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Dalle parole di Moro un po’ di coraggio per il centro

Di Giancarlo Chiapello

All’opposizione dello stato delle cose: dalle parole di Moro un po’ di coraggio per il centro oggi che non è più questione di ex, per reimparare ad uscire dalla dimensione del mero tatticismo, quella da meri giocolieri di parole per trovare la concretezza della libertà, dell’umanità. L’analisi di Giancarlo Chiapello

Perché il centro non decolla? Per un sistema, quello radicato nel maggioritario e nel #bipolarismodellodio che i populismi di destra e sinistra curano per tenere congelato il sistema secondo una concezione della democrazia e della politica lontanissima da quelle del popolarismo.

Ma non decolla anche per la vetustà delle proposte e delle metodologie esclusivamente politiciste nascoste sotto semplici sommatorie e vaghi richiami ai valori, poco efficaci essendo pochissimi quelli che ne hanno mantenuto coerenza, stabilità, autonomia.

E non decolla, forse, anche per mancanza di coraggio ed onore che, proprio la tradizione popolare radicata nell’ idea democratico cristiana meritano, non essendo più sufficiente essere degli ex essendo necessaria creatività e capacità di stabilire confini perché non tutto è centro politico e va preservato dalle declinazioni vaghe e vuote da fallita seconda repubblica che confonde prassi che possono essere di qualsiasi colore (riformismo, conservatorismo, moderatismo) col pensiero che necessita di identità.

Urge mettersi all’ opposizione dello stato delle cose. A tal proposito può essere interessante rileggere un articolo di Aldo Moro per reimparare ad uscire dalla dimensione del mero tatticismo, quella da meri giocolieri di parole per trovare la concretezza della libertà, dell’umanità.

“Perché siamo all’opposizione”
(La Rassegna – settimanale di Bari, 1943)
di Aldo Moro

«Affermare che si è molto lontani da una vera e piena instaurazione di libertà in Italia, non desta oggi più meraviglia. Ancora pochi mesi addietro tale severo ed onesto riconoscimento della estrema difficoltà di questo altissimo compito sarebbe suonato strano, come un rimpianto ingiustificato e delittuoso del passato. Ma oggi, dopo la rinnovata continua esperienza di dolore, dopo i molti mascheramenti pseudo democratici, dopo le contorsioni e le manovre politiche, dopo il nuovo allontanamento del popolo dal governo che dovrebbe esprimerne il volere, si può dire senza timore di smentite che siamo appena all’inizio di un cammino così arduo e così lungo, che vengono meno in molti la forza e la fiducia necessarie per tentare l’impresa.

Dove avevamo bisogno di unità, un frazionamento minutissimo delle correnti d’idee mette in forse le possibilità d’intesa. Dove avevamo bisogno di liberi, attenti, intelligenti dibattiti che ponessero in luce le differenze sostanziali per il ritrovamento di una direttiva unitaria, subiamo il quotidiano allettamento di un ordine ad ogni costo, nel quale il contributo originale delle singole personalità è impedito. Dove avevamo un bisogno urgente, assoluto, bruciante di sincerità, vediamo ripetere il gioco della retorica ed assistiamo, doloranti ed impotenti, al progressivo allontanamento dell’uomo dall’uomo e da se stesso. Una grande possibilità di ritrovarci, di gettare giù la maschera, di metterci in posizione di coscienza e di dignità di fronte a noi stessi, è stata purtroppo sprecata.

Non è soltanto la vicenda di una generazione che, arrugginita e superata, ritenta disperatamente la conquista di posizioni di responsabilità direttiva. Anche noi, generazioni nuove, abbiamo la nostra parte di colpe, per questa ingiustizia che ci fa ritrarre dinanzi al compito immane di togliere la maschera ad un mondo pieno d’infingimenti, che si condanna all’odio, alla miseria, alla distruzione. Mentre più viva sentiamo l’esigenza di verità, di libertà, di dignità, ci facciamo succubi di vecchi e nuovi miti e ci sentiamo incapaci di soddisfare l’ansia universale di pace e di bontà.
Certo sul piano strettamente politico la nostra prova può dirsi fallita.

Presi nelle spire delle cautele diplomatiche, compressi nell’urto di imperialismi feroci, costretti al compromesso ed alla tattica, noi abbiamo perduto la nostra partita. Il mondo, che avevamo sognato di costruire, quando più l’oppressione tirannica ci soffocava, si allontana ogni giorno di più; passa tra gli ideali irrealizzabili da accantonare tra i sogni della giovinezza finita. Ed intanto nuovo sangue, nuove finzioni, nuove divisioni, nuove tirannie ci son dinanzi. Ci attende il più grave sacrificio, quello di proclamarci liberi per comodo del mondo, quando liberi non sentiamo di essere.

Finché restiamo sul piano strettamente politico, la nostra sorte è segnata. Se ci prestiamo al gioco altrui della così detta lotta democratica, saremo certamente sconfitti. Se ci illuderemo che conquistare il potere voglia dire possedere il mondo e dominare gli spiriti, noi serviremo soltanto a coloro che, sbarrandoci la strada, potranno dire di avere vinto un avversario e di essere perciò i migliori.

Il nostro posto è all’opposizione; il nostro compito è al di là della politica. Noi non abbiamo aspirazioni di governare, perché sappiamo che questa apparente prevalenza si risolve in una impotenza a dominare gli spiriti. In cambio degli strumenti della forza noi vogliamo riservarci gli strumenti dell’amore. Vogliamo parlare il linguaggio dello spirito, dell’arte cioè, del pensiero, della religione.

Non vogliamo il potere, perché esso ci fa paura. Potrebbe rendere anche noi conservatori, conservatori, non fosse altro, di una libertà meschina e personale. Potrebbe abituarci al compromesso, potrebbe insegnarci la finzione. E noi vogliamo essere liberi, liberi di tutta la libertà dello spirito, per condannare tutto quello che va condannato, per non ricevere nessuna offerta, per non dovere nessun ricambio. Siamo stanchi delle parole vuote, siamo stanchi degli ideali presuntuosi che fanno versare sangue umano. Ci rifiutiamo d’individuare in chicchessia un campione della libertà, ci rifiutiamo di credere che questa possa farsi così piccola e concreta, da lasciarsi cogliere sensibilmente e da informare di sé storiche istituzioni. Sappiamo che la libertà è un’esperienza d’infinito e che non si ritrova pienamente che nel segreto degli spiriti attenti ad una perenne conquista morale. Come siamo stati, così saremo sempre all’opposizione, senza egoismo, senza timore, senza speranza.

Crediamo di assolvere così un’essenziale funzione di chiarificazione e purificazione. Crediamo di costituire una riserva perenne contro la disperazione dello scetticismo. Proprio perché non aspettiamo nulla, possiamo dare coraggio a chi aspetta. Proprio perché non crediamo alle formule correnti dell’eroismo, possiamo fare dell’eroismo semplice e schietto, che non si professi e non si creda tale. Proprio perché crediamo alla verità, possiamo farci critici spietati di tutte le false credenze. Proprio perché amiamo la vita, tutta la vita, possiamo metterci in certo modo al di là dello spazio e del tempo e negare la nostra fiducia a quello che usurpa il nome di vita in una finzione vigliacca e prepotente.

Vogliamo un fronte della libertà non fatto da liberali, ma da uomini. Perché professare la libertà è già presunzione oltre che rischiosissimo impegno. Meglio professare più semplicemente umanità».

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