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In Tunisia è tutti contro tutti. I rischi per la democrazia

Di Giacomo Fiaschi

In Tunisia è in atto, oltre alla crisi sanitaria ed economia, una crisi istituzionale che sta portando ad un progressivo indebolimento della democrazia. Un tutti contro tutti che rischia di rappresentare una miccia esplosiva non solo per il sistema ma per tutto il Paese. L’analisi di Giacomo Fiaschi

Per cercare di dare una spiegazione razionale ad una crisi che investe i massimi livelli istituzionali dello Stato, ovvero presidenza del parlamento e governo da una parte e presidenza della repubblica dall’altra, è necessario risalire alle cause, che distingueremo in cause remote e cause prossime, mettendo in risalto quello che è stato l’elemento scatenante, ovvero il rifiuto da parte del presidente della repubblica Kaïs Saïed, di ricevere per la cerimonia del giuramento, così come previsto dalla costituzione, alcuni degli undici nuovi ministri che sono stati nominati dal capo del governo in una operazione di rimpasto.

CAUSE PROSSIME: LA CRONOLOGIA

15 luglio 2020. Si dimette il governo di Elyes Fakhfakh dopo appena sei mesi dalla sua nascita (27 Febbraio 2020).
26 luglio 2020. Il presidente della Repubblica, dopo aver consultato a mezzo lettera raccomandata i rappresentanti delle forze politiche presenti in parlamento ai quali chiedeva di presentare una rosa di nomi delle personalità giudicate più idonee a ricoprire l’incarico, conferisce il mandato al nome meno presente nelle liste proposte dai partiti, ovvero quello di Hichem Mechichi, ministro degli Interni nel governo dimissionario, che era stato designato a tale incarico dallo stesso Saïed, del quale Mechichi era stato sino ad allora primo consigliere presso la presidenza della repubblica, incaricato degli affari legali.
2 settembre2020. Dopo un mese e mezzo di consultazioni, Mechichi riesce ad ottenere la fiducia da una coalizione di maggioranza nella quale sono presenti forze politiche distanti fra loro quali il partito islamista Nahdha, il laico Qalb Tounes e il radicale islamista Al Karama.
16 gennaio 2021. Mechichi procede ad un rimpasto nominando 11 nuovi ministri in sostituzione di quelli che, a suo giudizio, non erano riusciti a dare prova di efficienza.

CAUSE REMOTE

Le cause remote, invece, sono le seguenti: l’avversione di Kaïs Saïed per l’intero sistema dei partiti politici, da lui stesso in ripetute occasioni denunciati come i principali responsabili del degrado sociale ed economico del paese, del tradimento della rivoluzione del 2011, e della mancata lotta alla corruzione.
La forte inimicizia nei confronti di Mechichi, ritenuto responsabile di un vero e proprio tradimento dal momento che, per ottenere la fiducia in parlamento, ha accettato di scendere a compromessi con i partiti politici. In realtà Kaïs Saïed contava sul fallimento delle consultazioni di Mechichi: in tal caso, infatti avrebbe potuto sciogliere il parlamento e procedere ad un referendum per una riforma della costituzione in favore di una repubblica presidenziale per poi procedere ad elezioni con una nuova legge elettorale lasciando a Mechichi la guida di un governo di scopo e a termine.

L’ELEMENTO SCATENANTE

Ad accendere la miccia è stato il rimpasto che Saïed ha contestato per due motivi: l’incostituzionalità della procedura di riorganizzazione dei ministeri che è stata avviata senza che venisse discussa in seno al consiglio dei ministri, come previsto dalla costituzione; la presenza nel gruppo degli undici nuovi ministri, di alcuni non meglio precisati personaggi sospettati di corruzione e riciclaggio.

A rendere ancor più incandescente il clima di questi giorni sono i sondaggi di intenzione di voto che vedono alle stelle il partito Pdl di Abir Moussi, pasionaria del regime di Ben Alì, (il dittatore destituito nel gennaio 2011 e trasferito in Arabia Saudita, dove è deceduto il 19 Settembre 2019) feroce avversaria del partito islamista Nahdha e in particolare del suo presidente Rachid Ghannouchi, che fu eletto presidente dell’Arp (l’Assemblea dei rappresentanti del popolo, ovvero il parlamento monocamerale tunisino), nei confronti del quale sta preparando una seconda mozione di sfiducia dopo che la prima è andata a vuoto.

Questa volta Moussi tuttavia conta di avere dalla sua parte la fronda di un certo numero di deputati di Nahdha già in vista perché firmatari di una lettera con la quale invitano lo stesso Ghannouchi a rinunciare ad un terzo mandato di presidente del partito in occasione dell’undicesimo congresso che dovrebbe celebrarsi entro il 2021 dopo che è stato rimandato nel 2020 causa pandemia.
C’è da dire che Moussi è detestata dallo stesso Saïed non meno di quanto egli non detesta Ghannouchi e il suo partito.
Ghannouchi, dal canto suo ha invitato gli elettori di Nahdha a scendere in piazza il 27 febbraio ufficialmente per manifestare contro la situazione di stallo provocata da Saïed che rifiuta il giuramento dei nuovi ministri ma, di fatto, anche e soprattutto per mostrare i muscoli a Moussi e rispondere ad una vasta campagna che, a suo dire, la stampa sta organizzando contro di lui e contro il suo partito enfatizzando il successo dei sondaggi ai quali ha affermato di non credere lasciando intendere che si tratterebbe di una manipolazione orchestrata da parte di chi si oppone sulla transizione democratica della Tunisia.

Un tutti contro tutti, insomma, che rischia di far saltare per aria non solo il sistema, ma il Paese intero.

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