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Alitalia, otto mosse per rilanciarla. Scrive Michele Geraci

Di Michele Geraci

Se c’è una lezione di un anno di pandemia è che i trasporti sono strategici. Il rilancio di Alitalia passa da un sottile equilibrio fra Stato e mercato. E per otto mosse che ridiano respiro alla compagnia di bandiera, ecco quali. L’analisi di Michele Geraci, professore alla University of Nottingham Ningbo China e già Sottosegretario al Mise

Iniziamo dalla fine: l’Alitalia deve continuare ad operare, per l’interesse del paese intero, e deve continuare ad operare con una forte presenza azionaria dello Stato, in modo che la strategia aziendale possa essere da un lato, indirizzata alla sostenibilità operativa dell’azienda, e dall’altro serva da supporto al Sistema Italia. L’azienda deve camminare lungo quella sottile linea tra stato e mercato per soddisfarli entrambi.

L’obbiettivo strategico primario è, a mio avviso, il secondo, quello di sostegno al sistema Paese, mentre quello della sostenibilità operativa aziendale è secondario strategicamente, ma diventa anch’esso necessario come tattica per sostenere il primo. Vediamo un po’ come, facendo un’analisi top-down, iniziando dal tema macro della line tra stato e mercato, passando poi al settore delle linee aeree e di Alitalia e concludiamo con delle idee per il piano di salvataggio.

Dove sta la linea di confine tra Stato e Mercato?

La pandemia ci ha fatto molto riflettere su quale sia il confine ideale tra stato e mercato, quali debbano essere i settori e le aziende strategiche per un paese. Questo dibattito è sempre esistito tra i liberisti e i dirigisti, ma ha acquistato importanza proprio negli ultimi mesi perché ci si è resi conto che i paesi che hanno risolto sia il problema sanitario che quello economico sono quelli con una forte presenza dello stato: il dirigismo ha vinto, il mercato ha perso, almeno per adesso.

Ma dirigismo non è solo “il regime comunista cinese”, anche Taiwan ed altri paesi asiatici, come la Corea, Viet Nam e Giappone, con gradi di successo diverso, stanno venendone fuori. Tutti, in modo più o meno evidente, sono paesi dove lo Stato ha un forte peso e dove al governo ci sono le migliori menti del paese, cosa che non sempre avviene nelle nostre democrazie elettorali. La pandemia non solo ci fa riflettere su quale debba essere il ruolo tra stato e mercato, ma ci ha anche aiutato a riflettere e a ridefinire i settori strategici.

Fino a ieri, si pensava fossero le infrastrutture di telecomunicazioni, energia e acciaio, ma oggi scopriamo che è strategico anche produrre cose a cui non pensavamo prima, mascherine di pezza, respiratori, ma anche microchip, componenti della meccanica perché qualsiasi blocco nella catena delle forniture globali ci espone a shock esterni.

Anche il Presidente Biden ha appena ordinato uno studio dettagliato su tutta la catena globale del valore per rendere l’economia americana meno dipendente da forniture straniere. Il tracciamento di questa linea di confine tra stato e mercato si complica perfino entrando nel gota del mercato: le società internet: aziende come Twitter, Facebook hanno deciso di sostituirsi allo Stato arrogandosi il diritto di giudicare i rischi che un singolo utente possa arrecare alla società e quindi decidere se escluderli o meno dalla loro piattaforma. Anche Amazon sta contemplando l’esclusione dai propri scaffali virtuali di titoli da loro ritenuti “non adatti”. Tutto questo che dire che è il Mercato che, zitto zitto, sta entrando sempre più nel ruolo dello Stato e questi non può stare a guardare. Il dibattito, prima era tabu, ma adesso fa affrontato senza preconcetti e le nostre solite isterie, affinché’ anche in Italia si definisca questa linea di confine. Senza questa premessa, il dibattito su Alitalia non si può comprendere.

Il trasporto aereo è un settore strategico? Si.

Si sono levati scudi quando è parso che l’Italia volesse vendere i propri porti ad entità straniere, notizia falsa e cosa comunque impossibile, visto che da noi, la vendita è proibita per legge. Abbiamo tragicamente visto che nel settore delle autostrade profitti e manutenzione entrano in conflitto, cosa che richiede una rimodulazione degli obbiettivi commerciali e sociali. Il trasporto ferroviario è in gran parte nelle mani dello stato con il Ministero delle Finanze possessore del 100% delle azioni di FS.

Quindi, i trasporti sono strategici per un paese. E se lo sono i sopracitati sub-settori che offrono servizi solo sul territorio nazionale, ancor più deve essere strategico un settore, le linee aeree, che opera al di là dei confini e rappresenta il primo punto d’incontro tra il turista straniero e l’Italia, anche quando un Airbus si trova ancora sulla pista di Tokyo. Il turismo in Italia rappresenta il 14% del Pil, con circa 220 milioni di presenze straniere (circa la metà del totale) ed è stato messo in ginocchio dal Covid che ha creato non soltanto un crollo della domanda, cosa a cui si può, in teoria, rimediare, ma un ben più grave e strutturale, crollo dell’offerta.

Non vorrei veramente essere nei panni del neoministro Garavaglia, a cui auguro buon lavoro. Avere una compagnia di bandiera, col tricolore ben in vista sulla fusoliera, è fondamentale per “andare a prendere i turisti” nel loro luogo di origine, principalmente USA e Asia, e farli arrivare in Italia con volo diretto. Questo è imperativo perché qualsiasi altra soluzione, operativa o, peggio con presenza nel capitale di altre società europee, sposterebbe gli hub intercontinentali a Francoforte o Parigi.

Sappiamo già che ciò comporterebbe, come minimo, una notte in meno trascorsa in Italia perché gli orari di arrivo sarebbero pianificati in modo da non consentirebbero una coincidenza per Roma o Milano. Deve essere chiaro che i nostri partner europei sono anche nostri concorrenti. Non sono concorrenti, invece, e contrariamente alle dicerie popolari, aziende extra-Europee, asiatiche o americane. Quindi, una loro presenza di minoranza che affianca la posizione maggioritaria dello stato italiano è compatibile con una strategia di sostegno all’economia dell’Italia ed anche con le regole dell’Unione Europea richiedono che almeno il 50% del capitale azionario sia nelle mani di un entità comunitaria.

Piano di rilancio

Durante il mio mandato come Sottosegretario nel governo Conte I, insieme al ministro Di Maio abbiamo cercato investimenti stranieri, americani e asiatici, che potessero rilanciare, non salvare, l’Alitalia. Il risultato degli incontri è stato di un tiepido interesse per alcuni assets – scuola piloti e posizione geografica al centro del Mediterraneo – ma freddezza totale per la scarsa flessibilità sulle leggi sul lavoro: nessuno ha voluto investire senza garanzie di flessibilità su assunzioni e licenziamenti.

Richieste legittime per un azienda privata, ma che si scontrano con l’interesse nazionale che deve anche salvaguardare posti di lavoro. Tenendo giustamente conto di queste osservazioni e avendo chiarito che l’Alitalia è azienda strategica per il sistema Italia, ecco il mio piano di rilancio in 8 mosse:

1) Lo Stato acquista una quota di maggioranza assoluta e gestisce l’azienda con priorità sistemica, al servizio del paese, del turismo e di altri settori collegati.

2) Il personale in esubero, so che sono tanti, viene spostato in altri enti di governo o nei ministeri, per esempio al MiSE – auguri al Min. Giorgetti – con tutte le condizioni sindacali, ahimè, onde evitare sabbie mobili. Quindi: stesso stipendio con l’aggiunta di un servizio di re-training per la riallocazione verso nuove mansioni, nuovi lavori. Chi è bravo ne usufruirà a andrà avanti, chi è meno bravo e più pigro attenderà la pensioni. Purtroppo, è il costo che ereditiamo da decenni di gestione sciagurata del mondo del lavoro che invece di raccontare ai nostri cittadini delle sfide della globalizzazione, ha glorificato il Made in Italy, come se fossimo l’unico paese della Terra.

3) La riduzione del personale non essenziale riduce i costi operativi e, quindi, l’azienda da rosso passa in profitto e si ritrova miracolosamente in una situazione tale da poter, finalmente, stilare un piano di rilancio di ampio respiro, senza l’acqua alla gola ed il commissariamento perpetuo, che non poteva far altro che a tappare le buche.

4) Con l’azienda in una situazione operativa più stabile, anche gli aiuti di Stato diventano più accettabili da Bruxelles, perché non si creano distorsioni di mercato e l’intervento di stato può più facilmente essere assimilabile a quello che farebbe il mercato, tanto più che siamo in regime di tassi zero.

5) Gli spostamenti del personale da Alitalia ai ministeri va reso strutturale, non soltanto una tantum come all’inizio, perché gli enti governativi sono al riparo dalle norme UE, cosa che consente quindi flessibilità nel trasferire costi e profitti da un ente all’altro, ma anche da un’azienda ad un ente, senza che ci si alteri il mercato su cui vigila attenta la commissaria Vestager.

6) Una volta stabilizzata l’operatività dell’azienda ed adottata la flessibilità sul lavoro richiesta, attrarre investimenti stranieri diventa più facile. Ma l’apertura di quote azionarie, fino al 49%, come già discusso, deve essere aperta solo a vettori extra-UE, asiatici o americani che hanno interesse nello sfruttare i due assets: scuola piloti – che in Cina servono – e posizione nel mediterraneo come hub per Mediterraneo, Africa e Sud America.

7) Investimenti per allungare il range medio e passare da una flotta di corto raggio, A319/320, che non può competere con EasyJet e RyanAir che hanno il quadruplo di aeromobili e scala, ad una flotta di lungo raggio, A330/A350. Tutto Airbus, così gli amici francesi saranno contenti, e nessun Boeing. In questo modo si ottengono le sinergie operative, dal momento che la filosofia dei tue tipi di aerei e’ molto diversa e richiede training separati. L’Alitalia passa dagli attuali circa 100 aeri a far parte di un gruppo con 700/800 aerei, con ovvie sinergie operative.

8) Infine, sebbene l’azionista sia lo Stato, l’azienda va gestita come un’azienda privata, in stile anglo-sassone: efficiente, flessibile, personale di qualità e management competente. In RyanAir, da quando l’ultimo passeggero del volo precedente scende dall’aereo a quando sale il primo passeggero del volo successivo passano 8 minuti. Otto. Quindi, sveglia, che non siamo più negli anni 80.

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