Dopo essere stato visiting lecturer al dipartimento di scienze politiche del MIT e Marie Curie Fellow all’ECARES (Université Libre de Bruxelles), attualmente è professore associato in Economia politica all’Università di Pavia.
L’attuale crisi economica è una delle più gravi dall’Unità d’Italia ad oggi. Come districarsi in questa difficile situazione?
Esistono meccanismi di breve e lungo termine. Credo che una parte dell’accelerazione dell’andamento negativo sia dovuta al deterioramento della qualità dei politici, avvenuto soprattutto negli anni 2000, che ha “castizzato” il mestiere del politico.
Questo trend negativo porta, in termini economici, all’emergere della selezione avversa. Se la classe politica viene percepita come incompetente e inetta, le persone di qualità decideranno di non farne parte, perché ritengono di avere possibilità più stimolanti per la loro carriera.
Questa crisi aumenta le diseguaglianze sociali. Le politiche economiche messe in atto non sembrano aver realizzato i risultati sperati. Nel frattempo il debito pubblico aumenta e con esso anche le possibili tensioni sociali. Quali ingredienti possono essere utili per uscire da questa situazione?
Uno dei grandi problemi è il persistente del divario generazionale. Le statistiche antecedenti al lockdown indicavano che tra gli over 65 solamente 1 persona su 10 è considerata come povera, mentre nella fascia under 25 sale a 2 persone su 10.
Il welfare state in Italia è molto sbilanciato a favore delle pensioni. Chi è nato negli anni 50 ha beneficiato di decenni favorevoli, amplificati da itinerari di carriera piuttosto veloci. Quando sono arrivate le diverse crisi, per esempio nel ‘92, nel 2007 e l’attuale, i loro salari sono rimasti cristallizzati rispetto ai giovani che si accingevano ad entrare nel mercato del lavoro.
Non credi che soprattutto in questa fase ci siano delle politiche economiche troppo assistenzialiste?
Mi preme sottolineare che il debito non è di per sé cattivo. Gli interventi emergenziali realizzati finora erano necessari per sostenere le famiglie senza alcun risparmio. Uno dei problemi dei ristori è stato il loro allineamento all’andamento del reddito senza concentrarsi tuttavia sulla liquidità di famiglie e imprese.
Ad oggi si è fermato l’ascensore sociale. Si chiede di difendere una porzione della nostra società (gli anziani), facendo pagare la crisi ad alcune categorie che peraltro hanno ricevuto sostegni non all’altezza delle aspettative. Non credi che questo meccanismo vada ad allargare ancora di più un Paese già fragile?
Si, è molto probabile. Il sistema economico non fornisce redditi più elevati ai soggetti più produttivi, quindi il salario reale non cresce e l’ascensore sociale non sale. Inoltre, entra in gioco anche la contrattualistica aziendale. Se un’impresa è più produttiva rispetto ad un’altra vengono elargiti salari reali più elevati. Questo meccanismo ha consentito alla Germania di non essere più considerata la malata d’Europa, non tanto grazie alle riforme Hartz (attraverso i mini job) ma, appunto, alla contrattazione aziendale.
I corpi intermedi sono molto deboli. Insieme a loro anche la classe politica. Ritieni che questa situazione possa rendere il nostro Paese sempre meno rilevante?
Credo di no. L’Italia ha sempre mostrato una certa abilità ad accelerare soprattutto nelle fasi di grande emergenza. Pensiamo alla Grande Ricostruzione. Il rischio è quello di abbracciare lo status quo, adagiandosi sugli allori perché siamo tra i Paesi più ricchi al mondo in termini di Pil assoluto.
Quando vedremo la luce in fondo al tunnel?
A livello economico avremo ancora una fase difficile per l’intero 2021, con un andamento migliore nel 2022. Purtroppo ci saranno settori in forte crescita come l’e-commerce e altri (Horeca e settore dell’ospitalità) che arretreranno. In questa particolare e difficile congiuntura è fondamentale sostenere con forza l’idea liberale di proteggere i lavoratori più che i posti di lavoro, attuando politiche attive di training a favore delle persone disoccupate.