Skip to main content

Conferenza sul futuro dell’Europa, firmata la dichiarazione. E ora?

Con la dichiarazione congiunta sulla Conferenza sul futuro dell’Europa prende il via un processo che durerà un anno e che punta a ripensare l’Unione europea con il coinvolgimento dei cittadini. Un esercizio dal basso che avrà bisogno anche dell’impulso delle autorità nazionali. L’analisi di Nicoletta Pirozzi, responsabile del programma “Ue, politica e istituzioni” e delle relazioni istituzionali dello Iai, pubblicata su Affari internazionali

Con la firma della Dichiarazione congiunta da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, del presidente del Parlamento europeo David Sassoli e del premier portoghese António Costa, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, oggi a Bruxelles si avvia il processo per la Conferenza sul futuro dell’Europa.

Il cammino della Conferenza è stato tortuoso e sono ancora molti gli interrogativi sulla sua realizzazione e sui risultati che riuscirà a produrre. La cancelliera Angela Merkel, durante il semestre tedesco alla guida del Consiglio dell’Ue, non era riuscita a sbloccare il processo, ed è  toccato alla presidenza portoghese trovare il modo per superare l’impasse. La Dichiarazione congiunta rappresenta certamente un compromesso al ribasso, ma fissa alcuni paletti che garantiranno al processo di prendere avvio, probabilmente il 9 maggio prossimo, in occasione della Festa dell’Europa, e durare fino alla primavera del 2022, sotto la presidenza di Emmanuel Macron, suo ispiratore, e poco prima delle elezioni francesi.

In primo luogo, la Dichiarazione supera lo stallo sulla presidenza della Conferenza, che viene affidata congiuntamente ai presidenti di Commissione, Parlamento e Consiglio. La concreta gestione sarà invece affidata ad un Comitato esecutivo di 9 membri, rappresentanti di Commissione, Parlamento e Consiglio, più fino a 4 membri osservatori, che prenderà decisioni attraverso la regola del consenso, e sarà assistito da un segretariato.

Dialoghi di cittadinanza

Per quanto riguarda il processo, si dice che la Conferenza sarà un esercizio “dal basso”, anche se fino ad oggi è stato prevalentemente verticistico e gestito completamente a livello istituzionale, e sarà incentrato sui cittadini, anche se la Dichiarazione non esplicita modi concreti e specifici per il loro coinvolgimento. Sappiamo però che una grande attenzione sarà dedicata ai giovani e che gli incontri fisici saranno affiancati da eventi online gestiti su una piattaforma digitale multilingue e interattiva.

L’Istituto Affari Internazionali è già da tempo impegnato con una serie di partner istituzionali e del settore think tank nella realizzazione di un dialogo con le nuove generazioni sul futuro dell’Europa attraverso i suoi “Dialoghi di cittadinanza”. Ma questi sforzi andranno rafforzati e moltiplicati nella nuova fase.

La Dichiarazione congiunta dà anche alcune indicazioni sui temi da trattare, dal cambiamento climatico, alla migrazione al ruolo dell’Unione nel mondo, ma anche i meccanismi democratici, la sussidiarietà e la trasparenza, prevedendo inoltre che i cittadini possano sollevare questioni che ritengono rilevanti.

Riformare l’Ue

La pandemia di Covid-19 e le sue conseguenze economiche e sociali hanno infatti messo in luce molte lacune del progetto europeo, ed è quindi logico chiedere alla cittadinanza di evidenziare quelle che percepisce come più rilevanti. L’agenda della Conferenza dovrà dunque essere ampliata per identificare le riforme politiche e istituzionali necessarie per garantire la resistenza dell’Ue, la sua capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini e il modo in cui può svolgere un ruolo internazionale più attivo.

Questo processo potrebbe arrivare a considerare un trasferimento all’Unione di nuove competenze dagli Stati membri e un’espansione dell’applicazione del voto a maggioranza qualificata. Potrebbero emergere anche preferenze sulla direzione del processo di integrazione europea, in senso maggiormente sovranazionale o intergovernativo, oppure verso meccanismi di differenziazione attraverso i quali gli Stati membri più capaci e volenterosi possano andare avanti senza essere bloccati dalla necessità di procedere a 27.

Tuttavia, su questo punto resta l’interrogativo principale, ovvero cosa possiamo aspettarci dalla Conferenza. Il Consiglio ha infatti espressamente escluso la possibilità di riforma dei Trattati sulla base dell’articolo 48 del Trattato sull’Ue. Sappiamo che i risultati della Conferenza saranno raccolti da una plenaria composta da cittadini insieme a rappresentanti delle istituzioni europee, dei Parlamenti nazionali, delle parti sociali e della società civile, che si riunirà almeno una volta ogni sei mesi, per assicurare che le raccomandazioni dei cittadini siano prese in dovuta considerazione.

Le principali conclusioni della Conferenza confluiranno poi in un rapporto ai presidenti, che dovranno decidere come darvi seguito, ciascuno nella propria sfera di competenza. Se le istituzioni abdicheranno al loro ruolo di rappresentanza e non trasformeranno le deliberazioni della Conferenza in un percorso serio di riforma, l’esercizio rischia di trasformarsi in un boomerang sulla credibilità e sulla democrazia dell’Unione.

Il ruolo delle istituzioni nazionali

Infine, un ruolo fondamentale spetterà alle istituzioni nazionali, che dovranno attivare un processo virtuoso di dibattito capillare, allocare le risorse finanziarie necessarie, e veicolare i contributi dei cittadini alle istanze europee. Questo lavoro si intreccerà con l’importante processo di attuazione di Next Generation EU attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Insomma una doppia sfida: coinvolgere direttamente i cittadini e offrire loro risposte concrete per le sfide quotidiane sarebbero i migliori antidoti alle spinte nazionalistiche e populiste e ci permetterebbero di preparare al meglio l’opinione pubblica alle prossime elezioni europee del 2024.

(Articolo pubblicato da Affarinternazionali)


×

Iscriviti alla newsletter