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Il governo Draghi: sette fatti sorprendenti sull’Italia

Di Philipp Heimberger e Nikolaus Kowall

Gli italiani hanno fatto molti sacrifici in questi venti anni, eppure vengono descritti come irresponsabili e spendaccioni sui media internazionali. Due economisti austriaci raccontano i punti di forza del nostro Paese ed esortano gli altri Stati membri a sostenere il rilancio italiano, che è indispensabile affinché l’Unione Europea possa competere con Stati Uniti e Cina

Pubblichiamo la traduzione in italiano di un articolo degli economisti Philipp Heimberger e Nikolaus Kowall apparso sul sito del Vienna Institute for International Economic Studies (WIIW)

È giunto il momento di dare uno sguardo sull’Italia basato sui fatti e smentire alcuni dei miti che continuano a essere diffusi.

  • L’Italia ha registrato surplus commerciali e rimane il secondo polo industriale dell’UE dopo la Germania
  • Il debito privato in Italia è relativamente basso rispetto ad altri paesi OCSE. Il debito pubblico è elevato a causa dell’eredità degli anni ’70 e ’80
  • Lo Stato italiano ha implementato i più grandi pacchetti di risanamento fiscale in assoluto tra tutti i Paesi industrializzati dall’inizio degli anni ’90
  • L’Italia ha problemi strutturali significativi (ad esempio settore bancario sovradimensionato, divario Nord-Sud), ma per affrontare questi problemi è necessario ripensare la politica economica
  • La ripresa dell’Italia deve essere considerata un compito centrale della politica economica europea. L’inizio dell’incarico di Mario Draghi come primo ministro dovrebbe essere visto come un’opportunità per una “Nuova Politica del Sud Europa”

Nelle ultime settimane sono stati scritti innumerevoli articoli sull’Italia che giocano su stereotipi di lunga data, diffusi in altre parti dell’UE, tra cui quello di un Paese pesantemente indebitato e non disposto a riforme. Di fatto, raramente abbiamo potuto leggere sui media qualcosa di positivo sull’Italia durante l’ultimo anno. Inizialmente, gli impatti negativi del coronavirus sulla salute hanno colpito il Paese in modo particolarmente duro durante la prima fase della pandemia. Poi è arrivata la grave crisi economica, portando discussioni sui pacchetti di risposta europei, durante le quali giornalisti e politici di spicco degli autoproclamati “frugal four” (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia, ndr) hanno ripetutamente dubitato che l’Italia dovesse davvero ricevere sovvenzioni in misura considerevole per mitigare le conseguenze della crisi COVID19 . Infine il governo di Giuseppe Conte ha dovuto dimettersi dopo che l’ex premier Matteo Renzi ha ritirato i due ministri del suo partito dal governo, causando intense discussioni sulla crisi politica in Italia.

Ora c’è un nuovo governo italiano sotto il primo ministro Mario Draghi, ex presidente della Bce. Questo governo non dovrà solo affrontare la pandemia, ma anche pianificare l’utilizzo di circa 200 miliardi di euro del fondi di ripresa dell’UE per i prossimi anni. Alla luce di questi importanti progetti politici, è giunto il momento di sfatare alcuni miti che purtroppo continuano a essere regolarmente diffusi da giornalisti e media.

Dunque, ecco sette dati che sfidano gli stereotipi sull’Italia.

 

1. L’Italia ha vissuto al di sotto delle proprie possibilità

“L’Italia vive al di sopra dei suoi mezzi!” Questa affermazione è spesso giustificata sottolineando che il debito pubblico italiano è salito a circa il 160% della produzione economica, anche a causa degli effetti della pandemia. Eppure questo significa solo che il settore pubblico è fortemente indebitato; non dice nulla sull’economia italiana nel suo insieme. Perché un Paese vive veramente al di sopra delle proprie possibilità solo se importa più beni e servizi di quanti ne esporta, in un periodo di tempo più lungo, cosa che va di pari passo con l’aumento del debito estero. Se invece si esporta all’incirca lo stesso di quanto si importa, non ha molto senso parlare di “vivere oltre i propri mezzi”, perché produzione e consumo coincidono. E l’Italia dal 2012 ha addirittura registrato esportazioni di beni e servizi più elevate rispetto alle importazioni. Il Paese consuma meno di quanto produce ed è un esportatore netto di capitali. Quindi semmai gli italiani non vivono al di sopra dei propri mezzi, ma al di sotto dei propri mezzi.

Fonte: AMECO (autunno 2020), calcoli propri

 

2. Il debito privato è relativamente basso in Italia

Se l’economia italiana nel suo insieme non vive al di sopra dei propri mezzi, allora l’elevato livello di indebitamento deve essere confinato al settore pubblico. Ed è così, il debito privato in Italia è basso per gli standard OCSE. In altre parole, il debito complessivo non è certo un problema più grande in Italia rispetto ad altri Paesi europei.

Fonte: OCSE

 

3. Il debito pubblico è alto a causa degli errori commessi 40 anni fa

Lo Stato italiano ha implementato in assoluto i più grandi pacchetti di risanamento fiscale di tutti i Paesi industrializzati dall’inizio degli anni ’90. Se l’economia non è eccessivamente indebitata, perché lo Stato è così in difficoltà? Per quanto scarse si possano considerare le prestazioni dei politici italiani da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini, l’elevato debito pubblico è principalmente un’eredità degli anni ’80. Inoltre, gli errori commessi 40 anni fa si sono verificati in un contesto internazionale di tassi di interesse in aumento. Da allora, lo stato italiano si è portato dietro un pesante bagaglio di tassi di interesse. Se escludiamo questa zavorra, tuttavia, lo Stato italiano ha costantemente registrato avanzi di bilancio dal 1992 (con le eccezioni dell’anno di crisi finanziaria 2009 e dell’anno di crisi COVID 2020).

Anche Germania, Austria e Paesi Bassi hanno registrato un surplus di bilancio “primario” positivo comparabile, ma meno frequentemente dell’Italia. Lo Stato italiano non è stato così “dissoluto” come spesso si sostiene: ha costantemente raccolto più tasse di quanto abbia speso. Ma l’onere degli interessi – elevato a causa dell’eredità del debito – ha ripetutamente spinto il saldo di bilancio complessivo dello Stato italiano in territorio negativo. Sì, l’Italia sta registrando deficit fiscali significativi nel 2020 e nel 2021, ma ciò è dovuto agli effetti della crisi COVID19, che sta avendo un forte impatto anche in altri paesi dell’UE.

Fonte: AMECO (primavera 2020), calcoli propri

 

4. L’economia italiana ha sofferto da quando è entrata nell’euro

Il debito pubblico italiano è marcato anche perché la sua crescita economica è stata molto debole negli ultimi 20 anni; essendo presentata come un rapporto con il PIL, se l’economia ristagna uno stato non può tirarsi fuori autonomamente da un pool di debito, che era già a 120% del PIL nel 1995. In questo contesto, le carenze politiche, comprese quelle relative alla corruzione e alla criminalità organizzata, non dovrebbero essere trascurate. Ma l’Italia non è mai stata un’oasi di stabilità politica. Il nuovo governo Draghi è il 67° dalla guerra, e mafia e corruzione sono state innervate nel sistema a lungo. Eppure questo non ha impedito all’economia italiana di svilupparsi in modo abbastanza dinamico, talvolta.

L’Italia ha superato il Regno Unito nel 1969 e la Francia nel 1979 in termini di potere d’acquisto pro capite. Nel 2000 lo standard di vita medio dell’Italia era praticamente uguale a quello della Germania (98,6 per cento del suo PIL pro capite). Ma dopo l’introduzione dell’euro nel 1999, il paese è tornato a inseguire il Regno Unito (nel 2002) e la Francia (nel 2005). Prima del 2020, il reddito pro capite italiano era inferiore a quello della Germania del 25% circa.

Nel caso dell’Italia, è molto sorprendente che l’impegno nei confronti dei criteri di Maastricht e il processo di introduzione dell’euro negli anni ’90 siano andati di pari passo con il calo della crescita economica e l’aumento dei problemi di produttività. Una spiegazione è che i vincoli delle regole di bilancio europee abbiano ridotto la domanda interna in Italia, contribuendo anche alla stagnazione dell’economia. Inoltre, il valore dell’euro riflette la forza media di tutte le economie dell’area euro. La moneta comune è troppo a buon mercato per la Germania (il che aumenta le esportazioni tedesche) e troppo costosa per l’Italia.

La possibilità dell’Italia di ritrovare lo slancio economico all’interno dell’area euro dipenderà non da ultimo dalla volontà della Germania e di altri Paesi europei di riformare l’architettura istituzionale dell’euro all’indomani della crisi COVID-19, soprattutto per quanto riguarda le regole di bilancio. In ogni caso, è chiaro che Paesi come la Germania, i Paesi Bassi o l’Austria, che hanno beneficiato molto della moneta comune “a buon mercato”, dovrebbero fare tutto il possibile per mantenere l’Italia nell’area euro. Ciò sarebbe nel loro interesse, perché il ritorno a una valuta “costosa” come il marco tedesco rappresenterebbe un notevole onere sui prezzi per l’industria dei Paesi che dipendono da un modello di crescita guidato dalle esportazioni.

Fonte: AMECO (autunno 2020); calcoli propri

 

5. L’Italia ha realizzato molte riforme liberali

Nel 2015 l’OCSE ha valutato gli “sforzi di riforma” dell’Italia come significativamente più forti di quelli di Germania e Francia. L’economista olandese Servaas Storm segue una linea simile: in uno studio approfondito, spiega come l’Italia abbia aderito molto più strettamente al regolamento politico dell’UE rispetto alla Germania o alla Francia. Abbiamo già stabilito che lo stato italiano ha registrato sforzi di risanamento fiscale maggiori rispetto a tutti gli altri partner europei prima della crisi del COVID19, pagando un prezzo elevato.

Ciò è dovuto al fatto che il consolidamento fiscale ha indebolito la domanda interna di beni e servizi e, di conseguenza, la crescita, a tal punto che il debito è rimasto elevato nonostante i grandi sforzi di risanamento. Anche la politica di austerità italiana ha avuto conseguenze molto concrete. Da un lato, ha portato a gravi tagli al sistema sanitario, che si sono rivelati fatali durante la crisi Covid19. Inoltre, un drastico calo degli investimenti pubblici ha ostacolato la crescita della produttività in Italia.

Ma non era solo nell’area delle finanze pubbliche che l’Italia era particolarmente desiderosa di conformarsi ai requisiti dell’UE. Una flessibilizzazione del mercato del lavoro altrettanto conforme alle normative europee ha comportato un forte aumento dei contratti a tempo determinato, una resistenza ai sindacati e un calo dei salari reali rispetto a Germania e Francia. Più recentemente, nel 2014, sotto Matteo Renzi, la tutela del lavoro è stata fortemente ridotta.

L’opera di riforma del mercato del lavoro non solo ha ridotto l’inflazione negli anni ’90, ma probabilmente anche la disoccupazione, che era inferiore a quella in Germania e Francia quando è scoppiata la crisi finanziaria nel 2008. Ma la manodopera a basso costo ha anche ridotto l’incentivo per gli investimenti da parte delle aziende. Questo investimento privato, tuttavia, è fondamentale per aumentare la produttività ed è particolarmente cruciale nei settori ad alta tecnologia. Lo sviluppo della produttività è a sua volta la base per la crescita e l’aumento dei redditi. Dunque sia i grandi sforzi di risanamento dei conti pubblici che le riforme strutturali pro-mercato hanno probabilmente apportato più danni che benefici alla crescita della produttività dell’Italia.

Fonte: AMECO (autunno 2020); calcoli propri

 

6. L’Italia rimane il secondo paese industriale più importante dell’UE

Può sembrare sorprendente per le orecchie nordeuropee, ma nonostante la debole crescita della produttività e i problemi con la competitività dei prezzi all’interno dell’area euro, l’Italia ha importanti punti di forza economici. I 60 milioni di italiani non vivono principalmente di turismo. L’Italia è ancora il secondo polo industriale più importante dell’UE (il che sarebbe vero anche se il Regno Unito fosse ancora parte dell’UE), principalmente a causa della struttura economica nel Nord del Paese.

L’Italia ha la produzione industriale più alta dopo la Germania ed esporta molti più beni industriali di quanto ne importi. Il settore di esportazione di gran lunga più importante è l’ingegneria meccanica, che da sola rappresenta quasi un quinto delle esportazioni di merci, seguita dalla costruzione di veicoli e dai prodotti farmaceutici. L’ordine è quasi identico alla struttura delle esportazioni tedesche e questi settori si collocano tra le industrie a “medio-alta tecnologia” e “alta tecnologia” nella classificazione dell’OCSE. La struttura industriale storicamente sviluppata del (Nord) Italia è solo un esempio del grande potenziale economico del Paese dell’UE che riveste il ruolo di partner meridionale dell’Austria. Se le politiche di austerità e le riforme liberali del mercato non sono riuscite a far progredire il Paese negli ultimi decenni, la cosa ovvia da fare è provare una strategia di investimento – per la quale l’uso del denaro del fondo di ripresa dell’UE potrebbe fornire un primo impulso – e dare una spinta all’industria italiana lanciando una strategia industriale europea moderna.

Fonte: Eurostat

 

7. Gli italiani non sono più ricchi dei tedeschi o degli austriaci

Spesso nell’ultimo anno abbiamo sentito anche la tesi che gli italiani sono più ricchi dei tedeschi o degli austriaci. Pertanto, dovrebbero pagare da soli i loro investimenti! La famiglia italiana mediana, quella situata esattamente tra la metà superiore più ricca e la metà inferiore più povera della popolazione, è effettivamente più ricca della corrispondente famiglia tedesca o austriaca. Ma la famiglia italiana media, ottenuta dividendo la ricchezza netta totale per il numero totale di famiglie, è chiaramente meno ricca che in Germania o in Austria.

Sebbene la ricchezza privata sia inferiore in Italia, la distribuzione della ricchezza è più equa; in Germania e in Austria, la ricchezza è più concentrata in un numero minore di famiglie. Uno dei motivi principali è il ruolo maggiore della proprietà privata in Italia. Questo ha molto a che fare con il relativo sottosviluppo della rete di sicurezza pubblica: gli alloggi sociali e cooperativi, che forniscono a molte persone in Germania e soprattutto in Austria alloggi a prezzi accessibili di dimensioni ragionevoli, in Italia sono rari. Gli alloggi sociali e le cooperative non contano tuttavia come beni privati, anche se occasionalmente ci si vive più comodamente che nei condomini italiani di basso livello. Resta il fatto che è semplicemente sbagliato dire che gli italiani sono più ricchi di tedeschi o austriaci.

Fonte: BCE

 

Un’Italia forte in un’UE forte

L’Italia ha certamente problemi strutturali significativi, come il settore bancario sovradimensionato, il divario Nord-Sud, la criminalità organizzata o elementi politici disfunzionali. La domanda è: in quali condizioni il paese è in grado di affrontare meglio questi problemi? In questo paese di 60 milioni di persone, la stagnazione degli ultimi 20 anni è stata un terreno fertile per il fatalismo piuttosto che per l’ottimismo. Una ragione in più affinché i media e i politici in Germania, Austria e non solo smettano di trattare l’Italia come un caso senza speranza, un paziente dell’Europa meridionale che ha problemi perché rifiuta la medicina riformista del medico del nord Europa.

I media europei, così come i principali leader europei, invocano la concorrenza internazionale tra l’UE, la Cina e gli Stati Uniti. Una conclusione geopolitica logica dovrebbe essere quella di sostenere attivamente l’economia italiana, che un tempo era la seconda più grande dell’UE, nei suoi sforzi di ripresa, ad esempio avviando una moderna strategia di politica industriale. Questa misura da sola rafforzerebbe in modo significativo il peso economico dell’UE nell’economia globale. Se l’Italia fosse cresciuta alla stessa velocità della Germania o della Francia dal 2000, il PIL dell’UE (a parità di potere d’acquisto della Banca mondiale) sarebbe stato superiore a quello degli Stati Uniti, non inferiore. Un’Italia forte in un’UE forte sarebbe anche nell’interesse di tutti coloro che ritengono artificiose tali rivalità economiche internazionali, ma che vogliono che l’Europa preservi il suo modello sociale di democrazia liberale di equilibrio sociale nel 21° secolo.

La pandemia non è finita, le conseguenze economiche si faranno sentire a lungo. La ripresa economica dell’Europa è un’opportunità per innescare uno sviluppo economico sostenibile dell’Italia. Fino alla crisi del Covid-19, economicamente parlando, il Nord Europa stava reggendo abbastanza passabilmente rispetto agli standard internazionali, e l’integrazione economica degli Stati membri dell’Europa orientale era per lo più positiva. Oggi, il punto di rottura della zona euro e dell’UE sono l’Italia e il Sud Europa. In una prospettiva europea, la ripresa dell’Italia deve essere considerata un compito centrale della politica economica. L’inizio del mandato di Mario Draghi come primo ministro dovrebbe essere visto come un’opportunità per una “Nuova Politica del Sud Europa” nei prossimi anni, sia da parte della Commissione UE che del governo tedesco.

 

Traduzione di Otto Lanzavecchia. Un ringraziamento particolare a Philipp Heimberger per aver fornito il materiale e la versione italiana dei suoi grafici.



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