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Il Popolarismo sia novità e alternativa al presente. Scrive Salzano

Di Gennaro Salzano

I Popolari del terzo millennio sono chiamati a dare un’istruzione seria a tutti i giovani; a dare dignità alla vita ed al lavoro; a dare ordine alle istituzioni; a restituire all’Italia l’autorevolezza necessaria nel consesso mondiale, sia nell’interesse della composizione dei conflitti, in cui abbiamo tradizionalmente dato ottime prove, sia nell’ottica del legittimo interesse nazionale. L’intervento di Gennaro Salzano

La discussione intorno al Centro come luogo della politica, sulla sua possibilità, in Italia e non solo, continua a fare capolino nel discorso pubblico nazionale. È accaduto intorno alla figura del Presidente Conte, accade anche ora, forse addirittura con maggiore enfasi, intorno alla figura dal Presidente Draghi. Una discussione generica, dai toni sfumati, che sembra nascondere ansie irrisolte, sensi di colpa collettivi e conti non fatti con il passato. Questo accade in particolare quando si parla di Centro nella sua declinazione di Popolarismo.

C’è da chiedersi come mai questo accada, coinvolgendo, come sta accadendo negli ultimi tempi, addirittura giovani nati dopo la fine dell’ultima esperienza Popolare, quella deliberatamente chiusa dalla segreteria Castagnetti. Ciascuno può dare una risposta. A me pare sia fondato pensare che ci si rivolga a questa possibile opzione politica soprattutto a causa di una profonda insoddisfazione per il presente; per una realtà che vive una organizzazione politica, partitica, istituzionale, talmente confusa, priva di senso, priva della capacità di produrre identificazione collettiva, tale da indurre tanti, rintanati nel proprio privato, a cercare altro cui poter affidare il destino di sé, della propria famiglia, del proprio Paese. Spesso addirittura ci si imbatte in militanti, ridotti ormai a semplici tifosi, che avvertono profonda insoddisfazione per le stesse formazioni in cui militano, ma che esprimono anche scetticismo sulla possibilità di riorganizzare il Paese e la sua politica in modo diverso e più stimabile. Ci si attacca a questo o a quel personaggio auspicando che da solo possa surrogare pensieri, culture, strutture, modi di operare, che per forza di cose devono essere, invece, patrimonio collettivo e prassi incarnata a tutti i livelli.

Ecco, di fronte a tanto, ci si ritrova periodicamente a immaginare altro e in tanti si rivolgono al Popolarismo come l’altro cui potersi affidare. Qui interviene, però, un corto circuito logico che immagina questa nuova creatura politica inserita nel contesto dell’attuale scenario: insomma si cerca altro auspicando però il presente. Temo sia una contraddizione che condanni il sogno, o il progetto, al fallimento. Qualsiasi costruzione politica che abbia come ambizione un movimento di ispirazione sturziana, non può che partire, a mio parere, dall’assunto che occorre mettersi all’opposizione del presente per poter proporre qualcosa di radicalmente altro anche se saldamente ancorato ad un filone culturale solido che si è incarnato variamente nel corso del tempo. E di certo, se questo metodo può essere arduo, ha però il pregio di trovarsi di fronte una tale infinità di storture da abbattere che c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Dalla scuola all’università, dalla politica estera alla giustizia, dall’economia all’organizzazione istituzionale, non c’è pressoché nessun campo di politiche che non abbia urgente bisogno di essere ripensato ab imis. E i motivi per ripensare tutto dalle fondamenta sono davvero molti. Il nodo è il profondo smarrimento in cui l’Italia è piombata come comunità nazionale: gli italiani non sanno più chi sono. La nostra identificazione collettiva come comunità nazionale è certamente giovane e altrettanto certamente ha sempre vissuto momenti di alti e bassi, con incertezze che ne hanno minato il cammino verso una progressiva e crescente unità. Per molti anni questo deficit, più o meno profondo e più o meno latente, è stato riempito dalla prospettiva del sogno europeo, tale che vedeva gli italiani come i più accesi fautori dell’unità dell’Europa. E altrettanto è stato riempito da partiti che avevano surrogato essi stessi l’idea di comunità nazionale attraverso un’azione di integrazione interna che, se da un lato aveva il pregio di inserire le masse nel circuito democratico, dall’altro cristallizzava la società in blocchi politici e culturali contrapposti, tali da rendere impossibile la costruzione di un tessuto etico condiviso che potesse fare dell’Italia una nazione in modo compiuto.

Cascami di quella impostazione ancora oggi sono fortemente presenti nel tessuto politico del Paese, tanto che non si riesce ad essere uniti neanche di fronte alla condanna della dittatura fascista e al riconoscimento della Costituzione. Se tanto è, è evidente che diventa oltremodo complesso stabilire chi si vuole essere nel mondo e, quindi, quali linee di politica estera perseguire; è arduo immaginare una istituzione scolastica che, come è nel suo statuto ontologico, deve essere innanzitutto chiamata a formare le nuove leve ai valori condivisi della comunità nazionale; è arduo immaginare politiche economiche di orientamento solidarista o liberista, e via discorrendo. È comprensibile allora che, se tanta è la confusione che regna nelle culture politiche del Paese, nate, tra l’altro, da scellerati processi di destrutturazione di quel poco che si era riusciti a costruire, per inseguire fantomatiche quando irrealizzabili “fusioni”, le idee siano ancora più confuse su quale organizzazione dare al Paese. Se non sai chi sei e che vuoi fare, insomma, è difficile scegliere gli strumenti attraverso i quali agire.

La costruzione di un nuovo progetto politico, dunque, deve assumere su di sé innanzitutto l’onere di elaborare una proposta compiuta di società e di Paese, tale da poter incrociare un consenso aperto al dialogo con tutte le altre componenti della società. L’Italia di oggi credo abbia innanzitutto tre criticità: un deficit di cultura democratica; la distanza tra politica e cittadini; l’assenza di una cultura della responsabilità. Tre nodi che si declinano in vario modo, dal giustizialismo imperante alla bulimia normativa che tende a regolare ogni minimo aspetto della vita, pretendendo di surrogare con la norma quello che è proprio della morale; da una burocrazia asfissiante che si fa sempre più autonoma ad una sostanziale irresponsabilità della politica che ha prodotto una profonda perdita di autorevolezza delle istituzioni a cominciare dal Parlamento, recentemente mutilato senza colpo ferire, con l’avallo anche di chi continua ad autorappresentarsi come il custode della identità costituzionale senza averne evidentemente più alcun titolo.

Questa crisi sistemica conclamata si è poi abbattuta su una frattura sociale profonda, prodotta dai processi di globalizzazione, che appare prevalente sulle altre: inclusi contro esclusi, dove i secondi sono sempre più numerosi. Esclusi dai processi decisionali; esclusi dalla rappresentanza; esclusi dalla possibilità di una vita stabile e dignitosa; esclusi dal sapere.

Su questo crinale, dunque, deve porsi un progetto autenticamente Popolare, che sia tale per ispirazione culturale, ma soprattutto per capacità di dare voce ai tanti, troppi che voce non hanno più. Un progetto quindi che deve porsi l’obiettivo di rifondare dalla radice le strutture istituzionali, la scuola e l’università, l’economia e il lavoro. Un compito arduo che, per forza di cose, non può restare chiuso nei confini nazionali, ma che necessita invece di un aggancio nel resto dell’Unione europea, dove qualche traccia di Popolarismo, qua e là ancora sopravvive.

Il Popolarismo del terzo millennio, in definitiva, deve essere caratterizzato dalla cifra chiarissima della novità, della alterità, della innovatività. Il riformismo personalista, del resto, non è altro che la capacità di accompagnare l’uomo nella sua evoluzione, nel cammino incessante degli eventi della storia e, per sua natura, quindi, non può che essere “novità”. I Popolari del terzo millennio, allora, sono chiamati a dare un’istruzione seria a tutti i giovani; a dare dignità alla vita ed al lavoro; a dare ordine alle istituzioni; a restituire all’Italia l’autorevolezza necessaria nel consesso mondiale, sia nell’interesse della composizione dei conflitti, in cui abbiamo tradizionalmente dato ottime prove, sia nell’ottica del legittimo interesse nazionale. I Popolari sono chiamati, in definitiva, a restituire ragione alla democrazia: rispondere al bisogno di benessere nella corresponsabilità di tutti i consociati.

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