Insieme con la transizione ecologica, si prepara la transizione burocratica con il traghettamento verso una dimensione moderna, con aspirazioni “friendly”, che sa dialogare con le tecnologie digitali e con tutte le generazioni degli italiani, dunque uno spazio accogliente e non vessatorio, capace di offrire il dovuto e in tempi veloci. Andrà a buon fine? La rubrica di Pino Pisicchio
L’impresa più impegnativa di questo governo è quella di cambiare la faccia allo Stato, quella che si vede nella sua prima trincea – per la maggioranza degli italiani anche l’unica – che impatta con i cittadini: la Pubblica Amministrazione. La metamorfosi del Moloch, la trunsastanziome dalla dimensione trasfigurata del sauro brutto e arcaico al cigno “digitalizzato” è stata appena raccontata dal ministro Brunetta in Parlamento e gli hanno fatto eco i colleghi Colao e Bonetti.
Insieme con la transizione ecologica, infatti, si prepara la transizione burocratica con il traghettamento verso una dimensione moderna, con aspirazioni “friendly”, che sa dialogare con le tecnologie digitali e con tutte le generazioni degli italiani, dunque uno spazio accogliente e non vessatorio, capace di offrire il dovuto e in tempi veloci. E la velocità sembra essere la parola d’ordine del nuovo corso politico in allarme per il pericolo di veder svaporare la parte, non irrilevante, di risorse europee per il settore della PA. La prima novità è quella dei concorsi con l’utilizzo del digitale, per snellire procedure per la copertura dei posti nell’Amministrazione che impiegano lo stesso tempo dei tempi dei Borboni: mediamente quattro anni.
La posta in palio è importante sia dal punto di vista delle provviste finanziarie, parliamo di 6,7 miliardi, sia dal punto di vista delle risorse umane: parliamo di un comparto che impiega 3 milioni e 200 mila persone, con una età media che supera i 50 anni e che deve assumere una massa di 490 mila addetti, tra i posti vacanti già da due anni e quelli che lo saranno nel prossimo triennio. L’elemento rilevante che sembra caratterizzare il nuovo corso è rappresentato dall’apertura alla concertazione con le rappresentanze sindacali, celebrata con il “Patto tra governo e sindacati” per il pubblico impiego, e alla collaborazione con università, ordini professionali e settore privato. La priorità resta quella dello svecchiamento con l’inserimento di una nuova generazione di civil servant.
Naturalmente sarà difficile non concordare con questa impostazione: chi è che non vuole in questo nostro Paese tramutare il mantra recitato da generazioni di politici sulla riforma della PA sulla base di principi di semplificazione, di chiarezza, di competenza, e, soprattutto, in veste di entità non nemica e non vessatoria?
La PA è lo Stato centrale, certo. Ma è anche ogni altro livello in cui è organizzata la risposta dello Stato sovrano alle urgenze poste dal suo popolo. Dunque è anche Regioni, Comuni, quel che resta delle Province. Forse questo maledetto tempo pandemico ha fatto vedere cose che ci raccontano di una risposta dispari, tra un pezzo di Stato e l’altro, su cui riflettere. Si parla di cose piccole e grandi. Tanto per fare esempi concreti, ancora oggi nella preoccupata azione di profilassi attraverso il vaccino, somministrato alle categorie professionali “a rischio”, emergono casi di pericolosa dissociazione nei comportamenti delle regioni: un professore residente in una regione ma in attività in un’altra risulta qui un apolide del vaccino e resta senza copertura sul luogo di lavoro. Qualche regione (Campania) ci mette una pezza, ma che succede per le altre?
Ecco, la svolta nel rapporto tra Stato e cittadini passa anche attraverso una buona pezza a colore messa sulle distrazioni di qualche funzionario. Locale o nazionale che sia.