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2020, l’anno dei pagamenti elettronici… e dei contanti. I numeri sorprendenti

Nell’anno del cashless e dei pagamenti elettronici, il numero di banconote in circolazione è più che raddoppiato rispetto al 2019 (+130%). Una buona parte sarebbe “dormiente”, cioè a scopo di risparmio, mentre una fetta non indifferente circola all’estero

Il 2020 è stato senza dubbio l’anno della svolta per i pagamenti elettronici. Ce lo dicono sia i numeri, sia le iniziative politiche varate per incentivarne l’uso, come il progetto Italia Cashless, sia una nuova e diffusa percezione degli strumenti di pagamento digitali, considerati sempre più come un veicolo di supporto e semplificazione.

Ebbene, le recenti rilevazioni dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano confermano le impressioni maturate durante tutto lo scorso anno con qualche piccola sorpresa. In Italia, infatti, si è ridotto l’importo medio degli scontrini derivati da pagamenti elettronici (da 53,7 a 51,7 euro), ed è incrementata la frequenza dell’utilizzato di tali strumenti di pagamento, con un  +4% rispetto al 2019. Il tutto a fronte di un volume totale delle transazioni digitali che ammonta a 268 miliardi di euro, in riduzione solo dello 0,7% rispetto all’anno precedente. Da questi tre dati si evince il cambio di passo che ha caratterizzato l’intera filiera, soprattutto in termini di consapevolezza per consumatori ed esercenti, al netto di una sorprendente riduzione dei volumi totali riguardanti il commercio elettronico, imputabile soprattutto alla forte contrazione del comparto turismo.

Tutto sostanzialmente in linea con le aspettative. Tuttavia, secondo quanto emerge dall’ultima ricerca della BCE, è evidente che il 2020 sia stato (sorprendentemente) anche l’anno dei contanti.

Il numero di banconote in circolazione è, infatti, più che raddoppiato rispetto al 2019 (+130%) per un valore cresciuto dai 1.293 ai 1.435 miliardi di euro. Tali dati evidenziano il fatto che, specie in momenti di crisi, i cittadini europei considerino ancora il contante come una valida riserva di valore cui fare riferimento.

Si stima, infatti, che una percentuale compresa addirittura tra il 70 e il 90 per cento delle banconote in circolazione siano sostanzialmente dormienti, detenute quindi come riserva, e non utilizzate per alcun tipo di transazione, o almeno per quanto ci è dato sapere in assenza di una completa tracciabilità. Una parte consistente degli euro circolanti, compresa tra il 30 e il 50 per cento, sarebbe poi detenuta in paesi in via di sviluppo che, in luogo delle loro instabili divise nazionali, si appoggiano ad una moneta che può contare su solidi asset economico-finanziari.

Alla luce di questi dati, ciò che poi più sorprende, e che rappresenta un vero e proprio paradosso, è che negli ultimi anni, nonostante la costante crescita del ricorso ai pagamenti elettronici, sia parallelamente cresciuta anche la domanda di contanti tendenzialmente non utilizzati. La ragione di tale fenomeno è, in parte, riferibile ai tassi dei depositi che stanno navigando sempre più spesso in territorio negativo rendendo meno conveniente il loro mantenimento nel lungo periodo, ma è evidente che non possa bastare.

Il fenomeno appena descritto rappresenta solo in minima parte una curiosità e un fenomeno di costume. Per valore, i contanti in circolazione rappresentano un PIL superiore a quello di vari paesi del mondo, ciò che non solo comporta alti costi di produzione e gestione ma anche un non indifferente costo sociale relativo al suo impiego. Nonostante gli sforzi dei vari governi nazionali per limitarne la circolazione, il contante rimane ancora un richiestissimo strumento di inclusione finanziaria, il cui ruolo in tal senso è stato più volte riconosciuto dalla Banca Centrale Europea, che sia solo l’Euro digitale, tanto declamato dalla stessa BCE, lo strumento in grado di decretarne il definitivo declino?

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