La decisione della Liguria di definire Hezbollah un’organizzazione terrorista è “la scelta giusta”, spiega Moshe Yaaalon, ex ministro della Difesa israeliano e già capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane. Il nuovo accordo nucleare con l’Iran? Ecco cosa deve includere
La scorsa settimana il Consiglio regionale della Liguria ha approvato l’ordine del giorno per il riconoscimento di Hezbollah come organizzazione terroristica nel suo complesso presentato dal consigliere Angelo Vaccarezza e da altri esponenti del partito Cambiamo! del governatore Giovanni Toti.
Il documento, come spiegato su Formiche.net, impegna il presidente della Regione Liguria ad “attivarsi nelle sedi opportune, presso il parlamento e il governo, per fare in modo che anche l’Italia, come già fatto in ambito europeo da Germania, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Austria, dichiari ufficialmente Hezbollah come ‘organizzazione terroristica’ nella sua interezza”.
Al plauso dell’Ambasciata israeliana a Roma dimostrato da una telefonata tra l’ambasciatore Dror Eydar e il governatore Toti, si aggiunge quello di Moshe Yaaalon, ex ministro della Difesa israeliano e già capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane. Il generale conosce bene Hezbollah, avendola affrontata più recentemente in politica, ma prima sul campo: durante la guerra del Libano del 1982 fu ferito a una gamba mentre guidava un’operazione delle forze speciali Sayeret Matkal contro le milizie di Hezbollah. Quella ligure “è una scelta giusta”, commenta “Bogie” Yaalon con Formiche.net.
Come mai?
Hezbollah è un braccio armato dell’Iran, parte della politica iraniana di “esportare la rivoluzione”. È un mix tra un movimento politico, una milizia armata e un’organizzazione terroristica, ed è impossibile separarli. Lo Stato libanese, infatti, è stato “rapito” dal regime iraniano, tanto che una decisione di Hezbollah di lanciare una guerra contro Israele o compiere atti terroristici contro obiettivi israeliani sarà presa a Teheran e non a Beirut. Il regime iraniano sta usando Hezbollah come braccio strategico ed è disposto, per i propri scopi, a sacrificare lo Stato libanese e i suoi cittadini.
Diversi governi europei, tra cui quello italiano, sostengono la distinzione tra l’ala politica e quella militare e temono che bandire anche la seconda rappresenterebbe un pericolo per le forze armate impegnate in Libano, per esempio nella missione Unifil. Ma nell’aprile dell’anno scorso la Germania ha deciso di mettere al bando l’intera Hezbollah, ma non ha subito le temute ritorsioni.
I governi europei che fanno distinzione tra il “braccio politico” e il “braccio militare” di Hezbollah compiono un grave errore, permettendo a Hezbollah di continuare le sue attività terroristiche e perpetrare una situazione che è contraria all’“ordine mondiale” di un governo, una legge e un’arma in uno Stato sovrano. I governi europei che giustificano il non boicottaggio di tutte le attività di Hezbollah sul loro territorio e la definizione di Hezbollah come organizzazione terroristica per paura di ritorsioni contro i loro soldati in servizio in Libano, nell’ambito di Unifil, stanno infatti soccombendo al terrorismo. Nella mia esperienza, chiunque si arrenda al terrorismo, il terrorismo lo perseguita. Il modo per combattere il terrorismo ovunque esso sia, è unendo le forze e cooperando tra tutti i Paesi impegnati per l’“ordine mondiale”.
Ha definito Hezbollah “un braccio dell’Iran”. Parliamo dell’Iran. Il neopresidente statunitense Joe Biden non esclude di tornare ai negoziati sull’accordo nucleare ma prima vuole un impegno da parte di Teheran. Washington non esclude un patto più rigido del Jpcoa del 2015. Sarebbe sufficiente secondo lei?
Il regime iraniano e le sue aspirazioni per l’egemonia nella regione esportando la rivoluzione nei Paesi del Medio Oriente (come Libano, Siria, Iraq, Yemen) è la fonte più significativa di instabilità in Medio Oriente. Il desiderio iraniano di una capacità nucleare militare è legata a questa percezione, e presume che se l’Iran abbia una tale capacità, i Paesi del mondo si asterranno dal confronto (come nel caso della Corea del Nord) e permetteranno al regime di conquistare il Medio Oriente, e non soltanto. L’accordo nucleare del 2015 era minimale e non includeva le possibili dimensioni militari (Pmd) del progetto, le violazioni del regime nel campo dello sviluppo e della produzione di missili e nel campo delle armi e della diffusione del terrorismo. Qualsiasi nuovo accordo deve includere questi elementi.
Teheran ci starà? Mi permetta di dubitarne.
Nella mia esperienza, il modo per convincere il regime iraniano ad accettare queste condizioni per un tale accordo è esercitare pressioni congiunte sul regime: sanzioni economiche significative, isolamento politico del regime e una minaccia militare credibile.
Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha dichiarato che potrebbe essere il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, a fungere da “coreografo” e coordinare le azioni di Teheran e Washington. Non proprio un complimento all’Unione europea, che pur si è sempre schierata a difesa dell’accordo Jpcoa ma oggi non sembra aver molto peso nelle trattative, almeno a giudicare dalle parole del ministro Zarif.
Qualsiasi rinuncia da parte dei Paesi europei e in particolare dei Paesi P5+1 potrebbe portare a una situazione simile a quella con la Corea del Nord. E sarebbe un grave errore storico.
(Foto: Munich Security Conference)