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Draghi alla prova del Parlamentarismo

Di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Se Draghi otterrà la fiducia in Parlamento (e noi auspichiamo di sì), sarà perché il suo è un governo nuovo nelle persone che lo compongono, con un presidente di comprovata grande esperienza economica e capacità operative in Europa, ma in specie perché è un governo di continuità politico-culturale fondata sulla continua attenzione alle decisioni degli attori della democrazia rappresentativa

Nei commenti di vari grossi media sul lavoro del presidente incaricato Mario Draghi, viene sempre più a galla il disappunto perché il dato distintivo di questo lavoro è la continuità politico-culturale e non la discontinuità che quei mezzi vogliono da molti mesi. La discontinuità servirebbe a seppellire la scelta elettorale nel marzo 2018, che ha dato al M5S un’ampia maggioranza relativa in Parlamento e ha portato a estromettere le precedenti consorterie burocratico-finanziarie. Con la discontinuità non peserebbe più il ruolo parlamentare, perché si sarebbe dato di nuovo mano libera ai competenti a partire dal Presidente della Repubblica, cui è attribuito un ruolo che non gli spetta e che lui non cerca.

Con gran disappunto di quegli ambienti, Draghi ha riconosciuto fin dall’inizio la priorità del Parlamento e delle sue scelte. E ha proseguito intessendo incontri con i partiti e con i gruppi parlamentari, cominciando dall’ascoltare le loro indicazioni. Subito i mezzi di comunicazione hanno scritto che attorno a Draghi c’era la ressa (ma era solo disponibilità al confronto, non rinuncia alle rispettive posizioni). Poi, Draghi ha fatto filtrare i punti fondamentali del proprio programma di governo da sottoporre al voto in Parlamento per la fiducia (in primo piano l’europeismo e l’alleanza atlantica, l’uso propulsivo dei fondi Recovery, il vincolo ambientale, il reddito di cittadinanza meglio strutturato, l’attenzione alla struttura produttiva del paese, in specie informatica, decisiva per il futuro). Ma sempre battendo sulla richiesta del venir accettato nel voto in Parlamento. E allora alcuni media hanno cominciato a denunciare il deciso dibattito in corso in partiti di rilievo (tipo M5S, Lega, Pd) quasi fosse uno sfregio alla concezione elitaria che Draghi va accettato e basta.

Il colmo è stato raggiunto nei giornali di martedì 9. Attacchi tanto furiosi quanto inconsistenti al M5S, reo di sottoporre il progetto del governo Draghi al giudizio dei suoi iscritti tramite la piattaforma Rousseau. Sul Corriere è scritto che questo giudizio è una liturgia che conta più di un governo di salvezza nazionale, è una messinscena per far decidere a qualche decina di migliaia di persone una questione dell’intero Paese; su Repubblica è scritto che incredibilmente il M5S ha fissato addirittura due giorni di conta on line per stabilire se aderire al nuovo esecutivo Draghi. Sono tipiche manifestazioni di una mentalità chiusa ai cittadini, sempre propensa a sostenere gli interessi degli ambienti bene (da appoggiare senza discutere perché loro sanno cosa fare) e non a ragionare sul confronto tra i progetti in tema di come convivere in base ai fatti.

Se Draghi otterrà la fiducia in Parlamento (e noi auspichiamo di sì), sarà perché il suo è un governo nuovo nelle persone che lo compongono, con un presidente di comprovata grande esperienza economica e capacità operative in Europa (il che è particolarmente importante) ma in specie perché è un governo di continuità politico-culturale (la riprova è la svolta della Lega) fondata sulla continua attenzione alle decisioni degli attori della democrazia rappresentativa.


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