Csm, Palamara e il sistema giudiziario. L’opinione di Umberto Saccone
Caro direttore,
ma Palamara era veramente quel mostro che tutti disegnano? Era veramente la faccia di tonno che il Presidente Francesco Cossiga aveva stigmatizzato con Maria Latella quel 16 gennaio del 2006 intervenendo telefonicamente negli studi di Sky TG 24 mentre la giornalista intervistava il magistrato?
Due i punti toccati dal Presidente emerito:
1. La battaglia contro la magistratura è stata persa quando è stata abrogata l’immunità parlamentare;
2. L’associazione Nazionale Magistrati è un’associazione tra il sovversivo e lo stampo mafioso.
Alle considerazioni di Cossiga ne aggiungerei una terza: la riforma del Codice di Procedura Penale introdotto con decreto del Presidente della Repubblica il 22 settembre del 1988. Quel Presidente era Francesco Cossiga, 8º Presidente della Repubblica Italiana dal 3 luglio del 1985 al 28 aprile del 1992.
Chissà se “il picconatore” attaccando Palamara avrà per un momento pensato di aver commesso un grave errore quando nel portare l’Italia ad allinearsi alle Convenzioni Internazionali, trasformando quel Codice da inquisitorio ad accusatorio, aveva partorito di fatto solo un topolino. Infatti nel nostro sistema la parità delle parti processuali è tutt’altro che raggiunta facendo venire meno il valore del contraddittorio nella formazione della prova creando di fatto un vulnus processuale in quanto la parità delle parti con un giudice unico e imparziale sono ancora al di là di essere raggiunti.
Ma tornando a Palamara, piuttosto che disquisire sulla inadeguatezza del nostro processo, di fatto monco e non completamente realizzato, sarebbe opportuno soffermarci su cosa abbiano creato queste disfunzioni. Un cantiere interrotto a metà. Un cantiere interrotto come le circa 700 opere pubbliche mai concluse nel nostro Paese. Le autostrade che non portano da nessuna parte, le ferrovie senza binari, le dighe inutilizzate, ma anche scuole elementari e medie, residenze per anziani e impianti di depurazione. I ritardi e le modifiche sono costati alla collettività più di 4 miliardi di euro. Sarebbe utile e interessante poter conoscere il costo della giustizia incompiuta.
Una giustizia che, leggendo il libro “Il Sistema” edito da Rizzoli dove Alessandro Sallusti intervista Luca Palamara, ne esce sconquassata ovvero sbatacchiata, a pezzi, spaccata, fracassata, rovinata, sformata, scompigliata, scardinata, sgangherata, sconvolta, turbata, scombussolata, frastornata. In pratica è arrivato il momento di riformarla.
Il sistema giudiziario o meglio quello processuale si presenta come un ectoplasma dove la difesa continua ad essere completamente ingessata anche per responsabilità di quella parte ¬- gli avvocati – eccessivamente ossequiosi con gli uffici del Pm e restii a difendere investigando.
Dove stanno i media? Dove sta quel tic tic disordinato, ora tachicardico ora lento delle redazioni dei giornali? Come quando La Repubblica senza soluzione di continuità per 60 lunghi giorni pose a Berlusconi, con un articolo in prima pagina, 10 domande tutte riferibili alle inclinazioni sessuali del premier.
Ora Palamara ci dice che era tutto orchestrato dalla sinistra una sorta di giustizia ad orologeria.
Ma la Giunta Esecutiva Centrale dell’Anm, di cui Palamara era stato presidente dal maggio del 2008 al marzo del 2012, stigmatizza: “Riteniamo sia inammissibile parlare di ‘giustizia ad orologeria’: l’azione della magistratura non si arresta mai e non è mai rivolta a una contingenza politica o a favorire o danneggiare una parte politica. Ogni giorno la magistratura emette migliaia di provvedimenti e non è accettabile parlare di interventi orientati, mediaticamente pilotati o aventi finalità politiche. I provvedimenti della magistratura hanno sempre un unico obiettivo, la tutela dei diritti dei cittadini, senza distinzioni. Non possiamo dire che sono giuste quando trovano il nostro gradimento o che sono politiche quando non ci piacciono, i magistrati non svolgono un’azione politica, ma applicano rigorosamente le leggi dello Stato. È giusto fare chiarezza su questo perché vogliamo evitare dannosi tuffi in un passato che non vogliamo più rivivere e interrompere un refrain che rende un cattivo servizio ai cittadini”.
Complimenti, che bravi! Ma allora perché mai il Presidente Mattarella riferendosi al Csm parla di “modestia etica” e “dilagante malcostume”?
La commistione tra politica e giustizia ci sta confinando in una trappola permanente generando incertezza nelle imprese, nei ceti medi e, peggio tra tutti, il confinamento dei soggetti più deboli creando conseguenze sociali negative. Tutto questo porta al centro del dibattito la necessità di introdurre mutamenti radicali nelle istituzioni dello Stato ridisegnando i rapporti esistenti tra politica e giurisdizione.
Osserviamo i prodromi di atti radicali di disobbedienza che si manifestano anche con richiami al Presidente della Repubblica come quello del “Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito” che oltre a sostenere una riforma radicale della Giustizia proclama il dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, alla obiezione di coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita, della vita, del diritto, della legge.
Penso che gli innumerevoli segnali che provengono da più parti debbano responsabilmente iniziare a preoccuparci. La crescita dell’insicurezza sociale intesa come sfiducia nelle istituzioni può portare anche a gravi comportamenti di massa.
Non vorrei risentire di nuovo quel tintinnare di sciabole che nel luglio del 1964 il presidente della Repubblica Antonio Segni, d’accordo con il generale comandante dell’Arma dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, volle farci ascoltare. Era il piano Solo, mai completamente svelato nella sua consistenza, che mirava ad enucleare settecentotrentuno persone – sindacalisti, politici, militanti – da portare in una località protetta della Sardegna scelte sulla base dei dossier del Sifar, il Servizio informazioni forze armate attivo dal 1949 al 1966.
Un piano che presentava delle peculiarità legate a vicende politiche strettamente italiane maturato alla luce di riforme promesse e mai realizzate e comunque frutto di un quadro instabile che, parallelamente a quello che accade nei nostri giorni, la politica non riusciva a risolvere.