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I tre (veri) motivi della scissione M5S. Scrive De Masi

Di Domenico De Masi

La recente scissione del Movimento Cinque Stelle è in perfetta linea e a ennesima dimostrazione della sua natura “di sinistra” ed è avvenuta per tre motivi. Domenico De Masi, sociologo e autore del documento programmatico sul futuro del M5S, svela quali sono

Per chi, come me, in questi anni ha guardato al Movimento 5 Stelle non con adesione politica ma con curiosità scientifica e con uno sforzo onesto di obiettività, la scissione di questi giorni è sempre apparso come un esito possibile e, col passare del tempo, via via più probabile.

Ogni movimento è come un mucchio di sabbia volatile che, prima o poi, tenta di istituzionalizzarsi in partito, compatto come un mattone. Tutti i partiti sono nati come movimenti, non tutti i movimenti riescono a diventare partiti. Nel percorso della metamorfosi vi è sempre un’avanguardia che anticipa tutti gli altri e cerca di convincerli a seguirla. Se non ci riesce, a ogni tappa della transizione il movimento rischia di scindersi e ad ogni scissione rischia di estinguersi.

Da quel 16 luglio 2005 in cui Beppe Grillo propose sul suo blog l’adozione del social network Meetup, sono trascorsi quasi 16 anni e il Movimento ne ha fatta di strada! Il 4 ottobre 2009 si è proclamato partito; alle elezioni del 1913 ha preso 163 parlamentari; a quelle del 2018 ne ha preso 339.

Grazie a una ricerca che ho potuto condurre alla vigilia degli stati generali, la cultura politica maturata nel vertice del Movimento-partito resta tuttora ancorata a parole d’ordine come onestà, trasparenza, empatia, ambiente, interclassismo, terza via, fiducia nel progresso tecnologico, welfare, democrazia diretta.

Ma, accanto a queste persistenze culturali, vi sono delle novità sostanziali: europeismo ma anche dialogo costruttivo con Cina e India; atteggiamento favorevole all’accoglienza degli immigrati; rifiuto del populismo e dell’agnosticismo; superamento dell’uno vale uno in favore della competenza, della meritocrazia, di un rapporto più intenso con gli intellettuali e con i sindacati; “crescita sana, necessaria e utile” al posto della “decrescita felice”; rifiuto del neo-liberismo in favore di un socialismo liberale; riduzione dell’orario di lavoro, salario minimo e reddito universale.

Colpisce che la stragrande maggioranza dei media e degli intellettuali italiani abbia persistito in un atteggiamento di supponenza verso i 5 Stelle irridendone i comportamenti, auspicandone la scomparsa, ignorando questa loro evoluzione e trascurando il fatto oggettivo che questo Movimento-partito rappresenta l’unica novità politica del Paese e, rispetto agli altri partiti, può vantare la maggiore percentuale di parlamentari giovani, donne e laureati.

Ma l’avanguardia non ha saputo trascinare sulle sue posizioni né tutti gli altri parlamentari, né buona parte della base. Di qui la recente scissione, in perfetta linea e a ennesima dimostrazione della sua natura “di sinistra”.  I motivi sono almeno tre.

Il primo, di natura culturale, consiste nel fatto che il movimento-partito non ha saputo elaborare un suo modello di società da proporre all’elettorato. Le cinque stelle – acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo – dicono tutto e niente. Non avere un modello concettuale significa non poter distinguere tra destra e sinistra, tra vero e falso, tra buono e cattivo perché, come dice Seneca, “nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove vuole andare”. L’unica attenuante per i 5 Stelle è che neppure gli altri partiti hanno un modello ideale che si rispetti.

Il secondo motivo è di natura psicanalitica. Assai spesso, nei fondatori di movimenti, sorge il bisogno inconscio di distruggere la propria creatura così come Saturno divorò i suoi figli. Nulla vieta che anche Grillo, Di Maio e Di Battista siano piombati in questa fase saturnina.

Il terzo motivo è di natura organizzativa. Morto Casaleggio, Grillo si è tirato in disparte riservandosi improvvise incursioni non sempre fortunate; Di Maio ha concentrato la sua attenzione sulla propria carriera ministeriale; Di Battista è rimasto impigliato in uno sterile disorientamento.

Proprio nel momento più delicato, in cui sarebbe stata necessaria una guida lucida, coraggiosa, affidabile, ai parlamentari e al popolo dei 5 Stelle, cui manca (fortunatamente) il collante concreto degli affari, è mancato (sfortunatamente) il collante astratto dell’ideologia, quello umano della leadership, quello strutturale di un’organizzazione.

Oggi solo un miracoloso triunvirato di Conte, Di Battista e Di Maio potrebbe salvare questo Movimento-partito. Ma quando una soluzione è necessaria e tuttavia impossibile, significa che la situazione è tragica.



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