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Altro che smart city. Gli stop alla videosorveglianza made in China

Gli 007 britannici chiedono limitazioni alle tecnologie cinesi per prevenire spionaggio, sorveglianza e raccolta di dati. Nel mirino Huawei, Alibaba e Hikvision. Un tema che tocca anche l’Italia. Ecco perché

Le agenzie di intelligence britanniche stanno spingendo per imporre nuove limitazioni all’uso di tecnologie cinesi alle autorità locali per prevenire rischi di spionaggio, sorveglianza o raccolta di dati sensibili.

A rivelarlo è il Financial Times, che sottolinea come quello sulle smart city sia il secondo episodio di intervento degli 007: il primo è legato alla giravolta del governo che a luglio dell’anno scorso ha bandito Huawei alla rete 5G dopo aver, pochi mesi prima, imposto soltanto alcune – seppur forti – restrizioni. Ora tocca a Huawei, Alibaba e Hikvision, società fornitrici delle città intelligenti britanniche per la gestione del traffico e la videosorveglianza anche sui mezzi di trasporto pubblici. Basti pensare che, riporta il Financial Times, la metà dei distretti di Londra ha acquistato e implementato sistemi di sorveglianza realizzati da fornitori tra cui Hikvision, già nella black list statunitense per la repressione cinese degli uiguri nello Xinjiang e nel mirino di Washington per sospetti legami con l’esercito cinese (accuse respinte dalla società).

La rivelazione arriva dopo la pubblicazione del documento “Global Britain in a Competitive Age”, la review strategica integrata di sicurezza, difesa, sviluppo e politica estera presentata questa settimana dal primo ministro Boris Johnson (qui l’analisi di Formiche.net). Il Regno Unito rimane “aperto” al commercio e agli investimenti da Pechino, ma si proteggerà da accordi che possono avere “un effetto negativo su prosperità e sicurezza”, si legge. E non è escluso che l’avvertimento arrivato dalla colonne del Financial Times non fosse pensato anche per rassicurare quel fronte che nel Partito conservatore ha poco apprezzato il linguaggio definito soft sulla Cina.

Ma la questione non riguarda soltanto il Regno Unito. Tocca tutte le grandi democrazie occidentali, tra cui l’Italia, dove Hikvision è presente con un ufficio a Vittorio Veneto (Treviso). Nella sezione “Storie di successo” del sito si trovano casi di utilizzo dei loro prodotti di videosorveglianza nel nostro Paese. Qualche esempio: la città di Avezzano (L’Aquila), la cattedrale di Santa Maria Nuova a Monreale (Palermo), la clinica privata Villa Margherita nel cuore di Roma e lo storico beach club sul litorale ostiense Marine Village. Su PadovaOggi.it si legge di telecamere Hikvision installate nella città veneta, perfino nel cimitero.

“Al di là delle preoccupazioni sulla sicurezza dei dati, penso che affrontare i rischi per i diritti umani sia più urgente”, ha scritto Rebecca Arcesati, analista al think tank tedesco Merics, su Twitter. “L’Unione europea acquista hardware di sorveglianza da società che consentono abusi dei diritti nello Xinjiang. Ciò dà a questi fornitori soldi e legittimità. Speriamo che le raccomandazioni del Parlamento europeo per una legge ambiziosa sulla due diligence in materia di diritti umani (comprese le disposizioni sugli appalti pubblici) vengano accolte”, aggiunge riprendendo un documento di settembre della Commissione giuridica. Il principale rischio, spiega in un altro tweet, è rappresentato dal fatto che le aziende cinesi, la cui tecnologia sta prendendo piede anche in Occidente, “stanno definendo gli standard (per esempio riconoscimento facciale, illuminazione stradale “intelligente”, eccetera) negli organismi” preposti.

Tradotto: quel “divario crescente tra tecno-democrazie e tecno-autocrazie” a cui aveva fatto riferimento il segretario di Stato Antony Blinken davanti alla commissione Affari esteri del Senato statunitense in occasione della sua audizione di conferma ci riguarda da vicino.

(Foto: videosorveglianza Hikvision al Marine Village sul litorale romano, www.hikvision.com)


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