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Tutte le proposte di Roberto Cingolani, nuovo super-ministro per la transizione ecologica

Guiderà il ministero “chiave” del nuovo governo, che ne ha permesso la nascita: Beppe Grillo ha lanciato sul suo blog la proposta di un super-ministero della transizione ecologica. Cingolani ha già in mente cosa serve al Paese per sfruttare al meglio l’occasione del Recovery Fund. Qui tutte le sue idee

Roberto Cingolani, 59 anni, sarà ministro per la transizione ecologica. Cresciuto a Bari, dove si è laureato in Fisica, nel 2005 fonda l’Istituto Italiano di tecnologia, di cui è stato direttore scientifico per 14 anni. Dal 2019 è Chief Technology & Innovation Officer di Leonardo, e conta esperienze nei maggiori centri di ricerca in Usa, Giappone e Germania.

È stato insignito dei titoli di Alfiere del Lavoro nel 1981 e di Commendatore della Repubblica Italiana nel 2006. È autore o co-autore di oltre 1000 pubblicazioni su riviste internazionali e ha al suo attivo oltre 100 brevetti.

Nel 2000 è nominato Professore Ordinario di Fisica Sperimentale all’Università di Lecce. Nel 2001 fonda e dirige il National Nanotechnology Laboratory (NNL) dell’INFM a Lecce.

Guiderà il ministero “chiave” del nuovo governo, o almeno quello che ne ha permesso la nascita: Beppe Grillo ha lanciato sul suo blog l’idea di un Super-Ministero della transizione ecologica sull’onda di quelli che già sono stati istituiti in Francia, Spagna, Svizzera e Costarica. La consultazione su Rousseau degli iscritti al Movimento 5 Stelle ha avuto come tema principale proprio la nascita di questo ministero, considerata vera conquista da parte dei grillini. Conquista solo ideale, visto che il ruolo è andato a un nome tecnico, anzi tecnologico.

Nelle audizioni alla Camera dei giorni scorsi, Cingolani ha delineato il suo programma per l’innovazione da mettere in campo grazie ai fondi del Next Generation EU: intelligenza artificiale, cloud computing e materiali innovativi. Sono solo alcune delle tecnologie innovative trasversali, cioè in grado di applicarsi a una molteplicità di settori e, in definitiva, di sostenere il rilancio digitale, sicure e green.

Lo scorso ottobre ha scritto proprio per Formiche.net quello che oggi sembra il programma ideale del ministro:

“Digitalizzazione e formazione al cambiamento: da qui passa il rilancio del Paese. L’esigenza più forte è avere un’Italia digitale, immaginando un programma ambizioso dedicato per un terzo alle infrastrutture e per due terzi a grandi progetti di digitalizzazione. Significherebbe creare prima di tutto un’infrastruttura digitale completa, dal super-calcolo al cloud, dal 5G alla cyber-security, dall’applicazione dell’intelligenza artificiale alla manifattura fino alle reti.”

Altro passo necessario è il lancio di programmi innovativi, come la digitalizzazione della pubblica amministrazione o la sorveglianza delle infrastrutture (edifici, ponti o beni culturali) secondo il concetto di global monitoring surveillance in cui si integrano le reti di sensori, telecamere e satelliti, e si sfrutta la grande quantità di dati per verificare, ad esempio, lo stato di erosione delle coste o le condizioni dei siti archeologici. Per il settore aeronautico, la disponibilità di infrastrutture digitali permetterebbe progetti ambiziosi su simulazione, controllo e manutenzione predittiva, certificazione o digital twin per i motori.

Vista la trasversalità della digitalizzazione, ciò vale per ogni comparto, dall’automotive alla farmaceutica. Il tutto potrebbe avere una dotazione di 40 miliardi di euro, non perché bastino, ma perché sembra giusto dedicare il 20% dei 209 miliardi del Recovery fund a questa grande trasformazione. D’altra parte, si tratterebbe di un programma ben difendibile a livello europeo, con progetti strategici per la crescita del Paese che difficilmente incontrerebbero il “no” di Bruxelles.

La seconda grande sfida è nella riforma del comparto ricerca e istruzione, per cui il Recovery fund si presenta come una grande opportunità dedicata al capitale umano. Immaginiamo di poter realizzare con un colpo di bacchetta magica il piano di trasformazione digitale: dove troviamo gli sviluppatori? È come avere automobili da Formula 1 senza disporre dei piloti. È necessario dunque immaginare un piano che coinvolga le scuole e le università, abituando i più giovani ad avere dimestichezza con il linguaggio digitale sin da elementari e medie. Per l’università occorre guardare all’interdisciplinarietà. Serviranno ad esempio sempre più esperti di etica e sistemi regolatori per l’intelligenza artificiale: arrivano da ingegneria o da giurisprudenza? Probabilmente da tutte e due, ma oggi questo non è possibile.

Qui il resto delle proposte di Roberto Cingolani:

https://formiche.net/2020/10/recovery-fund-aerospazio-innovazione-cingolani/

 


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