È chiaro che il vincitore della partita è Matteo Renzi, che ha fatto poker: non solo ha sconfitto il suo avversario di sempre, Giuseppe Conte, ma per i modi in cui lo ha detronizzato lo ha quasi umiliato. E le altre forze politiche? Non ne escono troppo bene… La bussola di Corrado Ocone
Il fallimento dell’”esplorazione” di Roberto Fico, e la subitanea convocazione di Mario Draghi al Quirinale da parte di Sergio Mattarella, può leggersi, come sempre capita a queste faccende, da due diversi punti di vista: uno, relativo al superiore interesse della nazione; l’altro, alle conseguenze sul sistema e sul gioco politico.
Dal primo angolo prospettico, non è dubbio che il presidente della Repubblica abbia fatto la scelta migliore, forse l’unica in grado di impostare in modo appropriato le politiche di “rinascita” dell’Italia che si fanno ormai sempre più impellenti, a fronte di una situazione che potrebbe presto diventare drammatica per il Paese sotto il profilo economico e sociale. Da non sottovalutare, neanche il messaggio che siamo riusciti a mandare alle cancellerie e alle opinioni pubbliche straniere, in un momento in cui la tradizionale diffidenza nei confronti del nostro Paese stava raggiungendo di nuovo livelli di guardia. Non resta che da augurarsi che le forze presenti in Parlamento, messe alla prova e mostratesi incapaci di dare una soluzione politica a questa nostra crisi, ora siano all’altezza della scelta “istituzionale” compiuta e rispondano positivamente all’appello del Capo dello Stato. C’è solo il rammarico che alla soluzione Draghi si si sia arrivati troppo tardi, e si siano persi mesi preziosi nell’immobilismo e nell’inefficienza.
Osservate le cose, invece, da una prospettiva più strettamente politica, impone considerazioni altrettanto interessanti e rilevanti. È chiaro che il vincitore della partita è Matteo Renzi, che ha fatto poker: non solo ha sconfitto il suo avversario di sempre, Giuseppe Conte, ma per i modi in cui lo ha detronizzato lo ha quasi umiliato. Nella storia rimarranno sicuramente i mercanteggiamenti scomposti e l’ostinazione di Palazzo Chigi a cercare una via di uscita che non passasse per Renzi, che in effetti non c’era. Sconfitto ne esce anche Nicola Zingaretti, che ha dimostrato, col suo partito, una sudditanza non solo a Conte ma anche agli eventi che non lo ha fatto essere, in questa fase concitata, mai protagonista: l’irruenza, al limite della prepotenza, di Renzi, l’audacia temeraria, ne hanno ancor più messo in risalto la mancanza di leadership.
Che Renzi non abbia già messo in opera una Opa sui dem, pronto a rientrare, e dalla porta del vincitore? I grillini, a questo punto, guidati da Luigi Di Maio, il quale non può che essere ben felice del depotenziamento di Conte, si accoderanno sicuramente, forse pagando un ulteriore, ma a questo punto irrilevante, contributo in termini di exit dal Movimento.
Merito di Renzi è comunque stato non solo quello di aver opposto un’altra visione politica a quella dominante (meno statalista e non giustizialista), ma anche di aver smosso un quadro politico che sembrava immobile e inscalfibile. Ciò scompagina le carte anche a Destra, ove prima Matteo Salvini capirà che il gioco politico, e anche gli umori degli italiani, sono cambiati, prima darà una prospettiva (più rapida di quanto altrimenti sarebbe avvenuto) per rientrare in gioco. Quanto a Silvio Berlusconi, egli nel gioco c’è già, e per di più con la forza di chi ha tenuto stretto il suo gruppo e ha capito che il Conte ter era impraticabile.
Se l’operazione Draghi va in porto, il nostro disgraziato Paese avrà forse l’ultima chance di rimettersi in carreggiata. Buona fortuna a tutti noi!