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Ecco cosa ci dicono (per davvero) i dati Istat. L’analisi di Becchetti

Quello che vediamo nei dati è la diretta conseguenza dell’approccio italiano fatto di blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, accompagnato da misure di lockdown severe soprattutto ai picchi delle due ondate. Leonardo Becchetti legge i dati preliminari dell’Istat sul mercato del lavoro

I dati preliminari dell’Istat, sul mercato del lavoro di dicembre confermano quello che abbiamo imparato sul rapporto tra pandemia, misure di lockdown ed effetti differenziati su occupazione, disoccupazione e inattività. Quello che vediamo nei dati è la diretta conseguenza dell’approccio italiano fatto di blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, accompagnato da misure di lockdown severe soprattutto ai picchi delle due ondate.

Non è pertanto una sorpresa che il tasso di disoccupazione abbia tenuto molto bene (in diminuzione dello 0,2% da febbraio 2020) rispetto alla situazione di altri Paesi che hanno scelto strategie diverse (nel Regno Unito ad esempio è raddoppiato rispetto al periodo pre Covid e in media nell’Europa a 27 è aumentato di un punto percentuale). Il rovescio della medaglia è il calo del tasso di occupazione, l’aumento degli inattivi e la concentrazione degli effetti negativi sulla parte più fragile del mercato del lavoro (contratti a tempo determinato, donne e under 35).

Volendo offrire un’immagine di sintesi l’Italia è un Paese relativamente più protetto (anche se questo vale soprattutto per alcune categorie e non per altre) ma meno generativo, ovvero meno capace di creare opportunità di partecipazione e d’ingresso nel mercato del lavoro. Ed è un Paese con un mercato del lavoro diviso in tre. Una parte privilegiata fatta di dipendenti pubblici e lavoratori di imprese medio-grandi con contratti a tempo indeterminato, una parte intermedia fatta di autonomi, piccoli commercianti e imprenditori investiti in pieno dalla crisi e una parte che vive di welfare e non partecipa al mercato del lavoro.

Per aggredire questo nostro difetto strutturale dobbiamo realizzare e rafforzare alcuni punti già previsti nel prossimo piano Next Generation Eu. Le riforme su tempi della giustizia civile e burocrazia, le politiche per collegare maggiormente ricerca e impresa e favorire l’innovazione nella direzione obbligata della transizione ecologica. Quelle sulla formazione scolastica, universitaria e permanente che devono portare il maggior numero di persone possibili fuori dalla trappola delle basse qualifiche.

A livello internazionale è fondamentale dare seguito all’intento dell’Ue di adottare border adjustment taxes per combattere il dumping sociale ed ambientale e livellare il campo di gioco della competizione globale. L’elezione di Biden è una grande occasione e negli Stati Uniti la misura ha ottenuto il più alto livello di consenso mai realizzato in un appello con la firma di più di 3000 economisti e 24 premi Nobel. Solo in questo modo potremo alzare gli standard sociali ed ambientali del nostro sistema economico e sociale senza correre il rischio di favorire delocalizzazione e concorrenza sleale.

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