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Non esistono vaccini di serie A e serie B. Novelli fa il punto su AstraZeneca e J&J

I vaccini non sono tutti uguali e non possono esserlo. Ma mentre la ricerca progredisce, ciò che è importante e che va sottolineato è che occorre vaccinare molto e subito, e usare tutte le armi che abbiamo per arrestare la pandemia. L’analisi di Giuseppe Novelli, genetista e professore di genetica medica presso l’Università Tor Vergata di Roma e l’Università del Nevada negli Stati Uniti

È di ieri la notizia che negli Stati Uniti molte persone “storcono” il naso all’idea di vaccinarsi con il nuovo vaccino di Johnson & Johnson appena autorizzato dall’Fda. Qualcosa di simile sta accadendo in Europa e in Italia per il vaccino AstraZeneca. In altri Paesi le persone si vaccinano con prodotti Russi, Cinesi e Indiani. Ma i vaccini sono tutti uguali? Tutti conferiscono un’immunità che protegge dalla malattia e dalla infezione? Ci sono vaccini di serie A e vaccini di Serie B? Queste le domande che ci vengono poste ogni giorno sui media e dalla società.

Chiariamo subito – a scanso di equivoci – che i vaccini non sono tutti uguali e non possono esserlo, in quanto farmaci biologici. Non esiste un vaccino “migliore”, ma potrebbe esserci un vaccino che è meglio per un certo gruppo di persone. Mercoledì scorso, la FDA ha rilasciato un’analisi dei dati degli studi clinici sul vaccino presentato da Johnson & Johnson, affermando che il vaccino soddisfaceva i requisiti della FDA per l’autorizzazione all’uso di emergenza.

Questo vaccino monodose ha dimostrato un’efficacia di circa il 66% a livello globale contro i casi di Covid-19 da moderati a gravi/critici 4 settimane dopo l’inoculazione. Ma, negli Stati Uniti, il vaccino ha dimostrato un’efficacia del 72%. Contro le forme gravi della malattia il livello di protezione si è rivelato addirittura ancora più elevato, raggiungendo l’86% delle persone: un risultato importante, perché riduce i ricoveri in ospedale e quindi il rischio di morte. Questo è quello che deve fare un vaccino. Questo è quello che fanno i vaccini sperimentati di AstraZeneca, Sputnik e altri. Sarebbe certamente fantastico se riuscissero anche a prevenire le infezioni, ma ancora questo dato non è disponibile.

La diversità nell’efficacia osservata per i diversi vaccini sta proprio nell’impossibilità di compararli durante le fasi di studio e di sperimentazione: gruppi di persone diverse (le persone sono diverse!), definizione della gravità lieve/moderata/grave, l’età, il sesso, le patologie concomitanti etc.. Per avere un dato comparativo bisognerebbe analizzare una stessa popolazione divisa in gruppi ai quali vengono somministrati un vaccino ciascuno e il placebo e fare un confronto testa a testa! Questo non è stato fatto, e sarebbe peraltro impossibile farlo durante una pandemia con ceppi diversi circolanti.

Ad esempio, il vaccino di Johnson & Johnson è stato testato in Sud Africa, dove il ceppo dominante era la variante B.1.351, che si ritiene sia più contagiosa. In questa popolazione, il vaccino ha dimostrato un tasso di efficacia del 64%. I vaccini di Pfizer e di Moderna non sono stati testati su questa popolazione. Un discorso analogo vale per il vaccino di AstraZeneca, che è stato sperimentato in condizioni diverse e su popolazioni diverse. Infatti si è rivelato molto efficace nel gruppo di persone di età compresa tra i 55 e 65 anni. L’efficacia di un vaccino si riferisce al modo in cui si comporta in uno studio attentamente controllato.

Un errore comune è interpretare un’efficacia del 95% nel senso che hai una probabilità del 5% di ammalarti anche se ti vaccini. Non è affatto vero. L’efficacia viene calcolata sulla base di studi che hanno un gruppo di controllo placebo non vaccinato e, alla fine dello studio, esaminano il numero nel gruppo di controllo che è finito con Covid sintomatico per ottenere il tasso di infezione di base. Il vaccino Pfizer-BioNTech, ad esempio, ha avuto un’efficacia del 95% nella sua sperimentazione clinica. Quel numero deriva dal fatto che 162 persone nel gruppo placebo hanno avuto un Covid sintomatico e otto persone nel gruppo vaccinato; cioè 170 casi in totale. Otto è circa il cinque percento di 170. Questo è essenzialmente il modo in cui viene calcolata l’efficacia.

La maggior parte degli studi clinici sul vaccino Covid ha riportato efficacia nella prevenzione di qualsiasi malattia sintomatica, non necessariamente malattia grave. Indipendentemente da tutto ciò, basta dire che oggi disponiamo di vaccini che superano la barra di efficacia fissata al 50% dalle agenzie dei farmaci, e di questo dobbiamo essere grati alla ricerca, alla scienza e alle case produttrici che in tempi record hanno realizzato e prodotto vaccini straordinari basati su tecniche di ingegneria genetica come quello innovativi basati sull’mRNA, prodotti da Pfizer-BioNTech o Moderna in grado di fornire istruzioni genetiche per produrre proteine ​​virali sotto forma di RNA a filamento singolo, in un rivestimento lipidico, alle cellule, senza iniettare alcun virus oppure quelli a vettore virale, come quelli prodotti da AstraZeneca o Johnson & Johnson, che utilizzano invece DNA a doppia elica invece dell’RNA, ma continuano a fornire istruzioni genetiche alle cellule per la produzione di proteine ​​virali.

Non sappiamo ancora quanto dura l’efficacia di questi vaccini, per questo sarà importante monitorare le risposte immunitarie nel tempo in coloro che sono vaccinati in modo da sapere se e quando sono necessari i “booster”. La maggior parte dei vaccini Covid attualmente disponibili richiedono due dosi per essere pienamente efficaci. Il CDC ha recentemente ampliato l’intervallo consentito raccomandato tra le dosi a causa della disponibilità limitata, sebbene alcuni esperti abbiano criticato la decisione. Anche se i risultati ottenuti in Inghilterra e Israele hanno fornito buone indicazioni in tal senso. La condizione è quella di riuscire a vaccinare gran parte della popolazione in poco tempo. Altrimenti, il rischio è quello di favorire l’emergere di altre varianti “resistenti” ai vaccini.

Attualmente, i dati in nostro possesso suggeriscono che la maggior parte dei vaccini disponibili fornisce almeno una certa protezione contro le nuove varianti. Tuttavia, dobbiamo considerare che i vaccini sono stati progettati contro i ceppi originali del virus. Molte delle nuove varianti hanno cambiamenti nella proteina spike, che il virus utilizza per entrare nelle nostre cellule, quindi – se modificata – con gli anticorpi che produciamo dopo la somministrazione di un vaccino che ci aveva “addestrato” a riconoscere la versione originale di spike, potremmo non essere in grado di bloccare l’infezione e la malattia.

Nel complesso, tuttavia, i vaccini autorizzati negli Stati Uniti stanno raggiungendo gli obiettivi di efficacia e sembrano fornire una certa protezione anche contro le nuove varianti, perché “l’addestramento” è più esteso: in pratica, si sta allenando un difensore a svolgere le funzioni di un attaccante.

Questi scenari ci impongono di continuare la sorveglianza genomica di SARS-CoV-2 per monitorare la prevalenza di queste varianti nel tempo e nel luogo, e quindi definire gli effetti funzionali delle varianti in vitro e in vivo su modelli animali.

Man mano che la ricerca progredisce, ciò che è importante e che va sottolineato è che occorre vaccinare molto e subito, e usare tutte le armi che abbiamo per arrestare la pandemia.


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