Skip to main content

Un modello Draghi per gli enti locali?

Di Giancarlo Chiapello

Il governo che è nato, presieduto da una personalità di così grande valore come Mario Draghi, rappresenta una strategia di battaglia con ampia rappresentanza in campo o, più pacificamente, un modello eccezionale per un tempo eccezionale: in quest’ottica occorre domandarsi se non sia opportuno che anche i territori vengano investiti positivamente da esso. L’analisi di Giancarlo Chiapello, politico e saggista, tra i fondatori nel 2004 e segretario organizzativo nazionale del movimento laico di ispirazione cristiana “Italia Popolare”

Il tempo politico che stiamo vivendo, influenzato dalla crisi innescata dalla pandemia, subisce un forte scossone dall’avvio del governo del presidente Mario Draghi. Cambia la prospettiva, o meglio, si imbocca la via per attraversare una terra di mezzo che porterà ad un nuovo sistema politico dopo scomposizioni e ricomposizioni.

La camicia di forza bipolare che, per un quarto di secolo, si è cercato di imporre violentemente a colpi di leggi elettorali maggioritarie, di contaminazioni tra culture politiche, particolarmente utile ai mestieranti, di esasperata personalizzazione, di antipolitica costruita sull’invidia, sta mostrando i danni e la necessità di un cambio di sistema che, anche in linea con l’impianto costituzionale, si può immaginare aderente a quello delle famiglie europee dove il popolarismo europeo è la casa di quello italiano, unico pensiero politico autenticamente centrista. La chiave del cambiamento potrà essere la legge elettorale proporzionale. Come fare a imboccare in questa crisi una giusta strada per riformare il sistema politico in tal senso?

Settimana or sono i Giovani popolari, che, nel mentre, hanno anche presentato come logo il loro rinnovato gonfalone giovanile, hanno svolto un interessante webinar in cui hanno fatto un parallelo tra strategia politica e strategia militare: Giacomo Bosco, studente del corso di laurea in Storia presso l’università di Torino e Nicolò Mardega, studente del corso di laurea in scienze politiche presso la Lumsa di Roma, hanno svolto il tema in maniera assai interessante ricordando lo schema della guerra lampo e di posizione e la necessità di ricostruire sul “campo di battaglia” leaders credibili e partiti dotati di valori omogenei e capacità di raccolta di istanze sociali a largo raggio (non dimentichiamo che a forza di ritocchi e correzioni le leggi elettorali permettono di governare ad una maggioranza che è nella realtà del sostegno popolare una minoranza).

In quest’ottica, dopo una guerra lampo che ha portato al cambio della compagine governativa ci si ritrova ad affrontare una guerra di posizione, l’una ancora una volta tra forze politiche in pieno travaglio l’altra per la ripresa dell’Italia. Su questo secondo campo, difficile, dunque, si posiziona il “modello Draghi” che interpella la responsabilità di tutti, (non richiama naturalmente i responsabili a prendere delle personali porte girevoli), richiamando una consapevolezza che è stata ricordata solo da una deputata delle minoranze linguistiche durante il dibattito per l’ultima fiducia al governo Conte giallorosso: ha ricordato – al di là della sua dichiarazione di voto – che l’attuale sarà l’ultimo parlamento ampiamente rappresentativo del popolo italiano e delle sue istanze perché dalle prossime elezioni il taglio dei parlamentari restringerà in maniera fortissima la rappresentanza come mai avvenuto nella democrazia italiana (considerando che ciò è avvenuto dopo un lungo periodo di riduzioni della rappresentanza delle assemblee locali).

Su queste basi è opportuno non essere impegnati in guerricciole politiche per non disperdere le energie e perché inutili in un tempo di cambiamento di sistema dove serve essere proattivi anche per ridefinire ciascuno il proprio campo, la destra, la sinistra e il centro che deve abbandonare coloro che furono citati da Carlo Bernini quando affermò che “gli ultimi democristiani, più che a rifare la Dc, si sono applicati a completare la loro carriera”. Il governo di tregua che è nato, presieduto da una personalità di così grande valore come Mario Draghi, rappresenta, conseguentemente, una strategia di battaglia con ampia rappresentanza in campo o, più pacificamente, un modello eccezionale per un tempo eccezionale: in quest’ottica occorre domandarsi se non sia opportuno che anche i territori vengano investiti positivamente da esso.

Ha senso pensare alle prossime elezioni amministrative ancora legate ai piccoli scontri sulla base di un modello superato e che non ha dato alla fine risultati positivi? Non sarebbe meglio immaginare comunità in cui i politici sanno fare un passo indietro per permettere a tutti di fare un balzo in avanti in questo tempo tanto particolare? Questa discussione è stata lanciata a Torino dall’on. Fregolent di Italia Viva e si inserisce in settimane e settimane di tavoli, candidati e autocandidati, accordi ed accordicchi, mentori e sedicenti padri nobili, dichiarazioni in cui il nuovo governo viene preso ad esempio solo per provare a opzionare assessorati futuribili.

Una pietra lanciata in uno stagno per capire che i nostri enti locali saranno parte fondamentale per la buona riuscita dell’utilizzo dei fondi che sono in arrivo dall’Europa per dare risposte ai lavoratori, agli imprenditori, al terzo settore, a chi rischia o è già in situazione disperata senza assistenzialismi e prebende elettoralistiche ma costruendo precise strategie di lungo respiro. Il “modello Draghi” è utile per richiamare le energie migliori di ciascuna comunità, sorretto dal passaggio elettorale, in grado, tra l’altro, di accompagnare l’attraversata della citata terra di mezzo, di mettere un freno, stoppare, le camarille, i notabili (rinati fortemente col sistema maggioritario bipolare), e pure innescare un riarmo morale contro le infiltrazioni della cultura mafiosa che rappresenta, su tutti i territori italiani, una priorità non seconda neanche alla transizione ecologica.

È il modello che richiede alla politica di riappropriarsi celermente del suo ruolo per essere pronta poi a ritornare alle normali dinamiche dei confronti e degli scontri democratici. I popolari, nella cui storia c’è la fondazione del Ppe e dell’internazionale democristiana, che animano il centro da sempre, non possono non riconoscere la bontà di questa chiamata ad una “fratellanza” italiana ed europea per sostenere uno sforzo comune che può avere una proiezione locale. A Torino, come in altre realtà, chi ci sta?

×

Iscriviti alla newsletter