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Born (again) in the Usa. Come investire negli Stati Uniti, le opportunità per gli italiani

Se è vero che la Cina si allontana, per le aziende europee che sapranno dimostrarsi innovative si apriranno diverse opportunità di business e partnership. Già nel 2021. Come segnalato da Export Usa, l’Italia è, insieme alla Germania, il paese favorito per la realizzazione di grandi opere con tecnologie innovative

Se, come appare del tutto probabile, tra Europa e Stati Uniti si tornerà a una maggiore vicinanza politica la pandemia resterà l’ultima, importante, variabile di una rinnovata liaison commerciale. Gli economisti assicurano che, da una parte all’altra dell’Atlantico, la ripresa sarà subito forte e chiara. Si esercitano nel precisare stime di crescita del Pil che il Fondo monetario internazionale indica oltre il 5% negli Usa e il 4% in Europa. Saranno gli investimenti pubblici a dare carburante a una nuova stagione economica che coinvolgerà capitale privato, imprese e consumatori. Se il sole della ripresa riscalderà un po’ tutti, resta da capire quali settori usciranno rinnovati e quali resteranno poco lontani dalla linea di partenza. Qualche cosa si può intuire.

L’industria delle costruzioni, ad esempio, è fertile negli Stati Uniti: basti pensare ai 1.300 miliardi di dollari spesi nel 2019, seguito dal massiccio investimento di 24,5 miliardi di dollari nel 2020. La ricetta per realizzare grandi opere con tecnologie innovative trova i suoi ingredienti principali in Italia e Germania.

Per capacità e propensione, Italia e Germania sono, infatti, favorite nelle partnership con le imprese statunitensi. Se poi queste imprese si riconoscono simili per storia e presenza sul mercato, le forniture e gli appalti, i progetti comuni di innovazione possono guadagnare l’intero slancio della ripresa.

Si può guardare indietro per capire il futuro e il funzionamento degli accordi. Finita l’Iri, grazie all’asse Ansaldo, Breda, Finmeccanica il sistema Italia ha potuto sperimentare e crescere, soprattutto nel settore dell’elettrico. Gli italiani sono quindi un passo avanti a tutti, in particolare nel contesto delle applicazioni (quadri elettrici, sistemi di segnalazione wiring). Quando nel 2015 il colosso Hitachi ha acquisito Ansaldo-Breda, sono iniziati i nuovi accordi tra Hitachi Usa e la sede italiana, per colmare il gap tecnologico americano nel settore delle applicazioni a supporto delle infrastrutture. C’era convenienza reciproca, qualità assoluta e anche consuetudine nell’approccio con una realtà pragmatica, tipica degli States, ma non per questo deregolamentata.

Per diventare fornitore di un grande contractor americano all’imprenditore italiano non basta il sorriso e la calorosa stretta di mano. Essere fornitori di un contractor americano significa strutturarsi in loco e costituire una propria società: è necessario diventare “americani agli occhi degli americani”. Sarà l’azienda a stabilire una propria presenza nel suolo Usa, funzionando come “importer of records”.

Questo, per far fronte ad un sistema giuridico, assicurativo e contrattuale completamente diverso da quello vigente oltreoceano. Nel caso di guasti o di complicazioni di carattere logistico, ad esempio, appare fondamentale disporre di ricambi e supporto tecnico in loco. Altrimenti, in quel caso, l’Europa rischierebbe di tornare lontana.

“L’ambizioso piano di investimenti del valore di un trilione di dollari per la transizione alla green economy e per il rinnovo delle infrastrutture, comporterà l’esigenza, da parte dei contractor americani, di importare tecnologie, macchinari, beni industriali ed impiantistica dall’Europa” prevede Lucio Miranda, presidente di Export Usa che affianca e struttura migliaia di aziende italiane nel mercato americano. Sulla base di vent’anni di consulenza fra Bruxelles e New York (ma con solide basi in Emilia-Romagna, a Rimini) indica un cambio di scenario che prende atto del raffreddamento dei rapporti con Pechino che precede e segue l’elezione di Joe Biden.

Viene rimessa in discussione tutta la “supply chain” dei grandi comparti Usa. Cina e India disponevano del 40% delle materie prime dell’industria farmaceutica americana, ora si stanno progressivamente creando le condizioni per avviare trattative con partner più affidabili e meno distanti dal punto di vista geopolitico. “È fondamentale sapere – spiega Miranda – che sempre più spesso i contratti contengono clausole ‘no China’ e questo costituisce un’opportunità immensa per tutti i fornitori europei che saranno identificati dalle società americane che si aggiudicheranno le gare”.


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