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Cyber Recovery (modello Israele). Dal Cloud al 5G, tutte le priorità

Di Andrea Chiappetta e Massimo Ravenna

Il Recovery Fund è l’occasione per importare in Italia il modello israeliano di un Polo 4.0 per la cybersecurity. Un “CyberSpark” che unisca ricerca, governo e settore privato per investire nell’innovazione, dal Cloud al 5G. L’analisi di Andrea Chiappetta, Adjunct Professor – Data, Algoritmi e Identità – Università Niccolò Cusano, e Massimo Ravenna, Head of Cybersecurity – Acea

Il Covid-19 ha suscitato un’ampia varietà di risposte rapide e collaborative, da parte di imprese pubbliche e private, singoli cittadini e associazioni, che hanno condiviso soluzioni, per far fronte alla pandemia, con azioni che rientrano a pieno nel concetto di “Open Innovation”.

Abbiamo un’occasione unica per poter contribuire ad un ammodernamento del Paese, agendo su tutte le leve che coinvolgono le imprese, le nuove generazioni e i territori.

I fondi destinati alla digitalizzazione, all’innovazione, alla competitività e cultura sono somme ingenti, trattandosi di quasi 50 miliardi di euro, dobbiamo usarli tutti e bene ma con progetti puntuali.

L’Open Innovation è il luogo, il metodo, la modalità, con cui le aziende, ma non solo, lavorano con soggetti esterni, che, proprio perché privi di “struttura” o aderenza a modalità consolidate, possono sviluppare nuovi prodotti e soluzioni che devono essere portata anche dentro la cosa pubblica.

L’innovazione implica un approccio guidato dalla domanda, in cui le aziende – in questo momento storico in sinergia con il governo – definiscono i punti deboli o le nuove opportunità che pagheranno per affrontare, attraverso un invito aperto per attingere a fonti esterne, come startup e piccole e medie imprese (PMI) per sviluppare insieme soluzioni innovative.

Il nostro Paese ha visto raggiungere risultati eccezionali con i distretti industriali che raccolgono le diverse competenze, per rendere altamente qualificato il prodotto, legato al Made in Italy. Oggi, accanto alla produzione fisica, dobbiamo fare i conti con quello che porta con se l’innovazione, la trasformazione digitale e l’open innovation, ovvero unire sempre più competenze fisiche e digitali per andare verso l’era Phygital.

Ma questo risultato si avrà solo lavorando con partner pubblici e privati, ​​per far crescere ed in alcuni casi creare, l’ecosistema dell’innovazione e delle startup e sarebbe opportuno che questo piano venga declinato nella sezione Rete Nazionale It.

In questa direzione si renderebbe necessario rivedere i modelli e gli strumenti su cui costruire la partnership pubblico-privato (PPP), ad oggi basata principalmente su rapporti di carattere commerciale, e più raramente di collaborazione per il raggiungimento di obiettivi comuni tra P.A. ed aziende, tuttavia troppo spesso con visioni sul breve periodo.

In contesti sempre più guidati dalla capacità di innovazione e ricerca, e dal controllo di domini informativi virtuali, ma plasmanti la realtà, è l’investimento sulla qualità delle risorse umane il vero fattore game changer: ecco quindi che emerge la necessità di immaginare una PPP basata sul riconoscimento del valore della varietà delle esperienze.

Si prenda a veloce esempio il contesto di altre nazioni vicine, dove soprattutto nei settori ad elevata specializzazione (tecnologie per la difesa, lo spazio, le comunicazioni,…) il transito di professionisti da enti governativi a privato – e ritorno – rappresenta un elemento fondamentale per creare quel tessuto di competenze complesse ed aggiornate necessarie per rispondere alle moderne esigenze.

Costruire i riferimenti normativi, il contesto culturale e gli strumenti operativi per una partnership pubblico-privato che incentivi la transizione di esperienze dei professionisti è quindi un fattore chiave per rilanciare la competitività del sistema Paese. Non si sottovaluti inoltre come, accanto ad evidenti ricadute positive di natura economica, questa nuova visione della PPP possa contribuire a superare quelle barriere ideologiche tra P.A. e privato, aiutando a consolidare una visione più solidale ed integrata di comunità.

In sede di pianificazione del Recovery Plan italiano, uno spazio di tutto rispetto deve e dovrà essere lasciato alla costituzione di un gateway di raccordo nazionale per aggregare tutte le sfide dell’innovazione, che veda promozione culturale e imprenditoriale, in grado di generare una forte relazione con le nostre startup, le nostre università, ma soprattutto gli enti pubblici che hanno difficoltà nel comprendere tali azioni per  trasformarle in migliori servizi efficaci ed efficienti.

Pensiamo alle sfide che abbiamo da affrontare già oggi: il 5G, cybersecurity, la mobilità, l’energia, la sanità, la sostenibilità e le infrastrutture fisiche e digitali che devono essere pensate “in chiave futura”.

I temi citati hanno inoltre come denominatore comune l’esigenza di un contesto che stimoli, valorizzi la formazione e la ricerca: ecco quindi l’occasione per trarre spunti da iniziative in cui lo Stato ha svolto un ruolo di forte indirizzo strategico nell’individuare le esigenze, nel coordinare la distribuzione delle risorse e nel valorizzare i percorsi individuali successivi.

Nel campo delle tecnologie per l’IT e la cybersecurity il progetto CyberSpark in Israele è il riferimento: un’organizzazione senza scopo di lucro, progettata per essere l’ente centrale di coordinamento per le attività congiunte con tutti gli stakeholder, per sviluppare una specifica area geografica e massimizzarne il potenziale come centro di competenze globale, per incoraggiare i partenariati del settore accademico, ed attirare società locali ed internazionali.

Questo è il momento per evolvere il concetto di “polo industriale” verso un “Polo 4.0”: una struttura che sia centro di ricerca, con ruolo diretto dell’Università, che sia un hub di R&D per aziende, con specifici incentivi fiscali per chi vi trasferisce le proprie unità di ricerca, che sia un Innovation Hub ed incubatore, con programmi di supporto specializzati per le startup innovative e tecnologiche.

Realizzare un CyberSpark italiano è possibile, la modernità ed mercati ci pongono i quesiti, ora ci saranno anche le risorse, serve un impegno pubblico veloce ed operativo nell’individuare gli obiettivi e la rotta da seguire.

Inoltre, le sfide globali come la Space economy, l’intelligenza artificiale, la cybersecurity, la Data governance (attualmente in discussione in sede comunitaria la nuova governance dei dati)  sono tecnologie abilitanti valide a 360°, si dovrà quindi costruire seguendo una logica di data “interoperability” reale e non decantata, impegni che il Ministero dell’Innovazione di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico e quello della Transizione Ecologica dovranno mettere a fattor comune energie e competenze per dare vita ad un piano nazionale che sia dirompente, dove la sinergia e interazione costante saranno fondamentali.

Senza tuttavia l’identificazione di chiari obiettivi strategici nazionali non è possibile costruire sinergia ed integrazione, per questo sarà importante che tutto il comparto Sicurezza, Difesa ed Intelligence si faccia motore di progetti di ampio respiro – su tutti il Cloud Nazionale, con una Cloud Strategy nazionale ed una Data Governance Security Strategy – con cui definire nuovi standard, processi e strumenti con cui governare la complessità del presente, oltre che ad avviare una una puntuale ricognizione, quanto mai necessaria, per mappare le filiere italiane a rischio, esigenza dirimente.

 Durante questi momenti complessi, l’innovazione può aiutare le organizzazioni, sia pubbliche che private, come abbiamo avuto modo di vedere, imponendoci di darle dignità e, quindi, un ruolo di primo piano, nel trovare nuovi modi per risolvere problemi urgenti e allo stesso tempo costruire nuovi servizi.

Soprattutto, può servire come base per un patto per l’Italia, poichè, come hanno dimostrato diversi e recenti studi, la fiducia si sviluppa quando i partner fanno autonomamente e volontariamente azioni a sostegno del cambiamento, dando un contributo senza chiedere, che possono fare la differenza, come è avvenuto durante la pandemia.

Una grande crisi, come quella che stiamo vivendo, ha alterato in un modo o nell’altro il comportamento di cittadini, dipendenti e partner, dovremmo ridisegnare le nostre città, le abitudini, esigenze e tutto questo è possibile solo con l’innovazione.

Non sprechiamo queste esperienze pianificando come tornare alla vecchia normalità. Pianifichiamo la nuova normalità.

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