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Cina-Usa, se in Alaska Putin è il convitato di pietra

Di Laris Gaiser e Domenico Molino

Da una parte l’obiettivo di rimettere sui binari le relazioni con gli Stati Uniti. Dall’altra il piano di lungo termine per abbracciare la Russia e dividersi i ruoli, dall’Africa al Sud Est Asiatico. La strategia cinese in Alaska letta da Laris Gaiser e Domenico Molino

Cina e Stati Uniti stanno arrivando con aspettative molto differenti all’incontro di Anchorage. Se Washington considera l’evento quale occasione per un confronto diretto sugli attriti esistenti, la Cina presenta l’invito quale occasione per ristabilire delle normali relazioni bilaterali.

Pechino è assolutamente convinta che gli Usa siano una potenza in declino incapace di fermare l’ascesa cinese sul lungo termine. Possono ostacolare solo relativamente la Cina e i suoi alleati. Il momento è particolarmente propizio per il Dragone: con grande stupore di Pechino, nessuno in questi mesi nella comunità internazionale ha chiesto i danni ai cinesi per la mala gestio iniziale della pandemia. E il governo cinese coglie l’occasione per prodigarsi su scala globale in una diplomazia sanitaria tesa a far apparire la Cina anch’essa vittima della pandemia anziché responsabile.

Conforta poi le élites politiche cinesi il fatto che una Casa Bianca guidata da un presidente, Joe Biden, dichiaratamente anti-russo, non consideri in alcun modo la possibilità di un riavvicinamento strategico con Mosca per staccarla dall’abbraccio cinese, al punto da definire il presidente russo “un assassino”. Un passo cui non si era mai spinto neanche Richard Nixon, che decise di aprire alla Cina di Deng Xiaoping per isolare l’Unione Sovietica senza porsi troppo il problema di milioni di cinesi spariti sotto il regime.

In questi anni la Russia è finita fra le braccia di Pechino anche a causa delle sanzioni occidentali legate alle vicende ucraine.  Ma anche rebus sic stantibus potrebbe divenire con il tempo un alleato involontario dell’Occidente. Dalle operazioni congiunte nel mediterraneo alle stazioni lunari, Russia e Cina collaborano pressappoco in ogni campo. Ma quanto conviene al Cremlino confinare con il Paese che più di ogni altro ambisce alla leadership mondiale?

È innegabile come dal punto di vista dottrinale entrambi i paesi riconoscano la necessità di evitare un conflitto simmetrico con il sistema americano. Fin dalla fine degli anni ’90 cinesi prima e russi poi hanno compreso l’importanza dello sviluppo di un confronto senza limiti che, come tradizionalmente suggerito dal gioco del go, deve basarsi sull’occupazione silenziosa di ogni singolo spazio del terreno.

Allo sviluppo del programma statunitense Artemis, cinesi e russi rispondono congiuntamente tramite la firma, avvenuta il 9 marzo 2021, di un memorandum d’intesa tra i due governi finalizzato alla cooperazione per la realizzazione di una stazione lunare scientifica.

Ma anche il fascino vintage che questa nuova corsa allo spazio possiede deve portare ad interrogarci se quella tra Mosca e Pechino sia una relazione vincente oppure solo un momento tattico di studio e reciproco controllo. Una chiave di lettura ci deve essere fornita tornando letteralmente con i piedi per terra ed osservando quanto sta accadendo nella vastità del territorio africano.

Le relazioni securitarie russe hanno ad esempio reso possibile la firma, avvenuta l’11 novembre 2020, di un accordo della durata di 25 anni per la costituzione di una base navale a Port Sudan. Questo tassello deve essere aggiunto al mosaico che Mosca punta a realizzare nella regione.

Nel 2018 il Centro d’Analisi per il Governo della Federazione Russa, pubblicando una relazione sulle problematiche emergenti e sulla valutazione energetica dell’Africa sub-sahariana, rivelava l’interesse che la regione rivestiva all’interno delle politiche energetiche nazionali. La mappatura analitica se affiancata alla postura che il Cremlino assume in quest’area del globo, può suggerirci i possibili risvolti nelle relazioni con Pechino.

L’attuale proiezione russa e di gruppi paramilitari riconducibili a Mosca in paesi come la Libia e la Repubblica Centroafricana si deve sommare agli ingressi in quest’area, già a partire dal 2017, di ingenti investimenti e delle attività estrattive condotte da compagnie minerarie russe. Solo osservando dall’alto la dimensione geografica della strategia del Cremlino si può comprendere la duplice volontà di avvolgere l’Europa e bloccare l’espansione di un Dragone che, dal canto suo, ha già iniziato la penetrazione nel Corno d’Africa e nell’Africa Orientale.

Se la Russia, nello stesso modo in cui ostacola la Turchia, riuscirà a sbarrare l’espansione verso occidente della Cina, allora tornerà ad aumentare la propria influenza anche in Oriente. Già a partire dall’Asia Centrale, la Russia cercherà di superare il proprio deficit economico nei confronti di Pechino attraverso una forte capacità relazionale.

In questa visione le Repubbliche post-sovietiche così come l’Afghanistan torneranno ad essere terreno di grande gioco ove Mosca potrà sfruttare il proprio volto sincretico. Tale capacità ad oggi non posseduta da Pechino la porterà ad unire al dialogo interreligioso i tratti del contrasto al terrorismo internazionale di matrice islamica.

Quest’ultimo fenomeno potrebbe costituire il presupposto per la vicinanza e la cooperazione russa con i Paesi del Sud Est Asiatico. Tra i dossier relazionali non può mancare il ruolo, tradizionalmente ostile alla Cina, che l’India riveste. La nuova raja geopolitica, che unirebbe la Russia al Golfo di Guinea passando per l’Asia Centrale ed il Medioriente, interporrebbe Mosca agli interessi Atlantici ad Occidente e Cinesi ad Oriente. L’Occidente ringrazia e guadagna tempo prezioso per delineare una strategia coerente.

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