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Il potere economico mondiale? È delle donne

Lagarde, Okonjo-Iweala, Georgieva e Renaud-Basso. Queste leader mondiali sono nate professionalmente negli anni del “Washington consensus” ma hanno dato segni, più o meno aperti, di essersene allontanate. Ora hanno ruoli chiave nel governo della globalizzazione. Sta a loro mostrare come farlo con fatti concreti

Lunedì 8 febbraio, il supplemento “Economia” del Corriere della Sera è stato dedicato a quella che possiamo chiamare “la questione femminile”: il basso tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, l’altissima percentuale di donne tra coloro che nel 2020 hanno perso l’occupazione, la bassa percentuale di donne con un diploma di laurea, la scarsa presenza femminile ai programmi di formazione continua delle politiche attive del lavoro. E via discorrendo.

È un problema italiano o mondiale? Vale la pena chiederselo perché quasi contemporaneamente l’economista austriaco Kurt Bayer, sul suo blog su WordPress, faceva notare come, per una serie di circostanze, quattro delle maggiori istituzioni economiche internazionali sono ora guidate da donne: il Fondo monetario internazionale (Fmi), l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), la Banca centrale europea (Bce), e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers).

Kurt Bayer è stato mio compagno di studi, oltre cinquanta anni fa, alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University. Dopo una carriera nel maggior centro internazionale di ricerca economica nei pressi di Vienna, è stato per alcuni direttore generale del ministero dell’Economia e delle Finanze con delega per la politica economica internazionale e successivamente componente dei Consigli d’Amministrazione della Banca mondiale, prima, e della Bers, poi. Attualmente, oltre a scrivere su WordPress, anima seminari internazionali tra Vienna, Oxford e Shangai.

Chi sono le quattro leader dell’economia mondiale? La nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala appena nominata direttore Generale dell’Omc, la bulgara Kristalina Georgieva alla guida del Fmi, e le due francesi Christine Lagarde e Odile Renaud-Basso, presidenti rispettivamente della Bce e della Bers. Bayer le ha conosciute tutte e quattro personalmente a ragione dei suoi incarichi professionali e, nel suo articolo, ricorda i tratti di ciascuna di esse nell’interazione con lui.

Il vostro chroniqueur non conosce personalmente nessuna delle quattro leader, anche se ne ha letto saggi e articoli ed è ben al corrente sulla loro esperienza. Sulla base di queste informazioni si possono fare alcune riflessioni.
In primo luogo, cosa indica il ruolo delle quattro leader nelle posizioni apicali di quattro delle maggiori organizzazioni internazionali a carattere economico? Il curriculum e gli scritti di Ngozi Okonjo-Iweala, Kristalina Georgieva, di Odile Renaud-Basso e in certo qual modo anche di Christine Lagarde sono un segnale forte della fine di quel “Washington consensus” che ha guidato il pensiero e le politiche economiche internazionali dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso sino alla crisi finanziaria del 2008-2009. Il “Washington consensus” – così chiamato perché rispecchiava la “dottrina dominante” della Banca mondiale, del Fmi, del Tesoro e della Federal Reserve Usa, nonché delle maggiori università americane, si basava su paradigmi neoliberisti di integrazione economica e finanziaria internazionale e di arretramento marcato del ruolo dello Stato nell’economia. L’assunto era che la globalizzazione si sarebbe autogovernata e avrebbe da sola anche contribuito alla riduzione delle diseguaglianze sia tra Paesi sia all’interno di Paesi. Voci autorevoli – ricordo un documento del Consiglio Pontificio Justitia et Pax alla fine degli anni Novanta – che insistevano perché la globalizzazione venisse “governata” utilizzando al meglio le esistenti organizzazioni economiche internazionali a tale fine, sono state ignorate. La crisi del 2008-2009 è stata una sveglia brutale.

Ngozi Okonjo-Iweala, Kristalina Georgieva, Odile Renaud-Basso e anche Christine Lagarde sono nate professionalmente negli anni del “Washington consensus” ma hanno dato segni, più o meno aperti, di essersene allontanate. Ora hanno ruoli chiave nel governo della globalizzazione. Sta a loro mostrare come farlo con fatti concreti. Kristalina Georgieva, ad esempio, ha guidato a lungo il settore “ambiente” della Banca mondiale, prima di essere eletta alla guida del Fmi, dove si è data il compito di modernizzarne approcci e linee guida. Odile Renaud-Basso ha grande esperienza dei problemi dei Paesi in via di sviluppo che le potrà essere utile nell’affrontare con un piglio innovativo quelli della Russia (il maggior “cliente” della Bers). Ngozi Okonjo-Iweala è stata ministro dell’Economia e delle Finanze in patria e precedentemente segretario generale della Banca mondiale: ha il dinamismo e la capacità per rendere più efficace l’Omc. Christine Lagarde, dal canto suo, ha già innovato la Bce con il programma speciale per la pandemia.

In secondo luogo, occorre chiedersi perché è così raro vedere italiani (uomini o donne) alla guida di organizzazioni economiche internazionali? Mancano i candidati? O la Farnesina e Via Venti Settembre non sono organizzati per proporli e promuoverli?

 

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