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L’ambientalismo pragmatico di Bill Gates: 4 soluzioni per evitare il disastro

Il fondatore di Microsoft ha appena pubblicato  “Come evitare una catastrofe climatica”, ed esplora le soluzioni più dirette per coniugare crescita economica e sostenibilità ambientale. Ci vorranno coraggio e coesione, avverte, ma la scommessa darà i suoi frutti. Un messaggio a dirigenti industriali e politici

Non esistono risposte definitive alla crisi climatica. Le aziende possono fare una differenza sostanziale per il clima, ma non sarà facile. Evitare un disastro climatico richiederà un altro modo di fare affari, il coraggio di assumersi rischi che molti dirigenti non sono abituati a prendersi, né i loro investitori sanno premiare. Questo è il succo della risposta di Bill Gates, il filantropo miliardario attentissimo alle questioni climatiche, quando un amministratore gli chiede cosa possa fare la propria azienda per il clima.

Il fondatore di Microsoft sta dedicando la seconda parte della sua vita a obiettivi filantropici, sostenuti attraverso la Bill & Melinda Gates Foundation, la seconda più grande nonprofit al mondo che si occupa di sanità, sviluppo e istruzione nei territori più svantaggiati. Il titolo del suo ultimo libro, “Come evitare una catastrofe climatica”, parla da sé. Dopo le questioni sanitarie, ora è il momento dei temi ambientali, ma in maniera radicalmente diversa dagli altri attivisti.

In un recente articolo apparso sul Financial Times Gates ha spiegato di essersi interessato alla questione climatica indirettamente, attraverso i suoi sforzi umanitari. “È virtualmente impossibile intaccare realmente le malattie e la povertà se [860 milioni di persone al mondo] non hanno un accesso affidabile ai benefici che porta l’energia”, come elettricità per scuole e ospedali, trasporti, o addirittura il fertilizzante agricolo. “Ma il raggiungimento di uno stile di vita moderno è basato sui combustibili fossili. E il problema è semplice: non possiamo permetterci di rilasciare più gas serra.”

L’orizzonte indicato dagli scienziati è zero emissioni nette entro il 2050 per contenere il riscaldamento del globo (e i disastrosi effetti a catena che ne conseguirebbero) entro 1,5 gradi Celsius. Mentre raccoglieva i dati, faceva ricerca e scriveva il libro, Bill Gates si è convinto che si possa fare, anzi si è dichiarato “ottimista”. Però il successo dipende quasi interamente dalle “entità capaci di operare su scala globale: governi, nonprofit e aziende”. Il libro, di fatto, è dedicato ai leader globali, e contiene dati, istruzioni e realtà pragmatiche per coniugare crescita economica e sostenibilità ambientale.

Il cardine dell’analisi di Gates sono i green premiums, ossia il sovrapprezzo che deriva dalla scelta di una soluzione a emissioni zero rispetto a una tradizionale e inquinante. Il discorso si applica a elettricità, manifattura, agricoltura, trasporti, climatizzazione, per citarne un paio. Ma anche se alcuni di questi sovrapprezzi sono sostenibili nei Paesi più ricchi, capaci di produrre più energia rinnovabile e accollare un sovrapprezzo contenuto al consumatore, nella stragrande maggioranza dei casi essi sono semplicemente insostenibili.

Il prezzo esorbitante dei green premiums nel mondo è dovuto al fatto che i prodotti verdi devono affrontare la competizione impressionante delle loro controparti inquinanti, spiega Gates. Il carburante per le navi cargo, ad esempio, costa circa 0,34 dollari al litro, mentre quelli “verdi” costano tra 1,45 e 2,09 dollari al litro, un aumento che oscilla tra il 300 e il 600 per cento. Nessuna società potrebbe permettersi di cambiare strategia a questi livelli di prezzo. In più il sistema di estrazione, approvvigionamento e vendita dei carburanti fossili è stato sviluppato per decenni, e il prezzo non riflette il danno causato all’ambiente o alle persone.

La produzione di energia verde si ripercuote positivamente su tutti i settori a valle, dai trasporti all’industria manifatturiera. Non sarà facile riconvertire l’industria energetica, un leviatano da 5mila miliardi di dollari l’anno che non è abituato a cambiamenti repentini. Dobbiamo “forzare un’evoluzione innaturalmente veloce”, spiega Gates, occorre iniziare subito il lavoro per creare le politiche, le tecnologie e le strutture di mercato per rendere la transizione verde possibile.

“La buona notizia è che c’è un interesse crescente tra i gruppi meglio equipaggiati per guidare questa transizione, ossia aziende e governi. La cattiva notizia è che essi non hanno le strutture economiche per permettergli di incidere [sulla realtà], e dunque spesso promuovono iniziative che fanno bella figura sulla carta, ma non servono a risolvere il problema”. Piantare alberi, ad esempio: piace un po’ a tutti ma è poco efficace, perché la quantità di CO2 che assorbono è risibile rispetto alle nostre emissioni odierne. Solo per bilanciare quelle americane si dovrebbe riforestare metà delle terre emerse del pianeta.

La soluzione Gates, innervata di puro pragmatismo, si articola in quattro fasi. Occorre anzitutto mobilitare il capitale per ridurre i green premium, specialmente per le industrie in cui questi sono ancora a livelli proibitivi, come acciaio e carburanti. Insomma, occorre la volontà di accettare investimenti rischiosi e più probabilità di ritorni inferiori o perdite. Eppure più le aziende investiranno in soluzioni innovative, e più lo faranno insieme, più diminuiranno i rischi singoli, e più sarà forte il segnale lanciato al resto del mercato: un circolo virtuoso.

La seconda fase passa dalla scelta dei prodotti. Un’azienda di autotrasporti, per esempio, può optare per una flotta elettrica – e maggiore sarà la domanda, maggiore la spinta del mercato in quella direzione e la riduzione dei costi. Una pratica che si sta diffondendo in America è di “bilanciare” l’inquinamento prodotto viaggiando in aereo comprando carburante verde assieme al biglietto, creando di ritorno più domanda per quest’ultimo. Oppure una compagnia aerea può decidere di imporsi un prezzo e “pagare” le emissioni nocive, costringendosi a compiere scelte più verdi e investendo la “tassa sul carbonio” in attività più virtuose.

La terza fase consiste nell’incrementare la ricerca e lo sviluppo di soluzioni. Gates porta come esempio Impossible Foods, una compagnia in rapidissima crescita che ha recentemente raddoppiato gli investimenti in R&S per creare e commercializzare un’alternativa sostenibile alla carne. A marzo 2020 i prodotti della compagnia erano disponibili in 150 supermercati americani, oggi quel numero è salito a 15.000.

Infine occorre ripensare le leggi e le politiche ambientali in maniera radicale e trasversale. Il filantropo, che di norma è notoriamente avverso agli interventi statali, fa presente che una spinta ben calibrata dall’alto può innescare uno tsunami di cambiamenti. Si tratta di legiferare in “verde”: considerare l’impatto delle decisioni sul clima in qualsiasi settore, rimuovere gli ostacoli burocratici alla creazione di realtà innovative, aggiornare gli standard di emissioni, incentivare (leggi: detassare) le soluzioni verdi e imporre prezzi più alti sulla produzione di gas serra. Lo stato può mandare un segnale anche solo comprando esclusivamente forniture verdi, segnalando al mercato che c’è domanda per questo tipo di prodotti.

La scommessa di Bill Gates è di lungo respiro. Ci vuole coraggio, ripete per tutto l’intervento su FT, e almeno inizialmente sarà più costoso. Ma innescando questa serie di comportamenti virtuosi, la convenienza di scegliere il verde aumenterà seguendo le logiche di mercato. La miccia e la responsabilità sono in mano ai politici e ai dirigenti che avranno il fegato di buttarsi, ma proprio loro guadagneranno dividendi più in là: la gente si ricorderà di chi parlava di aria fritta e chi invece faceva sul serio per salvare il pianeta dal disastro. E il consenso sulla necessità di evitare la catastrofe non è mai stato così alto.

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