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Dal 5G alla corruzione, le priorità del Recovery Fund. Scrivono Mayer e Martino

Di Marco Mayer e Luigi Martino

Dopo la nomina di “Mr Recovery” Carmine Di Nuzzo al governo Draghi spetta stendere in fretta un piano per dire dove e come spendere i 209 miliardi dei fondi Ue. In un webinar della Scuola Cesare Alfieri e del Limes Club Firenze le priorità

Il Governo Draghi ha scelto Carmine di Nuzzo (subito ribatezzato Mister Recovery) come Capo della nuova Unità di Missione dedicata alla pianificazione attuazione e monitoraggio del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, il programma da 209 miliardi previsti dal Next Generation Eu.

Di Nuzzo é stato in passato a capo dell’Igrue, l’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea, dove ha anche diretto il progetto di definizione del sistema informativo a supporto della gestione finanziaria della Ragioneria.

Secondo il Sole 24 ore “Sono proprio questi due – regole finanziarie europee e abilità non comune nei sistemi informativi – gli assi di Di Nuzzo dal momento che “Draghi e Franco non sottovalutano affatto il delicatissimo e complesso aspetto del rispetto di linee guida, regolamenti e procedure messe in campo dalla commissione Ue per il Recovery, ben più rigorose e severe di quelle generalmente utilizzate per altre forme di finanziamento, come ad esempio i fondi di coesione”.

Intando su Palazzo Chigi incombe una domanda. L’Italia riuscirà davvero a ricevere i 209 miliardi di euro previsti dal Recovery Resiliency Facility (RRF) dell’Unione Europea? E se ci riuscirà, quale sarà il modo migliore di spenderli negli anni 2022/2026?

In attesa della nomina del Mister Recovery per rispondere a queste domande la Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, in collaborazione con Limes Club Firenze, ha avviato un ciclo di web seminar coinvolgendo allievi e docenti, ma anche dirigenti pubblici e personalità provenienti dal mondo della ricerca e dalle imprese.

Il primo incontro è stato introdotto da una dettagliata relazione di Vincenzo Celeste (Capo della Direzione Generale UE della Farnesina) che insieme all’Ambasciata italiana a Bruxelles e in stretta collaborazione con i vertici del Mef e della P.d.C. ha seguito sin dall’inizio l’accidentato percorso negoziale del piano “Next Generation EU”.

Sotto il profilo politico il successo del negoziato è nei fatti. Per la parte italiana Giuseppe Conte, Roberto Gualtieri e Vincenzo Amendola – insieme ai leader francesi e tedeschi – hanno rovesciato l’impostazione iniziale dei paesi nordici che intendevano limitarsi alla creazione di uno strumento emergenziale per far fronte alla crisi pandemica.

Viceversa con il varo del Next Generation Eu (e per la prima volta dopo l’allargamento e il trattato di Lisbona) l’Unione Europea rafforza sostanzialmente i suoi poteri creando un nuovo strumento comune di politica economica e fiscale.

Si tratterà probabilmente di un cambiamento epocale perché per la prima volta l’Unione europea é dotata di uno strumento in grado di stimolare e perseguire (almeno potenzialmente) una visione strategica comune degli Stati membri.

Si creano così le condizioni perché l’Europa non sia più in balia degli eventi, ma possa esercitare un effettivo ruolo internazionale e competere su scala globale.

La Ue non è un attore politico in senso stretto ed il suo grado di dipendenza dalle maggiori potenze mondiali (Russia per l’energia, Cina per il commercio e le telecomunicazioni, Stati Uniti/Nato per la difesa) è destinato a perdurare nel tempo. Su questo ultimo aspetto è bene precisare come un’ Europa più unita e più impegnata finanziariamente in materia di Difesa sia oggi indispensabile per irrobustire le capacità strategiche della Alleanza Atlantica.

Allo stesso modo l’Italia impegnata a rilanciare le relazioni bilaterali (culturali, scientifiche, economiche e poiitiche) con gli Stati Uniti di Joe Biden può stimolare una maggiore attenzione internazionale sulle libertà politiche e civili e sui diritti fondamentali delle persona, che nelle ultime settimane hanno subito la nuova ferita della Birmania.

Come ha sottolineato ampiamente il ministro Vincenzo Celeste, con la costruzione dei pilastri del Next Generation Eu (transizione ecologica e digitale, crescita economica inclusiva e sostenibile; welfare, coesione sociale e territoriale; resilienza sanitaria, educativa, tecnologica e istituzionale) il ruolo internazionale e la capacità di competere a livello globale dell’Europa potranno notevolmente rafforzarsi nel prossimo decennio.

In questa prospettiva la responsabilità “europeiste” dell’Italia fanno tremare i polsi. Non solo perché al nostro Paese viene attribuita la più grande fetta dei finanziamenti NGEU (209 miliardi su 750), ma perché una crescita inadeguata del nostro paese potrebbe mettere a rischio la sostenibilità di altri paesi membri.

La scadenza è molto ravvicinata ed occorre agire velocemente e bene nei prossimi due mesi.

Purtroppo le precedenti bozze governative (informalmente circolate nel dicembre 2020 e gennaio 2021) non sembrano aver colto tre punti fondamentali: a) l’esigenza di una visione strategica del futuro dell’Italia nel medio e lungo periodo; b) i cambiamenti radicali di mentalità e di riforme che sono indispensabili per riuscire a ricevere (e a spendere bene) i 209 miliardi del NEGE; c) la necessità di una discussione pubblica che coinvolga le migliori energie sociali, intellettuali e imprenditoriali del nostro paese

Nella seduta del 19 febbraio scorso il Parlamento Europeo ha approvato il regolamento di attuazione della Recovery and Resilience Facilty, lo strumento finanziario per attuare il programma Next Generation Eu confermando che il 50% delle risorse dei piani nazionali dovrà essere destinati alla transizione digitale (20%) e ambientale (30%).

C’è un altro aspetto cruciale dei piani nazionali previsto nel regolamento, ma di cui per ora nessuno ha parlato (almeno in Italia) – salvo un breve passaggio di Mario Draghi nelle sue comunicazioni al Parlamento.

Ci riferiamo all’obbligo per gli Stati membri di adottare nei piani nazionali meccanismi capaci di garantire preventivamente (ovvero prima di eventuali notizie di reato, illeciti amministrativi e disciplinari) i seguenti criteri:

a) Competizione leale tra le imprese,
b) Resilienza digitale inmateria di 5G e banda larga,
c) Trasparenza degli apparati pubblici e dei processi amministrativi,
d) Rispetto della deontologia professionale e last but not least
e) adeguate misure di prevenzione in materia di corruzione, frodi e conflitti di interesse.

Nel corso del webinar promosso dalla Cesare Alfieri questi ultimi aspetti sono stati approfonditi dal Generale della Guardia di Finanza, Cosimo Di Gesù, che ha illustrato come le previsioni normative della Rrf in questa materia comoportino sfide difficili e talora inedite non solo per gli organi preposti alla polizia di prevenzione e all’ intelligence finanziaria (i. e. analisi delle implicazioni geopolitiche relative alla sicurezza nazionale), ma per tutti i comparti della pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda, invece, la resilienza digitale (ed in particolare il 5G e la banda larga) gli autori di questo articolo hanno sottolineato come nell’arco temporale 2017/2020 nelle sperimentazioni e nelle fasi di commercializzazione la grande maggioranza dei finanziamenti pubblici e privati sia stato destinato ad importazioni di apparati, device’s e tecnologie dall’estero, (prevalentemente dalla Cina) con scarsa attenzione alla necessità di sviluppare progetti di ricerca e sviluppo in ambito nazionale, UE e Nato.

Un ultimo aspetto rilevante è stato, infine, sottolineato dai professori Enrico Prati (CNR) e Michela Meo (Politecnico di Torino). Le opportunità offerte dall’Intelligenza artificiale, da 6G, dal Cloud, dalle ricerche edge devono spingere il governo ad adottare nel piano italiano per la Ripresa e la Resilienza (RRF) un approccio trasversale che connetta strettamente la dimensione digitale con il green deal.

Il supporto pubblico ai processi di mobilità sostenibile, alle infrastrutture, ai progetti di trasformazione industriale e alle stesse Smart Cities implica una forte convergenza tra tre fattori fondamentali: ecologia, trasformazione digitale e sicurezza dei dati personali e aziendali secondo i criteri della nuova direttiva NIS attualmente in consultazione.

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