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Tesserino di immunità, sì o no? Le considerazioni (anche legali) di Paganini e Crea

Di Pietro Paganini e Giovanni Crea
vaccino covid-19

La misura rischia di produrre effetti discriminatori. Da un lato, lo Stato impone a tutti la vaccinazione e, dall’altro, non è in grado di organizzare e gestire un sistema che possa garantire a tutti il medesimo (tempi e modi) accesso al vaccino. La riflessione di Pietro Paganini (Competere) e Giovanni Crea, direttore della rivista Diritto, Economia e Tecnologia della Privacy dell’Istituto Italiano per la Privacy

Sta avanzando la proposta che le persone vaccinate contro il covid-19 possano godere di una certificazione, rappresentata da un “tesserino di immunità” per ritornare alla vita normale, un lascia-passare per usufruire di servizi e svolgere attività altrimenti a rischio per chi non è ancora vaccinato.

È una suggestione pericolosa perché la classificazione “binaria” (1/0) dei cittadini – con il tesserino di immunità – rischia di produrre effetti discriminatori a causa di una organizzazione assente o approssimativa dello Stato che, da un lato, impone a tutti la vaccinazione e, dall’altro, non è in grado di organizzare e gestire un sistema che possa garantire a tutti il medesimo (tempi e modi) accesso al vaccino.

La scelta di vaccinarsi dovrebbe essere lasciata ai cittadini. Tuttavia, per chi si affida al Metodo Liberale, la Libertà soggettiva di scegliere se vaccinarsi dovrebbe cedere il primato all’interesse di tutelare la salute altrui. In questa prospettiva di bilanciamento degli interessi, dunque, chi rifiuta di vaccinarsi non deve mettere a rischio la salute degli altri cittadini.

Assumiamo quindi che lo Stato, quale garante delle Libertà dei cittadini, operi un corretto bilanciamento a favore dell’interesse alla salute pubblica, imponendo per legge il vaccino per il covid-19, con l’istituzione di un “registro dei vaccinati” ai quali rilasciare una tessera personale che ne attesti l’appartenenza; questa scelta può rappresentare la soluzione per svolgere attività e accedere a servizi in cui potrebbe essere messa a rischio la salute di dei cittadini.

Tuttavia, sul piano organizzativo e gestionale sussiste un oggettivo impedimento per lo Stato di vaccinare tutti allo stesso tempo o comunque di garantire a tutti i cittadini la medesima opportunità di vaccinarsi per ritornare alla normalità in quasi contemporaneità. I tempi si stanno rivelando molto lunghi anche alla luce di circostanze non imputabili allo Stato (ad esempio, i rallentamenti della produzione di vaccini da parte delle case farmaceutiche, o il comportamento sconsiderato e fraudolento di alcuni cittadini) e, con ogni probabilità, il processo di vaccinazione si svolgerà necessariamente in modo differito nel tempo, individuando quella classificazione binaria di cui si accennava sopra.

In questa prospettiva, l’effetto discriminatorio si abbatterebbe sui soggetti destinati a essere vaccinati in tempi lunghi; a questi non sarebbe perciò consentito di usufruire liberamente di attività e servizi che altrimenti sono accessibili a chi è già vaccinato. È un privilegio per chi ha il diritto di accedere per primo al vaccino, e un discrimine per chi, per scelte pubbliche ragionate, viene vaccinato successivamente.

I tempi differenti di accesso al vaccino sono giustificati da una scelta razionale dovuta a questioni organizzative legate al fatto che lo Stato non è in grado di vaccinare tutti allo stesso tempo o, comunque, in tempi ragionevolmente brevi da minimizzare gli effetti discriminatori.

In questa proposta va, infine, rilevato un paradosso. Per gruppi più o meno influenti, come gli industriali, la prospettiva di munire i lavoratori di un patentino per agevolare il ritorno alle attività produttive non trova riscontro nelle priorità previste dal programma vaccinale del governo che riguardano le categorie considerate a torto meno produttive per l’industria ma non certamente per il paese (personale sanitario, militari, anziani). Sicché, il ricorso al privilegio e/o alla discriminazione per ragioni pragmaticamente economiche produrrebbe scarsi risultati.

I meccanismi di esclusione vanno opportunamente applicati in relazione a un rifiuto esplicito alla somministrazione del vaccino, tenendo conto di possibili soluzioni di sostituibilità e limitatamente a determinate categorie di attività e servizi; con riguardo a quest’ultimo aspetto, il rifiuto al vaccino, ad esempio, da parte di un lavoratore potrebbe implicare lo svolgimento dell’attività lavorativa nella modalità smart working insieme a meccanismi disincentivanti (rispetto alla somministrazione del vaccino) senza tuttavia precludere l’accesso a servizi essenziali.

Certo, dobbiamo armarci di pazienza, ma è l’unica strada da percorrere attraverso l’analisi empirica di quanto succede. Non dobbiamo cadere nella trappola di inseguire formule magiche per tornare alla normalità del passato, e cioè la vita come era prima della pandemia. È un’utopia a cui chi si affida al metodo Liberale non crede. La normalità è quella che stiamo vivendo oggi.

Dobbiamo lavorare nella direzione di incentivare la vaccinazione da parte di tutti, e di realizzarla quanto prima, affrontando i problemi che sorgono di volta in volta, senza nasconderli. Altrimenti, le varianti che spuntano rischiano di diventare il nuovo covid-19 per chi all’inizio della pandemia lo rifiutava per difendere la normalità.

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