Le crescenti lamentele sulla proprietà intellettuale non fanno altro che distogliere l’attenzione dai ben noti problemi sui programmi vaccinali europei, dall’incertezza sul vaccino alla burocrazia locale. I policy maker dovrebbero concentrarsi su questo aspetto, anziché mettere a rischio gli effettivi progressi che si stanno realizzando. L’analisi di Pietro Paganini, Temple University of Philadelphia, e Philip Stevens, Geneva Network
La recente decisione dell’Italia, sostenuta dalla Comunità europea, di bloccare l’esportazione in Australia dei vaccini Covid prodotti all’interno dei suoi confini, mostra la volontà di politici e istituzioni europee di piegare le norme commerciali internazionali per accelerare gli incerti programmi vaccinali. Altri invocano un’azione più decisiva per affrontare i problemi di fornitura, come la sospensione, in Europa e non solo, dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini per consentirne la produzione da parte di più aziende.
Nel voto espresso a dicembre, il Parlamento italiano ha chiesto al governo di sostenere la proposta di sospensione globale dei diritti di proprietà intellettuale Covid presso l’Organizzazione mondiale per il commercio. Anche gli alti funzionari francesi e tedeschi sarebbero favorevoli.
Rilanciare la fornitura di vaccini semplicemente aumentando il numero di produttori è una mossa allettante, ma sbagliata. Non si tratta semplicemente di sospendere i brevetti e mettere la ricetta su internet e i canali social: molti vaccini vengono realizzati coltivando i virus in sistemi cellulari, e un errore causa perdite di produzione e ritardi. Ogni fase della produzione viene rigidamente controllata dalle autorità regolatrici, con un’ulteriore dilatazione dei tempi.
Altri vaccini, come Pfizer-BioNTech e Moderna, sono il frutto di una nuova tecnologia basata sull’RNA messaggero (mRNA) che è fragile, deve essere maneggiato con estrema attenzione, richiede processi di produzione complessi e necessita di requisiti precisi per rimanere stabile.
Pochi produttori hanno le capacità necessarie, e servirebbero mesi per trasmettere questa tecnologia ad altri e consentire loro la realizzazione di nuovi impianti: a quel punto il programma vaccinale europeo sarà alla fase conclusiva e sul mercato saranno già presenti molti altri vaccini. È molto meglio rimanere nella situazione attuale in cui i produttori esternalizzano la produzione a specialisti, dalla realizzazione delle fiale, al riempimento, fino al confezionamento.
Altre aziende stanno facendo fronte agli impegni assunti affidando in toto la produzione dei vaccini ai propri partner. Per esempio, la francese Sanofi aiuterà Pfizer-BioNTech a produrre 125 milioni di dosi da utilizzare nell’Unione europea.
Queste partnership si tradurranno nella realizzazione di 10 miliardi di dosi entro la fine del 2021, una quantità sufficiente a vaccinare ogni persona sul pianeta. In questi casi la proprietà intellettuale è fondamentale, perché offre la base giuridica per condividere in maniera sicura con potenziali concorrenti commerciali il proprio bagaglio di preziose conoscenze.
Di contro, un approccio che non preveda la proprietà intellettuale potrebbe pregiudicare le decine di accordi di concessione di licenze produttive dei vaccini, gettando nel caos le catene di fornitura globali. Per trasferire forzatamente la tecnologia ai nuovi produttori, ammesso che ciò sia fattibile, occorrerebbe molto più tempo rispetto alle partnership esistenti.
Le crescenti lamentele sulla proprietà intellettuale non fanno altro che distogliere l’attenzione dai ben noti problemi sui programmi vaccinali europei, dall’incertezza sul vaccino alla burocrazia locale. I policy maker dovrebbero concentrarsi su questo aspetto, anziché mettere a rischio gli effettivi progressi che si stanno realizzando.