Il nuovo Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili dovrà fare un salto politico, culturale, tecnologico e industriale gigantesco. Ma Giovannini è la figura giusta, e l’Italia oggi è nelle condizioni di poter lanciare un ponte verso il futuro. Perché ne abbiamo le capacità e le competenze. L’opinione di Erasmo D’Angelis, già sottosegretario al Mit
Correva l’anno 1860, era il mattino del 21 gennaio e il presidente del consiglio Camillo Benso di Cavour, al suo primo governo dell’Italia unita, nominò il primo ministro del primo ministero istituito: il “Ministero dei Lavori Pubblici”. Il giovane esponente della borghesia agraria lombarda Stefano Jacini aprì le porte di un bel palazzo romano di Piazza di San Silvestro, e iniziò la grande storia del ministero dei cantieri.
Passarono molti decenni e nell’anno 2001, il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, al suo secondo governo, lo rinominò “Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti”, cancellando tout court il mitico acronimo “LLPP”. Cinque anni dopo, nel 2006, il presidente del consiglio Romano Prodi, lo divise letteralmente in due: un’ala al nuovo “Ministero dei Trasporti” e l’altra al nuovo “Ministero delle Infrastrutture”. La Finanziaria 2008, in piena devoluzione con la riforma Bassanini, su decisione del Governo Berlusconi IV, ripristinò il “Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti”.
Corre oggi l’anno 2021 e il Governo Draghi, da venerdì scorso, ha denominato il ministero nel complesso di Villa Patrizi sulla Nomentana a due passi da Porta Pia e dal luogo della mitica breccia, “Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili”. Sparisce l’altro celebre acronimo “MIT”, e il nuovo ministro Enrico Giovannini, personalità che ben conosce eccellenze e ritardi dei meandri ministeriali essendo stato ministro del Lavoro e presidente dell’Istat, prepara la grande svolta dei cantieri green del Next Generation Eu, l’avvio della più diffusa, complessa, affascinante e impegnativa cantierizzazione dal dopoguerra.
Tra tanti mugugni e perplessità, sono tra le schiere di chi applaude al nuovo nome e al cambio di marcia, urgente e necessario, per il ministero che un po’ conosco essendoci stato da sottosegretario con il Governo Letta, e so che il nuovo MIMS farà la differenza perché, inutile farsi troppe illusioni, il NGEU e il green new deal italiano passano dalla breccia di Porta Pia. Se c’è una piattaforma dei cantieri, questa ha la sua sede naturale in quegli uffici dove funzionari e dirigenti, con altissime professionalità e competenze, sono formati per pianificare, progettare, dirigere lavori, controllarli, analizzare costi e benefici di opere, garantire la loro fattibilità economico-finanziaria, coordinare e mettere in campo le enormi capacità tecniche dei Provveditorati alle Opere Pubbliche (Torino, Milano, Venezia, Firenze e Umbria, Napoli, Palermo e Calabria, Cagliari).
Le sue competenze sono vastissime: strade e autostrade e ferrovie, grandi infrastrutture strategiche, porti, aeroporti e interporti, dighe e opere idriche, edilizia scolastica, e-mobility con la conversione dei trasporti pubblici e privati in chiave green e l’automotive, rigenerazione di periferie urbane, edilizia e social housing, soluzioni da smart city, navigazione e altro. Draghi lo ha affidato non a caso a Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo sostenibile che promuove in Italia l’Agenda 2030 dell’Onu per la sostenibilità, che in questi mesi non è stato per nulla tenero con le bozze del Piano Recovery elaborate dal Governo Conte.
Più volte, come ha fatto il Commissario agli Affari Economici Ue Paolo Gentiloni, ne ha evidenziato carenze e paradossi, “mancanza di visione” o di “tabelle dettagliate con indicatori di risultato”. E la sua vice è Teresa Bellanova, la cui competenza, concretezza nell’agire e nel mettere in campo discontinuità per il bene del Paese è nota.
Va oggi recuperato in fretta il tempo perduto perché il conto alla rovescia del più imponente e ricco piano di rilancio è già iniziato dal 16 agosto scorso, e noi dobbiamo riallinearci alla tabella di marcia. Mario Draghi, con il Ministro Franco e il Ragioniere Generale dello Stato Biagio Mazzotta, hanno affidato alla task force della Ragioneria generale coordinata da Carmine Di Nuzzo il compito di riscrivere il piano per presentarlo fra sette settimane al “Recovery and resilience task force”, il nostro interlocutore su linee guida, regolamenti, obiettivi, monitoraggio dell’attuazione nelle 6 macro-aree: transizione ecologica (68,9 miliardi), digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (46,1 miliardi), infrastrutture per una mobilità sostenibile (31,9 miliardi), istruzione e ricerca (28,4 miliardi), inclusione e sociale (27,6 miliardi), salute (19,7 miliardi).
Dovrà essere in linea con il nuovo “Piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, affidato al ministro Roberto Cingolani che guida il nuovo “Ministero della Transizione ecologica”, altro significativo cambio di nome del Ministero dell’Ambiente, per essere coerenti con gli obiettivi europei del taglio delle emissioni killer per il clima al 55% entro il 2030 e della de-carbonizzazione nel 2050.
Al ministero di Giovannini sanno che va rispettata la tempistica europea che è molto rigorosa e impegnativa: entro il 31 luglio 2023 vanno superate le fasi del progetto e dell’assegnazione di gara, ed entro il 31 luglio 2026 l’opera va consegnata, pena l’intera restituzione dei fondi impegnati. Sanno che mai come oggi va recuperata e ritrovata, con urgenza massima, la capacità di saper progettare e saper “mettere a terra” i cantieri, in un Paese che deve fare i conti con ritardi pazzeschi e 694 progetti incagliati da anni alla Commissione VIA dell’ex Maatm, e con supporti di riforme e semplificazioni per la riduzione di “tempi morti”.
Ma l’Italia oggi è nelle condizioni di poter lanciare un ponte verso il futuro. Perché ne abbiamo le capacità e le competenze, e siamo tra i territori più globalizzati e con le migliori filiere delle esportazioni. Essere finiti nel pantano dei ritardi non è da italiani. Soprattutto occorre sboccare i fondi già a disposizione – europei e nazionali – che erano e sono tanti, benedetti e spendibili subito, ma sono impaludati nella “pancia” di ministeri e regioni per un accavallarsi impressionante di burocrazie, per un corpus giuridico che favorisce molto l’arzigogolo e molto poco l’efficienza e lo stato semplice, per infinite attese di procedure solo formali o di un visto politico, timbri, firme perché la dittatura delle logiche di carta prevale sulla realtà quotidiana.
Prendono polvere nei cassetti almeno 130 miliardi di euro appostati ma fermi, anche in parte per affidamenti sbagliati come le competenze di cantiere – dalle scuole alle bonifiche alle opere di contrasto al dissesto – trasferite a ministeri come l’Istruzione o l’Ambiente privi ormai da anni della parte tecnica e palesemente non in grado di farcela. Questa cifra impaludata e spendibile è metà del Next Generation Eu italiano! E a questa possiamo anche aggiungere un altro file di risorse da incentivare e che valgono cantieri e micro-cantieri edili utilissimi come quelle dei bonus, ecobonus, sismabonus con annualità al 2032 nei piani nazionali di difesa da rischi naturali, ma finora scarsamente utilizzati per scarsa comunicazione e semplificazione nell’accesso.
Il nuovo ministero di Giovannini può fare l’impresa, e del resto nasce con questa spinta e ambizione. Il ministro ha annunciato cinque gruppi di lavoro interni – progetti, confronto con la Commissione Ue, innovazioni normative, l’innovazione interna, nuovi sistemi informativi per monitorare la realizzazione delle opere, valutazione dell’impatto economico, sociale e ambientale – per ripensare le infrastrutture, il sistema dei trasporti, l’edilizia, le città sostenibili.
È un salto politico, culturale, tecnologico e industriale gigantesco. Ed è una ulteriore garanzia aver chiamato con sé anche Carlo Carraro, un grande esperto di effetti dei cambiamenti climatici, con un quadro chiaro e concreto dei rischi e delle opportunità. Docente di economia ambientale e già rettore della Ca’ Foscari di Venezia, da almeno 20 anni valuta gli altissimi costi in vite umane ed economici e produttivi del mancato adattamento al clima, un disastro nel disastro.
Sa dove mettere le mani nel complesso degli interventi per ridurre gli impatti sui nostri territori con siccità sempre più prolungate e piogge a carattere sempre più esplosivo con alluvioni devastanti, dissesto idrogeologico impressionante, desertificazione, cuneo salino costiero, aumento progressivo del livello del mare. Effetti che richiedono restyling e adeguamento di sistemi urbani costieri, infrastrutturali, di mobilità, di aree portuali o agricole.
Mai come oggi riparare, ricostruire, modernizzare l’Italia è il grande cantiere alla nostra portata, la vera grande spinta all’economia e al lavoro.