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La globalizzazione dell’Eurasia che viaggia in ferrovia

A molti sembrerà sicuramente rétro parlare di ferrovie nel XXI secolo. E tuttavia, anche nel tempo della straordinaria fioritura di cavi sottomarini e antenne 5G, le vecchie strade ferrate che rivoluzionario le economie e le società del secolo XIX rimangono uno degli strumenti attraverso i quali procede l’internazionalizzazione iniziata più di 150 anni fa, e certo non a caso.

Le ferrovie, infatti, in certe condizioni, rappresentano un mezzo di trasporto assai più veloce ed efficiente rispetto alle spedizioni marittime. Una di queste condizioni è l’esistenza di una rete su ferro transnazionale che sia omogenea, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello squisitamente burocratico. Nel senso che il passaggio fra le varie frontiere sia reso agevole e non ostacolato dalle frizioni fra i governi.

Il verificarsi di queste condizioni presuppone che i governi dei paesi attraversati da queste linee ferroviarie vogliano condividere queste reti di trasporto. E perciò che ci sia una qualche visione comune almeno relativamente alle modalità di approvvigionamento da perseguire per garantirsi la crescita economica.

Lette da questa particolare angolatura, le numerose cronache che arrivano dall’imponente massa dell’Eurasia – quell’ampio mondo che passa dalla Turchia, arriva in Russia e giunge in Cina – raccontano che quella che abbiamo chiamato la globalizzazione emergente ha trovato nelle vecchie ferrovie uno degli strumenti principali per condividere un progetto di internazionalizzazione che, in qualche modo, si offre come alternativa a quella che siamo abituati a conoscere e che si basa sulle spedizioni di merci via mare.

Ovviamente non bisogna esagerare. I traffici marittimi pesano ancora oltre il 90% degli scambi internazionali. Ma seguire le cronache dell’internazionale ferroviaria, chiamiamola così, serve a comprendere che non dovremmo dare per scontato il mondo che conosciamo. Per la semplice ragione che operano forze profonde che, a lungo andare, possono condurci verso cambiamenti altrettanto profondi. Fino ad allora possiamo solo osservare ciò che accade e provare a delineare alcune congetture.

Fra le notizie più recenti che testimonia dell’attivismo ferroviario degli stati che ruotano attorno alla globalizzazione emergente vale a pena riportarne giusto alcuni. La prima, che risale ad alcuni giorni fa, è l’incontro che si è tenuto a Baku fra il ministro degli esteri iraniano e le autorità azere, che era stato preceduto di pochi giorni da un altro incontro, sempre a Baku, fra l’ambasciatore iraniano a Baku e il direttore delle ferrovie azere. Sul tavolo, oltre al solito International North–South Transport Corridor, proprio lo sviluppo di un vecchio progetto di ferrovia che colleghi Turchia-Iran e Pakistan.

L’attivismo ferroviario degli azeri non deve stupire. Da tempo il paese è impegnato nel promuovere la sua campagna per proporsi come hub regionale per tutte quelle che i cinesi chiamano vie della seta, – è utile ricordare che quest’anno è previsto il “varo” del primo treno di container fra l’Azerbaijan e la Cina – giocando in squadra con un altro player, col quale condivide etnia e religione: la Turchia.

La Turchia infatti mostra un notevole attivismo ferroviario. Proprio di recente il paese ha inviato due treni carichi di merci: uno in Russia e l’altro in Cina, disegnando così quel perfetto triangolo di interessi fra i tre paesi che abbiamo già individuato altrove. Per le sue spedizioni la Turchia ha usato la Baku-Tbilisi-Kars (BTK).

Un’infrastruttura che nei disegni turchi – ma non solo turchi – è centrale in quella che viene definita la Iron silk road che connetta la Cina all’Europa, una ambiziosa rete di collegamenti ferroviari che lascia capire quanto sia concreta questa partita.

Le prime due spedizioni di merci turche in Russia e Cina è il segnale concreto che questa globalizzazione su ferro ha iniziato la sua epopea.

Non meno importante per il nostro breve excursus sulla globalizzazione ferroviaria dell’Eurasia l’annuncio del primo ministro kazako del 26 gennaio scorso del progetto per la costruzione di una ferrovia ad alta velocità che colleghi lo stato centroasiatico con l’Uzbekistan. La linea “Turkestan – Shymkent – Tashkent” dovrebbe servire a promozionare non solo il turismo regionale, ma anche un’idea comune di sviluppo economico basata proprio sugli interessi comuni.

L’intento è lo stesso che anima le discussioni fra Uzbekistan e Pakistan, anch’essi impegnati nell’idea di costruire una linea ferroviaria che li colleghi attraverso l’Afghanistan. E se si ricorda quanto siano strategici il Pakistan e l’Uzbekistan nella visione cinese della globalizzazione prossima ventura, si capisce da dove parta la nostra internazionale del ferro.

Nessuno può dire oggi dove ci condurrà. D’altronde neanche i pionieri delle ferrovie di due secoli fa ne avevano idea.


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