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Transizione ecologica? Una questione economica. Parla Magatti

Dal 2008 gli assetti capitalistici mondiali sono in trasformazione, e la finanza ha capito che la transizione ecologica sta diventando un’esigenza. Ma attenti a non prendere la strada sbagliata… Conversazione di Formiche.net con il sociologo Mauro Magatti

Nel suo discorso di insediamento pronunciato in Senato, il neo-premier Mario Draghi ha citato, in un passaggio riguardante la tematica ambientalista, le parole di papa Francesco. Eppure nei giorni che hanno preceduto l’arrivo di Draghi in Parlamento, tra le rievocazioni giornalistiche del suo passato da liceale presso i padri gesuiti, della sua nomina alla Pontificia Accademia delle Scienze sociali e di quella revisione della Caritas in Veritate di Benedetto XVI a pochi giorni dalla pubblicazione definitiva nel 2009, alcuni tra i maggiori esponenti del pensiero sociale cattolico hanno mostrato impressioni diverse tra loro. Come ad esempio sul settimanale Famiglia Cristiana economisti del calibro di Stefano Zamagni o Luigino Bruni, ma non solo. Con approcci altalenanti, più o meno entusiasti o dubbiosi. Per cui il giudizio dei “cattolici”, qualunque cosa ormai significhi questo termine in ambito politico, pare essere al momento sospeso e aperto al dibattito.

“Credo che Draghi abbia interpretato nel modo più opportuno quello che è accaduto e che lo ha portato a diventare Presidente del Consiglio”, è quanto invece spiega in questa conversazione con Formiche.net il sociologo ed economista Mauro Magatti, professore ordinario di Sociologia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Viviamo in un momento paragonabile al secondo dopoguerra, non solo per via della pandemia ma perché il Paese già ben prima dell’arrivo della pandemia era in una fase tendente al declino, mentre ora ha bisogno di un momento di unità per gettare le basi di una nuova stagione di crescita e sviluppo”, spiega il docente, che nel 2017 è uscito nelle librerie, per i tipi di Feltrinelli, con un testo il cui titolo oggi suona piuttosto anticipatore, “Cambio di paradigma”. “È ciò che ho anche colto nella struttura del suo discorso e del suo modo di porsi, prendendo atto della maggioranza che si è venuta a creare in un momento cruciale”, prosegue lo studioso.

Cosa glielo fa sostenere, in particolare?

Poiché io penso che dal 2008, che è stato il decennio dei populismi, e ancor più dopo la pandemia, gli assetti capitalistici mondiali siano in fase di trasformazione. Uno degli elementi che vedo è che da una parte la finanza, non perché è diventata più buona ma è semplicemente più realista, e dall’altra una quota minoritaria ma influente del mondo delle imprese internazionali, ha capito che la questione della sostenibilità, e più specificatamente della transizione ecologica, sta diventando un’esigenza per l’assetto capitalista. Per la semplice ragione che i costi di una mancata transizione ecologica saranno ben superiori ai risparmi di un mancato investimento in questa direzione. Quella della transizione ecologica è quindi già diventata, e lo diventerà ancora di più, una questione economica, da cui istituire un nuovo assetto capitalistico. Per citare uno dei miei maestri, Luc Boltanski, il capitalismo si nutre e si trasforma inglobando le sue crisi. Oggi il capitalismo guarda avanti cercando di inglobare la problematica della transizione ecologica.

In sostanza, la questione della transizione ecologica, che il nuovo ministero guidato dal fisico Roberto Cingolani si troverà a dovere affrontare, è una strada in qualche modo obbligata.

Il capitalismo ha dentro tante spinte, come anche, a mio avviso, di elementi problematici. Ma un aspetto del capitalismo che lo rende capace di durare nel tempo è proprio la sua capacità di ascoltare e di rispondere alle trasformazioni del mondo. Il discorso di Draghi, come anche quello del Ceo di Blackrock, o di altri, è stato un discorso realista. Bisogna essere ottusi per non vedere che c’è urgenza di avviare processi per realizzare la transizione ecologica.

Quale può essere il ruolo della Chiesa e dei cattolici nell’ambito della transizione ecologica che il governo italiano punta a realizzare? Cattolici di cui, a questo punto mi verrebbe da dire, potrebbe forse essere incluso anche lo stesso Draghi.

Quello di dire che la sostenibilità, e la transizione ecologica, non è solo una questione tecnica. È cioè certamente una questione tecnica, ma che non si risolve semplicemente con più tecnologia. Questo vuol dire che la funzione della sostenibilità e dell’ecologia integrale, come papa Francesco ha sintetizzato nella Laudato Sì, significa riconoscere la relazionalità della realtà, che cioè non c’è niente a prescindere. Nemmeno l’economia e nemmeno la finanza. A lungo andare, l’economia e la finanza non possono pensare di esistere a prescindere dall’ecosfera o dal mantenimento di quegli equilibri sociali che costituiscono le democrazie. Sarebbe un modo di interpretare la transizione ecologica in chiave puramente tecnica, che è la via sbagliata. Il pensiero cattolico dice che la transizione ecologica e la sostenibilità sono temi di realismo in questo momento, e hanno a che fare col recupero di questa dimensione relazionale che non si può eludere. Per usare un vecchio gergo del novecento, si tratta della contrapposizione tra individuo e persona. C’è bisogno di passare da un’antropologia atomistica a un’antropologia relazionale.

Uno dei rischi in cui potrebbe incappare il nuovo governo è perciò quello di puntare troppo tanto sulla transizione digitale quanto su quella ecologica ma con un paradigma un po’ troppo tecnicistico, a discapito però dell’umano.

Quando l’Unione Europea dice che digitalizzazione e sostenibilità sono i due driver del futuro, a cui aggiunge un po’ di falsa coscienza sul tema dell’inclusione, io penso che sostenibilità e digitalizzazione portino dentro una profonda ambiguità. Che può portarci in un mondo profondamente distopico, ad altissima concentrazione di potere, iper-centralizzato e iper-controllato. Bisogna stare attenti a non prendere questa strada. L’unico modo per contrastare queste spinte problematiche è sovra-investire sulle persone, sulla formazione e sulla qualità delle nostre relazioni. Pensare cioè di realizzare nuovi modelli organizzativi, di impresa, diffondere e qualificare una logica sostenibile e digitale sui beni comuni. Rafforzare lo strumento relazionale della nostra vita sociale, che spinge verso quello che io chiamo economia contributiva o generativa.

L’enfasi sulla scuola che è stata data in queste settimane pare essere quindi, da questo punto di vista, un fattore positivo.

Assolutamente cruciale. È una gran bella notizia il fatto che si siano nominati gli Istituti tecnici. Con i termini scuola e formazione si intendono tante cose, non necessariamente la laurea. In una società dove l’elemento digitale diventa il nostro ambiente, e dove la sostenibilità richiede consapevolezza e responsabilità, il tema della formazione è assolutamente strategico. Se abbiamo dei cittadini non formati non si può perseguire un modello sostenibile e democratico, che richiede invece cittadini in grado di intendere e di volere, e di essere responsabili soprattutto sulla tecnologica.

Di “transizione ecologica” ne parla da anni anche un sacerdote gesuita, Gael Giraud, pubblicato in Italia da Emi con una sua prefazione. Annunciare il Vangelo oggi significa anche avere a cuore l’ambiente?

Certamente, in quella logica relazionale di cui sopra, imparare a convivere, a rispettare, a coltivare l’ecosfera, o semplicemente preservarla, è un dovere urgente anche perché ne va di mezzo la vita.


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