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Io speriamo che me la Draghi. La comunicazione del governo contro il conflitto sociale

Di Arije Antinori

Massima attenzione agli effetti del rapido mutamento degli assetti parlamentari, determinato in particolare dal repentino capovolgersi del populismo e dal cogente rivolgimento dell’antipopulismo. Alla velocità di inversione dei partiti, non corrisponde necessariamente il medesimo allineamento dell’elettorato. L’analisi di Arije Antinori, professore di Criminologia e Sociologia della Devianza alla Sapienza di Roma

L’effervescenza politico-sociale che sta accompagnando il processo di nascita del governo Draghi, non deve far dimenticare una delle principali sfide che lo stesso sarà chiamato ad affrontare sin dal suo insediamento, quella della comunicazione. Apparentemente ancillare, collaterale all’azione di governo, se non residuale, essa diviene oggi imprescindibile strumento della (ri-)costruzione di senso condiviso per la cittadinanza in un momento di necessaria (ri-)centratura dell’agire politico.

Occorre prestare la massima attenzione agli effetti del rapido mutamento degli assetti parlamentari, determinato in particolare dal repentino capovolgersi del populismo e dal cogente rivolgimento dell’antipopulismo. Alla velocità di inversione, conversione e convergenza dei partiti, non corrisponde necessariamente il medesimo allineamento spazio-temporale dell’elettorato. Il tempo dei partiti, quindi, non è quello dei cittadini che potranno scoprire soltanto man mano se la struttura portante del nuovo governo, in termini politico-partitici, sia fatta di convinzioni o di convenienze, di convergenze o conversioni, ma soprattutto di convinzioni.

Dopo anni di coltivazione politica basata sulla retorica del conflitto attraverso la sistematica denigrazione e delegittimazione dell’avversario politico, talvolta identificato come nemico, occorrerà del tempo per il riassorbimento di tali tensioni, senza tener poi conto di quegli attori che si sono identitariamente riconosciuti e costituiti proprio nel conflitto violento, sia esso fisico o verbale, come i gruppi estremistici che avranno modo, nel rifiuto del governo Draghi, di rafforzare la propria coesione interna soprattutto nelle rispettive infosfere.

Comunicare con i fatti, attraverso l’azione di governo, quale virtù della politica in quanto politica non ciarliera, non può non esser oggi costantemente sostenuto da una rappresentazione-narrazione chiara e dettagliata degli obiettivi attesi, delle scelte operate e dei percorsi spazio-temporali intrapresi per il loro raggiungimento, che coinvolga l’intera cittadinanza. Non più l’emergenzialità – ormai decisamente fuori luogo – ma la natura sistemica, multidimensionale, della crisi che stiamo attraversando, impone delle scelte che di per sé non potranno che sostanziarsi, nella complessità, in politiche di medio e lungo raggio.

Quindi, al rigore dell’azione parlamentare dovrà corrispondere il vigore, l’efficacia strategica dell’informazione per mezzo della disseminazione di efficaci narrazioni divulgative, al fine di prevenire il concretizzarsi di un invalicabile fossato, soprattutto “digitale”, tra governo e cittadini, ove la comunicazione diacronica, o ancor peggio il silenzio, possa favorire, se non determinare, la sedimentazione di percezioni distorte, in grado di alimentare la diffusione orizzontale di retoriche emozionali negativizzanti e anomiche tali da innescare interpretazioni cospirazionistiche – di cui, tra l’altro, già al momento si individuano alcune direttrici -, con conseguenti potenziali determinazioni tattiche, più o meno strutturate, di natura estremistico-violenta e nichilistico-distruttiva.

In questa fase non già post-ideologica, semmai trans-ideologica, ma evidentemente trans-partitica, risulta essenziale che il tempo della politica, si depuri definitivamente dalla contaminazione del linguaggio della paura, dell’insicurezza e dell’incertezza, per sincronizzarsi, soprattutto sul piano della comunicazione (cyber-)sociale, con quello della cittadinanza che nell’ultimo anno è stata ampiamente sollecitata dalle incalzanti e conflittuali narrazioni social.

Il tempo della coerenza e della convinzione del progetto di unità nazionale, sarà quello delle prossime elezioni amministrative, in cui sarebbe auspicabile che le forze politiche impegnate nella campagna elettorale attuino, nell’interesse nazionale, una sorta di patto di non belligeranza, essendo chiamati ad una seria prova di maturità politica, che non deve essere di certo intesa come assopimento né tantomeno omologazione o annullamento delle differenze. Pertanto, il confronto non potrà che rinnovarsi attraverso metriche del tutto distanti dall’aggressività, faziosità e divisività del passato, perché ci si troverebbe innanzi a un elettorato provato, quantomeno disorientato dallo sfasamento tra il carattere di “unità nazionale” a livello centrale e la variabilità geometrica a livello locale, nel turbamento di uno scenario di crisi, in cui le disuguaglianze e i conflitti sociali si vanno acuendo.

La promozione della trasparenza istituzionale, della realizzazione di una compiuta open-society, dell’annullamento del digital divide e di un diritto di accesso minimo gratuito alla rete, sono le fondamenta necessarie per poter realizzare quel progetto di innovazione in primis culturale tecnosociale in grado di rilanciare il Paese nella giungla della competizione internazionale ai tempi del Covid-19, nonché per evitare il fallimento off-target di tanto strategiche quanto goffe e approssimative iniziative di tracciamento digitale.

In uno scenario geopolitico e geostrategico in cui, anche grazie alla pandemia, abbiamo dato modo ai nostri competitors di leggere “tomograficamente” lo stato, tra l’altro, delle nostre vulnerabilità di sistema, delle criticità infrastrutturali, produttive, socio-culturali, della fragilità delle nostre supply chain, del livello di trust, non dobbiamo più sperare di ritrovarci all’uscita del tunnel – anche perché al momento non abbiamo alcuna garanzia sulla sua estensione -, ma dobbiamo riconoscerci qui ed ora, nello spazio umano, sociale e culturale della crisi condivisa.

La speranza deve lasciare spazio alla capacità di programmazione/gestione sistemica – non solo economico-finanziaria – attraverso l’esplicitazione dell’interesse nazionale e della conseguente promozione di una chiara vision del futuro che si fondi preliminarmente sulla (ri-)generazione dello spirito di comunità, nell’ottica transgenerazionale, per mezzo di azioni mirate volte alla (ri-)costruzione del trust, della fiducia, tanto intracomunitaria quanto tra cittadinanza e istituzioni, in particolare per mezzo di campagne, di informazione e consapevolezza, nell’ecosistema (cyber-)sociale basate sulla conoscenza profonda della sua complessità multi-attoriale, al fine di evitare che esso si trasformi, soprattutto per i giovani, cui il Next Generation Eu è destinato, nel terreno della disinformazione antisistemica, della tribalizzazione identitaria, della radicalizzazione violenta e della coltivazione terroristica.

 


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