali lì dove Donald Trump aveva abbandonato la nave.
A cominciare dal Clima. Questo venerdì Biden ha annunciato il rientro ufficiale degli Stati Uniti negli Accordi di Parigi. Alla guida del dossier c’è John Kerry, ex Segretario di Stato, ora “Inviato speciale per il Clima” all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Intervenuto alla Munich Security Conference, kermesse che questo venerdì ha ospitato leader mondiali come Biden, Emmanuel Macron, la cancelliera Angela Merkel, il premier Boris Johnson, il direttore dell’OMS Ghebreyesus, il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e quello della NATO Jens Stoltenberg, Kerry ha detto che la questione climatica è “moltiplicatrice di pericoli”, e pertanto va trattata sotto il profilo della sicurezza, con la massima urgenza. “Quando parliamo dell’impatto del cambiamento climatico, stiamo parlando di sicurezza, sicurezza energetica, economica, alimentare, addirittura fisica”.
Il riscaldamento della temperatura terrestre, ha ribadito l’inviato di Biden, è direttamente correlato a evacuazioni e migrazioni di massa, conflitti e crisi umanitarie. Gli eventi climatici estremi aumentano a causa della destabilizzazione degli equilibri del pianeta (ne sono la dimostrazione l’aumento di frequenza e intensità di incendi, uragani e gelate). Questi, uniti al lento innalzarsi della temperatura media (e del livello delle acque), hanno conseguenze devastanti sui popoli che dipendono dalla terra.
“Quando da qualche parte nel mondo le tensioni sono già alte e le risorse scarseggiano sempre più, i tizzoni del conflitto, semplicemente, bruciano maggiormente”, ha detto Kerry durante il suo intervento. “E quando i contadini non possono più guadagnarsi da vivere perchè il clima è così estremo e imprevedibile, diventano sempre più disperati. Secondo alcuni studi, centinaia di milioni saranno costretti ad abbandonare le loro case. Se [la crisi climatica] non è gestita bene, può letteralmente destabilizzare Paesi, case, la pace e la stabilità”.
Lo zar del clima ha poi ripercorso le tappe necessarie per contenere il riscaldamento globale entro +1,5°, il “numero magico” indicato dagli scienziati per evitare gli scenari più catastrofici. I Paesi devono già aver fatto progressi significativi nel 2030, “quindi siamo assolutamente, chiaramente, indiscutibilmente nella decade decisiva… conterà quello che faranno le persone nei prossimi 10 anni”.
Il messaggio è: occorre più l’ambizione. Dopo essersi battuto il pugno sul petto a nome dell’America (“la nostra assenza degli scorsi tre anni [nella battaglia contro il cambiamento climatico] non è scusabile”), Kerry ha chiesto alle nazioni all’ascolto di alzare il tiro con obiettivi climatici più stringenti e soprattutto implementarli. La conferenza sul clima di aprile voluta da Biden, ha detto, deve essere un momento di confronto per poter arrivare alla COP26 di Glasgow, a novembre, con in mano risultati concreti.
Dopo la carriera militare e gli studi in giurisprudenza, Kerry fu candidato presidenziale per i Democratici nel 2004 e perse contro George W. Bush. Ha poi diretto la commissione esteri del Senato per quattro anni, prima di servire come Segretario di Stato. Fu lui a firmare per l’ingresso dell’America negli accordi di Parigi del 2015. La sua nomina a zar del clima è dunque una sorta di rivalsa personale. Conquistata non senza qualche resistenza all’interno del partito.
Diciassette anni dopo si trova alla guida di una partita fra le più sensibili. Che, ha ribadito Kerry ospite di un incontro a Villa Firenze, sede dell’ambasciata italiana, va giocata ritornando al dialogo anch con un rivale strategico come la Cina. “Non ci sono scuse che tengano. Il fallimento non è davvero un’opzione se vogliamo consegnare la Terra alle future generazioni nello stato in cui deve essere”.