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Quello che i dati Istat non evidenziano sulla disoccupazione femminile

L’ennesimo bollettino di guerra poiché l’occupazione cala nonostante il blocco dei licenziamenti, e colpisce tutte le fasce di età a esclusione degli ultracinquantenni, invece in crescita, ma non le donne ultracinquantenni. E non solo. In generale si tratta di un crollo quasi esclusivamente al femminile: in totale i lavoratori scendono di 101 mila unità, ma di questi 99 mila sono donne e 2000 sono uomini

L’Istat ha pubblicato i dati aggiornati sulla situazione occupazionale ed è l’ennesimo bollettino di guerra poiché l’occupazione cala nonostante il blocco dei licenziamenti, e colpisce tutte le fasce di età a esclusione degli ultracinquantenni, invece in crescita, ma non le donne ultracinquantenni. E non solo. In generale si tratta di un crollo quasi esclusivamente al femminile: in totale i lavoratori scendono di 101 mila unità, ma di questi 99 mila sono donne e 2000 sono uomini.

E il tasso di occupazione delle donne a dicembre cala di 0,5 punti e cresce quello di inattività (+0,4 punti), per gli uomini al contrario la stabilità dell’occupazione si associa al calo dell’inattività (-0,1 punti). In generale, c’è un forte aumento dell’inattività ma solo per la fascia dei età giovanile e per quella centrale. Nel confronto con l’anno scorso, c’è una drammatica prevalenza femminile, e le donne in 312 mila perdono il lavoro, mentre gli uomini , perdono 132 mila unità.

La maggiore fragilità del lavoro femminile è dovuta al fatto che in percentuale le donne sono maggiormente occupate nei servizi, in lavori precari o per i quali è possibile licenziare.. E inoltre la riduzione delle posizioni lavorative durante il periodo di lockdown ha inciso in misura rilevante soprattutto sulle lavoratrici riflettendo in buona parte, anche in questo caso, l’andamento particolarmente negativo del settore turistico e di quello dei servizi alla persona, dove le donne rappresentano in media i tre quinti degli addetti e la contrazione delle attivazioni nette è ben visibile sin dall’avvio dell’emergenza sanitaria in tutte le aree ma è stata più intensa in quelle in cui è maggiore l’incidenza delle occupate e dei contratti a tempo determinato.

A questo dato si associa è utile associare il rallentamento della spesa delle famiglie rispetto all’anno precedente, superiore a quello del reddito disponibile, che ha verosimilmente risentito anche di una graduale flessione degli indici di fiducia dei consumatori dovuta a valutazioni meno favorevoli sulla situazione economica dell’Italia e sull’andamento del mercato del lavoro e sulla disoccupazione femminile aumentata progressivamente .L’emergenza sanitaria e i provvedimenti di sospensione delle attività produttive adottati per contenerla hanno determinato un marcato deterioramento della condizione economica per l’insieme delle famiglie;circa i due terzi dei nuclei familiari con almeno un componente precedentemente occupato hanno registrato episodi di riduzione dell’attività lavorativa; la quota supera l’80 per cento quando il capofamiglia è lavoratore autonomo o dipendente a tempo determinato o donna con figli a carico.

Nel 2020 le famiglie hanno risentito della contrazione del reddito seguita alle misure di contenimento della pandemia e della caduta dei corsi dei titoli, che ha ridotto la ricchezza finanziaria; dunque i pochi risparmi delle famiglie hanno risentito dell’avversione al rischio e la preferenza per strumenti finanziari più sicuri che tutelassero il risparmio o comunque il peggioramento delle prospettive di crescita e l’incremento dell’incertezza hanno comportato una maggiore avversione al rischio e una preferenza verso strumenti liquidi.

Le conseguenze dell’epidemia di Covid-19 e i provvedimenti adottati per contrastarla hanno scoraggiato la partecipazione al mercato del lavoro, scesa dal 65,1 per cento di febbraio al 64,3 di marzo: nonostante le perdite occupazionali, nonostante il blocco dei licenziamenti e l’estensione della Cig, il tasso di disoccupazione si è collocato all’8,4 per cento. Un impulso negativo alla partecipazione, in particolare quella femminile, è senz’altro dovuta anche ai provvedimenti di chiusura delle scuole. La necessità di cura dei figli in età scolare ha precluso o limitato la regolare continuazione dell’attività lavorativa dei genitori nei nuclei con un solo adulto e nelle coppie in cui entrambi i componenti sono occupati.

In quest’ultimo caso hanno abbandonato l’impiego o ridotto l’orario di lavoro soprattutto le madri, che tipicamente percepiscono un reddito inferiore. Le famiglie con almeno un bambino di età minore di 14 anni e in cui entrambi i genitori lavorano sono circa 3 milioni: in poco più del 40 per cento dei casi (1,3 milioni di nuclei) almeno un adulto si calcola possa svolgere le proprie mansioni lavorative a distanza conciliandole con le esigenze familiari, seppure con difficoltà e con significativi rischi di perdita di produttività. Comunque lavoratrici e lavoratori a termine, in particolare del Sud, giovani e donne, sono le categorie più colpite dalle conseguenze del Covid sul mercato del lavoro, le tutele messe in campo dal governo, con il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione, hanno sicuramente tutelato di più i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, cioè in sostanza, chi era già in una posizione lavorativa più stabile anche prima della pandemia. Un esempio lampante : il lavoro a tempo determinato, ha fatto registrare un calo del 13,4% da inizio anno 2020 e continua ora, simile a quello del Pil.

La maggiore diminuzione degli occupati al Sud potrebbe essere legata alle caratteristiche della struttura produttiva del territorio, più orientata verso il turismo e i settori collegati, direttamente colpiti dagli effetti della pandemia ma è altrettanto evidente che la flessione più marcata delle attivazioni nette (attivazioni meno cessazioni) ha riguardato in tutte le regioni la fascia di età fra 15 e 24 anni anche a causa della maggiore diffusione dei contratti a termine tra i più giovani e qui la discriminazione femminile è multipla tra le giovani per le quali la riduzione delle posizioni lavorative durante le restrizioni le ha penalizzato in particolare riflettendo la maggiore presenza di donne giovani nei settori economici più colpiti dagli effetti della pandemia.

Sono particolarmente significativi i dati che emergono dal rapporto Cnel sul mercato del lavoro nel 2020: l’occupazione giovanile è tra le più colpite con 2 milioni di Neet, insieme a quella femminile dove quasi una donna su due è inoccupata riducendosi di 2 punti percentuali. Le donne sono oltre il 53% della popolazione italiana , la battaglia per l’uguaglianza di genere non può essere più solo un punto di un programma politico aggiunto ma deve essere al centro di azioni concrete creando vantaggi economici, sociali e culturali per l’intero Paese.

Più volte abbiamo sottolineato anche da queste pagine come per promuovere la occupazione femminile non bastino politiche di incentivazione economica alle assunzioni, ma serva anzitutto allargare la offerta di servizi per la prima infanzia, scuola a pieno tempo e servizi per gli anziani, nonché promuovere forme organizzative del lavoro più favorevoli alla conciliazione. Nell’occupazione femminile giocano un ruolo fondamentale i percorsi formativi. Bisogna sostenere percorsi Stem sia nel breve sia nel lungo periodo: se infatti nel breve periodo la componente femminile è meno presente nei percorsi di studio più richiesti e meglio remunerati dalle imprese, nel lungo periodo sono proprio i settori Stem che presentano le maggiori prospettive di crescita. Inoltre il rinnovo della contrattazione di prossimità deve prevedere la capacità di aumentare il ricorso ai fondi bilaterali per sostenere maggiori congedi parentali per lavoratori e lavoratrici.


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