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Vaccini, è partita la guerra delle fabbriche. Landi ci spiega il mercato globale

Di Fabrizio Landi
vaccino covid

Per l’Italia e l’Unione Europea è il momento di guardare a tutto tondo il tema delle forniture di vaccini e cure, sviluppando un programma coordinato di nuovi impianti e strutture industriali: è semplicistico scaricare il problema sulle aziende e non porterebbe molto lontano. Scenari e analisi di Fabrizio Landi, presidente della Fondazione Toscana Life Sciences

Lo scorso luglio, scrivevo su Formiche.net del tema vaccini e della guerra che si stava scatenando per mettere le mani sulle fonti della nuova frontiera del welfare dei popoli: i vaccini e le cure anti COVID19. A distanza di sei mesi tutto si sta confermando, non solo nella discriminazione fra popoli ricchi e poveri della Terra ma ben più fra i vari sistemi Paese all’interno dell’Occidente industrializzato, Usa verso EU, Occidente verso Cina e Russia e chi più ne ha più ne metta.

Guardiamo che sta succedendo: negli USA, dove la gestione dei vaccini e delle cure (anticorpi monoclonali) è stata tutta avocata dal Governo federale, si è scelto, almeno per ora, di focalizzarsi sulla tecnologia mRNA (una delle cinque in sviluppo nei vari centri del mondo) cioè quella della BioNtech tedesca ma gestita industrialmente dalla Pfizer americana e quella della Moderna anch’essa americana.

Quindi tecnologia de facto in mani americane. Il Governo si è anche assicurato che ci fossero sul suolo americano le fabbriche per produrre ciò che serve a loro. Pfizer ha duplicato da mesi in grande le capacità manifatturiere della prima fabbrica, quella in Belgio che oggi fa fatica a crescere i volumi produttivi come purtroppo noto, concentrando lo sforzo produttivo a Kalamazoo nel Michigan (il loro più grande centro produttivo al mondo).

Risultato? Non ci sono problemi produttivi per la fornitura di 200 milioni di dosi ordinate da Trump per consegne entro luglio e delle aggiuntive 100 milioni ulteriormente ordinate da Biden. In parallelo Moderna che non ha una propria tradizione manifatturiera, ha organizzato una rete di produttori terzi in Usa per garantire le 200 milioni di dosi che il governo federale le ha già ordinato. Quindi gli Usa hanno garantiti, solo da questi due fornitori, 400 milioni di dosi entro luglio cui si sono aggiunti altri 100 milioni (il primo ordine fatto dall’amministrazione Biden).

Inoltre, l’ente regolatorio Usa, la FDA, sta per approvare altri vaccini made e soprattutto fabbricati anche in Usa, quello di J&J e quello di Novavax: insomma alla fine in Usa si fabbricheranno quantità impressionanti di vaccini anti COVID19, in grado di rispondere a tutte le loro necessità sanitarie. In Asia, Cina e India sono messe altrettanto bene, perché oltre che a sviluppare in proprio vari vaccini anti COVID19, in Cina con un ruolo determinante delle grandi aziende partecipate dallo Stato, sono in prima linea per produrli sul proprio suolo. Tutto questo favorito perché molti player occidentali si sono rivolti a loro per sperimentare e produrre i nuovi vaccini (Novavax e J&J fra le Usa, AstraZeneca fra le europee).

I vaccini cinesi di SinoPharm, SinoVac e Cansino, da mesi in uso con ormai 20 milioni e più di persone già vaccinate, vengono gestiti dal governo di Pechino come strumento di politica estera e sono in corso molti accordi intra governativi: già 17 Stati hanno deciso per le forniture cinesi come Turchia (Erdogan si è fatto vaccinare in pubblico), Filippine, Indonesia, Giordania, Algeria, Ucraina etc. e fra breve anche il Brasile e il Messico.

Non da sottovalutare il fatto che il governo ungherese ha chiesto alla Cina di poter comprare un milione di dosi. In Occidente gira la notizia che sarebbero “meno buoni e meno sicuri” ma sa molto di fake news anche perché hanno efficacia simile all’appena approvato AstraZeneca e sono basati sia sulla tecnologia vaccinale più consolidata, quella del virus inattivato che sulle nuove tecniche.

E poi c’è lo Sputnik V russo già utilizzato da 1,5 milioni di persone in giro per il mondo anch’esso basato su accordi intra governativi e fra l’altro proposto dal Governo Putin a condizioni economiche estremamente attrattive, in un evidente obiettivo di politica internazionale: è vero che i dati clinici sulla sua efficacia non sono ancora completi ma a livello teorico, Sputnik V ha una tecnologia molto efficace, una variante innovativa dell’approccio di Oxford/AstraZeneca. E non casualmente, la Cancelliera Merkel ha parlato con Putin, per un possibile utilizzo dello Sputnik V in Germania.

Qui emerge il tema del prezzo di vendita, diverso da vaccino a vaccino e fortemente diverso anche per lo stesso vaccino, da Paese a Paese: ad esempio BioNtech/Pfizer gli Usa lo pagano il 40% più dell’Unione Europea e la UE pagherà AstraZeneca 5-6 volte meno che BioNtech/Pfizer che a sua volta è meno caro di Moderna. C’è poi il caso di Israele: il Paese sarà il primo a vaccinare l’80% e più della popolazione entro maggio, tutta con un solo vaccino, quello Pfizer, de facto rappresentando un grande test anche perché Israele fornirà ai suoi partner geo-politici le informazioni sui risultati clinici ed epidemiologici raggiunti con la vaccinazione di massa.

Ed è questo il vero motivo per cui Netanyahu ha ottenuto dagli americani di Pfizer tutte le dosi che servono per coprire in grande rapidità i fabbisogni del Paese. Ora parliamo di noi, Italiani ed Europei. I 27 Paesi, dopo alcuni primi tentennamenti, hanno giustamente deciso di far gestire gli approvvigionamenti all’Unione: scelta saggia per evitare che i singoli stati, entrassero in conflitto fra loro con risultati disastrosi, come è stato per le mascherine e i ventilatori qualche mese fa.

Va osservato che in Europa c’è il meglio della tecnologia vaccinale: le prime due aziende al mondo del settore sono europee, GSK inglese e Sanofi francese, e le nuove aziende dei vaccini, a parte Moderna, sono europee: BioNTech e Curevac sono Tedesche, AstraZeneca produce e distribuisce un prodotto sviluppato da uno spin-off di Oxford, in Italia stanno ben sviluppandosi Reithera e Takis e così via.

Ma allora dove sta la ragione delle mancate forniture in quantità che la Commissione aveva predisposto con preordini miliardari ai vari fabbricanti, puntando su almeno sei fornitori diversi: la risposta è il tema delle fabbriche che non sono oggi pronte a produrre le quantità richieste perché, rispetto ai piani, sono saltati alcuni fornitori (la Joint Venture fra GSK e Sanofi ha fallito lo sviluppo della prima generazione di vaccini antigenici e non sarà pronta prima di fine anno e AstraZeneca oltre a problemi vari che ne hanno ritardato l’approvazione in Europa, non ha fabbriche in Europa continentale pronte e quella inglese lavora a tempo pieno per soddisfare i bisogni della UK post Brexit e poi anche J&J è in ritardo) e le fabbriche americane lavorano solo per gli ordini Usa, le inglesi per UK, così come fanno i Cinesi per i loro bisogni.

Insomma come previsto il tema produttivo è dove l’Unione Europea post Brexit rischia di perdere la propria capacità di aggregatore: ora sotto l’enorme pressione, i produttori BioNtech/Pfizer e Moderna stanno cercando una soluzione di maggiore manifattura in Europa, con un intervento sulla fabbrica belga di Pfizer che però obbliga a minor produzione a breve e con Moderna che sta cercando di produrre, oltre che presso il terzista svizzero Lonza, già in pista, anche presso terzisti spagnoli e francesi ma ci vorrà comunque un certo tempo (mesi) per soddisfare quello che servirebbe oggi.

Insomma, per l’Italia e l’Unione Europea è il momento di guardare a tutto tondo il tema delle forniture di vaccini e cure, sviluppando un programma coordinato di nuovi impianti e strutture industriali: è semplicistico scaricare il problema sulle aziende e non porterebbe molto lontano andare tutti in ordine sparso, con questo o quel paese che si fa promotore di impianti in fretta e furia (vedi la nuova fabbrica in preparazione in Germania con fondi nazionali). L’Italia con la sua importante base di competenza e di manifatturiera farmaceutica e con una grande storia nei vaccini può essere il cardine di questa progettualità ma deve muoversi in fretta, con proprie iniziative pubblico-private e ponendo da subito ai partner comunitari la sfida della cooperazione industriale anche nell’ambito del nostro PNRR (Recovery Plan).

Non va infatti dimenticato che si sta oramai formando a livello scientifico la convinzione che dovremo convivere con l’epidemia da COVID19 per molto tempo, secondo una modalità più simile all’esperienza della gestione delle influenze, con le loro varianti annuali che obbligano a rivaccinarsi, rispetto ai virus, come il Morbillo che non mutando, sono oggi molto ben gestiti con le vaccinazioni infantili. In altre parole, i vaccini e le cure contro il COVID19 serviranno per moltissimi anni, con la capacità di adeguarli alle varianti virali che via via emergeranno  e quindi la ricerca e l’industria del settore rimarranno in piedi e ogni investimento nel settore sarà strategico per tutti e in primis per l’Italia.     

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