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Dazi, difesa e tech, così l’intesa Ue-Usa allontana la Cina

La sospensione dei dazi legati al contenzioso Airbus-Boeing fra Ue e Usa segna un cambio di pagina nei rapporti transatlantici. Dalla Difesa al settore tech, le aperture di Biden invitano Bruxelles a esercitare cautela nei rapporti con la Cina. L’analisi di Jean-Pierre Darnis, consigliere scientifico IAI

Dopo un colloquio telefonico fra Ursula Von der Leyen e Joe Biden, Unione Europea e Stati Uniti hanno annunciato giovedì 5 marzo la sospensione per quattro mesi di tutti dazi legati al contenzioso Airbus-Boeing, con poi l’impegno di risolvere la disputa commerciale in sede Omc.

Si tratta di un’inflessione notevole, in contro-tendenza rispetto al trend di dura competizione commerciale che andava avanti da alcuni decenni, e che illustra anche la volontà di ritorno al multilateralismo da parte dell’amministrazione Biden.

Se questo slancio iniziale venisse perseguito con ulteriori decisioni, potrebbe segnare un cambio epocale nelle relazioni fra Unione Europea e Stati Uniti. Le relazioni transatlantiche sono segnate da una forte dissonanza. Se da un lato l’alleanza militare incarnata nella Nato viene sempre richiamata come un fattore fondamentale per la sicurezza comune e la stabilità mondiale, dall’altro canto abbiamo potuto vedere che il concetto di “alleanza” non era estendibile agli aspetti commerciali e industriali.

Ci sono non soltanto le rivalità commerciali che hanno portato a dazi, una politica che ha conosciuto una particolare gloria con l’amministrazione Trump, ma anche delle forme di protezionismo industriale più profonde. Possiamo citare l’insieme degli aspetti digitali con le problematiche della governance dei dati quando varcano le frontiere fra Ue e Usa, la spinosa questione delle tasse da applicare ai colossi digitali (la google tax), ma anche i limiti posti ad investimenti diretti.

Nel mercato della tecnologia e difesa, gli investimenti europei negli Usa come quelli di Thales o di Leonardo, si sono rivelati spesso buone operazioni da un punto di vista economico ma molto frustranti da un punto di vista tecnologico e industriale, date le barriere messe all’uscita della tecnologia.

Quando nella recente conferenza di sicurezza di Monaco Joe Biden ha dichiarata il ritorno degli Usa e la priorità dell’Alleanza Atlantica, ha registrato reazioni positive ma prudenti da parte di un Emmanuel Macron o di un Angela Merkel che hanno rinnovato la volontà di mantenere la linea autonoma dell’Europa.

Assistiamo però a un’accelerazione delle decisioni statunitensi che aprono una serie di capitoli nuovi nelle relazioni transatlantiche. Il segretario di stato al Tesoro, Janet Yellen, ha recentemente dichiarato che gli Stati Uniti non bloccheranno più l’adozione di uno schema di tassazione globale delle attività digitali, un’evoluzione fondamentale che di fatto avvicina gli USA all’Unione Europea e offre la possibilità di un compromesso da negoziare in sede Ocse, con un possibile accordo politico in ambito G20.

Inoltre, mentre l’Unione ha lanciato a dicembre uno sforzo legislativo di regolamentazione del comparto digitale, il digital act, anche negli Usa i colossi digitali sono sotto la lente del legislatore con molti che spingono per un irrobustimento dell’antitrust. Esistono quindi i termini di una convergenza anche da questo punto di vista.

Bisogna anche constatare il parallelismo fra un’amministrazione Biden che firma un executive order per rinforzare la catena di fornitura tecnologica e industriale statunitense al fine di ottenere una maggiore autonomia e le decisioni recenti della Commissione Europea che, con il ruolo di punta della Dg Defis, sta sviluppando un’agenda di sovranità tecnologica e industriale europea.

La proposta fatta a Biden da parte di von der Leyen durante il colloquio telefonico del 5 marzo di instituire un “consiglio congiunto per il commercio e la tecnologia” traduce in un’apertura politica i termini della potenziale convergenza fra Stati Uniti e Unione Europea. La tecnologia e l’innovazione sono al centro delle politiche europee e statunitensi, ma vanno ben al di là della crescita economica o del benessere prodotto dai servizi tech. Si tratta di difendere e progettare il proprio ordine democratico e civile su scala tecnologica, e dunque globale.

Ed è ovvio che appena si approfondiscono i termini di un dibattito, spesso segnato in Europa dall’evoluzione delle politiche delle società statunitensi come Facebook o Google, ci si trova di fronte a un enorme elefante nella stanza, ovvero la posizione da adottare nei confronti della Cina e delle aziende cinesi tech globali, ferro di lancia della proiezione internazionale del regime di Pechino.

Fino a poco tempo fa si notava una divergenza fra le posizioni statunitensi ed europee. Mentre Washington ha sviluppato una posizione di netta differenziazione, spesso antagonista, con Pecchino, in Europa si adottava una linea più morbida. La Cina veniva descritta come “rivale sistemico,” ma si perseguiva la strutturazione della cooperazione commerciale con la firma a dicembre scorso di un accordo globale sugli investimenti, fortemente voluto da Parigi e Berlino.

L’Europa rifiutava i termini della scelta richiesta dagli Usa che, impegnati in una visione di opposizione con la Cina, volevano poter contare su una forma di allineamento automatico da parte degli alleati europei.  La rivendicazione di un’autonomia strategica europea veniva messa in avanti per evitare di seguire gli Usa su questo terreno.

L’accelerazione dell’amministrazione Biden e il dialogo avviato con una Commissione Europea anche essa in forte crescita su queste tematiche sta di fatto modificando i termini dell’equazione. Lo sviluppo di nuove convergenze sulle strategie tecnologiche e commerciali fra Usa e Unione Europea potrebbe contribuire ad un affievolimento della posizione attendista dell’Unione.

Questo riavvicinamento fra le due sponde dell’Atlantico porterà ad un’ulteriore cautela europea nei confronti della Cina. Si tratta di un elemento di ri-orientamento che verrà con ogni probabilità colto da un paese come l’Italia dove il nuovo governo Draghi ha affermato con nettezza l’ancoraggio europeista e atlantista, mentre in un recente passato la firma dell’accordo sulla via della Seta aveva suscitato qualche dubbio.


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