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In Polonia si accende la protesta delle donne, ma l’Europa chiude gli occhi

Di Giulia Koss

Sta nascendo una nuova Solidarnosc, a sfondo rosa, pronta a puntare il dito contro la timidezza dell’Unione Europea, che si limita a pronunciare parole di solidarietà, mentre dialoga con un governo che rappresenta l’antitesi dei suoi valori. La situazione polacca vista da Giulia Koss, consulente di Lewica, partito politico polacco di orientamento socialdemocratico, socialista ed europeista

È un film già visto. Mentre in Polonia soffia il vento (o meglio la tempesta) della storia, nella vecchia Europa, non più centro del mondo, si spengono i lampioni, come profetizzato da Edward Grey a Whitehall.

Mercoledì 27 gennaio, a seguito delle manifestazioni che hanno scandito l’autunno e l’inverno caldo polacco, sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le motivazioni della sentenza del Tribunale Costituzionale, emessa il 22 ottobre, relativa alla incostituzionalità dell’aborto in caso di gravi malformazioni del feto.

Ricapitolando: in Polonia l’aborto è consentito solo in caso di violenza sessuale, rischi alla salute e alla vita della madre o qualora tali rischi derivino da gravi malformazioni del feto. Quest’ultima circostanza può essere accertata dal medico curante, su cui viene scaricata, sostanzialmente, la responsabilità riguardo l’interruzione della gravidanza, con pene fino a tre anni di reclusione se riconosciuto colpevole di aver eseguito un aborto illegale.

Ma lo Strajk Kobiet, lo sciopero delle donne, non si placherà, come la rabbia e l’indignazione delle donne polacche che hanno programmato nuovi sit-in in oltre quaranta città. “Prawo i Sprawiedliwość”, la forza di governo guidata da Jarosław Kaczyński, un tempo era conosciuta come il partito dell’ordine, di napoleonica memoria, oggi è un  detonatore pronto a far saltare in aria sia la coesione sociale e gli equilibri interni al Paese, sia le relazioni economiche con Bruxelles. L’opposizione, seppur confusa, si ricompatta attorno alle rivendicazioni che incendiano il dibattito pubblico, le strade della capitale e le piazze dei piccoli centri urbani.

“Invece di affrontare insieme la più grave crisi mondiale dal dopoguerra, il PiS scatena una guerra interna alla Polonia e alle donne” tuona Barbara Nowacka, alle cui accuse si associano quelle del sindaco di Varsavia, Rafał Trzaskowski, del partito dei contadini, dell’Alleanza per la Sinistra Democratica e quelle di Szymon Hołownia di Polska 2050.

Un atto divisivo che depotenzia il tentativo, attuato nei giorni scorsi dal Premier Morawiecki, di riunire le forze politiche per avviare un confronto costruttivo legato alla campagna di vaccinazione in corso.

Un atto che mira a distogliere l’opinione pubblica dal collasso del sistema sanitario, che lo scorso anno ha causato 75mila morti in più, e dalle nuove restrizioni che verranno promulgate per far fronte alla pandemia.

È necessaria un’ultima osservazione, in materia di strategia politica, prima di giungere al bandolo della matassa. Stando agli ultimi sondaggi, è evidente che il PiS tema “la riscossa” e l’unità dell’opposizione, che attualmente gode del 42,5% dei consensi, in vista del voto nel 2023.

Ecco spiegato il motivo del suo sforzo nel ricucire lo strappo con la parte più conservatrice del governo, Solidarna Polska, e del suo esponente più autorevole, il Ministro della Giustizia  Zbigniew Ziobro, giustizialista di fede e professione, e il tentativo di tutelare i “valori non negoziabili”, il tutto penetrando nelle istituzioni europee attraverso un atteggiamento flessibile e utilitaristico. Ergo, meglio non “parlamentarizzare” la questione della sentenza e unirsi al silenzio del Presidente Duda e di Kaczyński.

Ma a far rumore ci pensa proprio lui. Qualche settimana fa, la tv pubblica ha trasmesso in diretta la messa per l’ottavo anniversario della morte di Jadwiga, la madre di Kaczyński. Quest’ultimo ha colto l’occasione per mettere in risalto “il male che si è impossessato della Polonia”.

Il male sarebbero le donne che non intendono gettare la spugna e i propri diritti in un fossato medievale. Il male è anche e soprattutto lei: Marta Lempart. Una paladina dei diritti civili, cresciuta tra i ponti di pietra e le pianure della Bassa Slesia, minacciata di morte dai neonazisti, diffamata da media controllati dall’esecutivo e inserita nella lista di proscrizione delle sette cattoliche.

Il male sarebbe Maciej Gdula, parlamentare di Lewica, che cerca instancabilmente di formulare una nuova narrazione europeista, progressista e nazionale, attraverso pubblicazioni, meeting, dirette Facebook, marce e cortei illuminati dalle bandiere arcobaleno. In Polonia la sfera pubblica sembra piegarsi all’egemonia dell’odio contro le donne, le comunità Lgbt, le minoranze etniche, gli intellettuali, le associazioni civili, contro qualsiasi “fiore di primavera” direbbe Robert Biedron.

Sorge una nuova Solidarnosc, a sfondo rosa, pronta a puntare il dito contro la timidezza di mamma Europa, che si limita a pronunciare parole di solidarietà, mentre dialoga con un governo che rappresenta l’antitesi dei valori europei tanto cari ai membri e ai dirigenti del PES, che sul piano della concretezza politica risulta non pervenuto.

In Polonia infuria la Storia, non la cronaca. In Polonia accadono eventi, non vicende. È nostro dovere, da abitanti e da stelle del cielo europeo, liberare la terra dei Tre Bardi dal vero male: la hybris degli attori in scena e la propensione insulare del pubblico.

E come scrisse il poeta dell’Osteria delle Dame “l’ignoranza fa paura e il silenzio è uguale a morte”.

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