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Biden ha bisogno dell’Italia per combattere le dittature. Scrive Katulis

Il presidente americano Joe Biden ha riscritto da capo l’approccio alla politica estera, lontano da Trump quanto da Obama. Ora ha tre grandi sfide di fronte e l’autoritarismo russo e cinese da contenere. Brian Katulis, Senior Fellow del Center for American Progress (Cap), spiega perché l’Italia può fare la differenza

Nel suo primo mese in carica l’amministrazione Biden ha messo al centro il fronte domestico, aumentando gli sforzi per distribuire il vaccino contro il coronavirus e avallando misure per far ripartire l’economia americana con uno stimolo da 1,9 milioni di dollari.

Mentre il team Biden si è dedicato alle due crisi gemelle, quella pandemica e quella economica, ha iniziato a porre le basi per una nuova politica estera americana che non è né un ritorno allo status quo prima dell’amministrazione Trump, né la clamorosa revisione che alcuni tra i critici più estremi di Biden a sinistra hanno auspicato.

Come un giocatore di scacchi che con la sua prima mossa fa intravedere la strategia generale che metterà in atto poco dopo, l’amministrazione Biden ha segnalato alcuni approcci e preso decisioni che offrono un indizio su quale direzione imboccherà la politica estera americana. Ma, proprio come in una partita a scacchi, molto dipenderà dalle mosse degli altri giocatori. Per ogni azione c’è una reazione.

Il presidente Joe Biden ha tenuto due grandi discorsi sulla politica estera il mese scorso – uno al Dipartimento di Stato e l’altro alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Questi interventi, insieme a un discorso del Segretario di Stato Tony Blinken agli inizi di marzo e a una guida per la Sicurezza nazionale, sono sufficienti a tracciare il percorso generale che seguirà la sicurezza nazionale con Biden.

L’approccio generale di Biden alla diplomazia americana è progressivo più che rivoluzionario, e radicato in un pragmatismo che cerca di mettere al primo posto i valori e l’idealismo. A guardare oltre questi sforzi iniziali, tre grandi sfide si stagliano sull’orizzonte della politica estera di Biden.

Un nuovo approccio alla pandemia

Il Covid è una sfida che non conosce confini e la natura interconnessa della risposta richiede uno sforzo più coordinato sulla distribuzione del vaccino a livello globale. Biden ha già dato prova di un approccio più “internazionale” alla pandemia rispetto al suo predecessore rientrando nell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e annunciando il supporto finanziario degli Stati Uniti a Covax, lo sforzo internazionale per portare il vaccino ai Paesi di medio e basso reddito.

Ma al contempo ha rigettato la richiesta del presidente messicano di condividere i vaccini americani finché tutti i cittadini statunitensi non siano vaccinati. Spingendo così alcuni osservatori a sollevare dubbi su un’America che abbraccia una forma di nazionalismo “vaccinale” che potrebbe inutilmente prolungare la pandemia.

È troppo presto per capire quali saranno le prossime mosse di Biden sulla vaccinazione globale una volta superato il problema domestico, ma è certo che il suo sarà un approccio più “internazionalista” di quello di Trump – in parte a causa delle mutazioni e le nuove varianti in Europa e Brasile. Un coordinamento forte a livello globale è assolutamente necessario.

Allo stesso modo, sul fronte economico, Biden farà i conti con una sfida non da poco: sincronizzare le aggressive misure fiscali e monetarie a casa con la campagna globale di aiuti, proprio come hanno fatto nel 2009 l’amministrazione Obama e la Federal Reserve, la Banca centrale americana, in risposta alla crisi finanziaria.

L’America è ancora oggi la prima potenza mondiale nel sistema finanziario e il dollaro americano è ancora la moneta senza rivali – cosicché le decisioni finanziarie prese in America hanno un effetto a cascata nel resto del mondo.

Cina, Russia e non solo. La sfida autoritaria

La settimana inaugurale della presidenza Biden ha visto una serie di minacce contro la libertà in Russia e in Myanmar – e la nuova amministrazione ha ripreso il manuale tradizionale della politica estera americana per condannare a gran voce i fatti e imporre sanzioni.

Sull’Arabia Saudita Biden si è ritagliato una via mediana – pubblicando un rapporto che indica nel principe ereditario alla corona saudita Mohammed bin Salman il responsabile diretto dell’omicidio di un giornalista, senza assumere decisioni concrete per far pagare al Paese il prezzo delle sue azioni.

In questi casi – Russia, Myanmar e Arabia Saudita – insieme a una più lunga lista di Paesi che hanno oggi un sistema politico in subbuglio – l’amministrazione Biden dovrà a tempo debito dare risposte, quando le azioni che, nelle intenzioni, dovevano cambiare le pratiche di questi Paesi sui diritti umani e la democrazia, si riveleranno inutili.

La repressione birmana, per esempio, sta continuando indisturbata. Dieci anni fa, l’immediata risposta dell’amministrazione Obama alle Primavere arabe in Medio Oriente ha messo in chiaro la tara fra retorica e azione – e altri leader autoritari hanno imparato la lezione. La parte del mondo dove la libertà è a rischio cresce drammaticamente – ed è difficile che un summit delle democrazie possa porvi rimedio.

Se anche gli alleati sono rivali (fra di loro)

Da presidente Trump ha cercato di ottenere leve negoziali attraverso mosse inaspettate e spiazzando alleati e avversari intenzionalmente. L’approccio più cauto e prevedibile di Biden richiama uno stile della politica estera americana più tradizionale, anche se non è un ritorno al passato. Non lo è soprattutto perché il mondo è drasticamente cambiato nell’ultimo decennio, e i vecchi approcci non sortirebbero lo stesso effetto.

Sempre più Paesi stanno mettendo mano volutamente alle loro strategie geopolitiche – cercando di mantenere buoni rapporti non solo con l’America ma anche con la Cina, e in alcuni casi con la Russia.

Alcuni fra i principati alleati degli americani in Europa ed Asia hanno grandi divergenze di vedute sulle loro relazioni con questi due Paesi. Questa complessa multipolarità metterà alla prova l’approccio multilaterale alla politica estera americana di Biden, che dovrà essere messo in pratica, cosa non facile.

L’Europa ad esempio rimane divisa e lacerata, nonché segnata dagli effetti persistenti della Brexit. Biden ha preso alcune decisioni per raffreddare le tensioni transatlantiche nate con Trump – ma il blocco europeo ha nondimeno sfide sul fronte interno ed estero.

Il dibattito sul North Stream 2, il gasdotto russo in Europa, divide ormai da molti anni Germania e Francia da altri importanti Paesi europei. Il recente tentativo del senatore repubblicano Ted Cruz di rallentare la nomina di Bill Burns come direttore della Cia per mettere pressione e chiedere una risposta più dura da parte degli Stati Uniti contro il progetto energetico riporrà la questione al centro dei riflettori della diplomazia americana più ancora di quanto già non lo fosse. Senza contare il dibattito fra leader europei sull’ “autonomia strategica” per cui l’Europa dovrebbe battersi.

In altre regioni del mondo le divisioni fra alleati e partner degli Stati Uniti sono altrettanto visibili su questioni strategiche. La Corea del Sud e il Giappone vivono da tempo tensioni che sono peggiorate negli ultimi anni, e il Medio Oriente è segnato da scontri fra alcuni partner statunitensi fra cui Turchia, Egitto, Arabia Saudita e Qatar.

Mettere in campo una ricetta multilaterale per la politica estera americana in un sistema multipolare sempre più frammentato sarà una grande sfida. Di qui la necessità per gli Stati Uniti di mantenere e rinsaldare forti partnership bilaterali.

L’Italia rimane uno dei più importanti partner degli Stati Uniti in Europa – e l’amministrazione Biden riuscirebbe a navigare le tre grandi sfide della sua politica estera con più serenità nei mesi a venire se continuasse a cercare un rapporto speciale con l’alleato italiano.



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