La questione della trasmissione del cognome materno risulta oggetto recentemente dell’attenzione della Consulta. La Corte costituzionale del 14 gennaio 2021 ha annunciato, che, esaminata in camera di consiglio la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Bolzano sull’articolo 262, 2° co., c.c., laddove “non consente ai genitori di assegnare al figlio, nato fuori dal matrimonio ma riconosciuto, il solo cognome materno”, lo stesso collegio ha deciso di “sollevare davanti a se stesso la questione di costituzionalità del primo comma dell’art. 262 del Codice civile che stabilisce come regola l’assegnazione del solo cognome paterno”.
La lucida decisione ,alla luce dell’art. 30 Cost. che dispone: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, ma anche del contraddittorio principio che l’opzione per il cognome paterno si riconduce infatti ad una regola non scritta, cioè a carattere consuetudinario, tipica dell’identità culturale di una determinata civiltà e soprattutto si ricorda la disciplina del codice civile ante riforma del diritto di famiglia del 1975, in cui l’uomo aveva – nell’ambito dell’organizzazione familiare – una vera e propria potestà, da esercitare sia sulla moglie che sui figli.
Oggi i nuovi sviluppi del principio di eguaglianza tra i coniugi, deve essere considerata alla luce della rilevanza della Convenzione delle Nazioni Unite contro la discriminazione verso le donne (Cedaw) nella giurisprudenza degli Stati contraenti e dunque in tema di trasmissione del cognome ai figli. In particolare, fino ad oggi abbiamo constatato la tendenza del giudice costituzionale italiano a non fare espresso riferimento alla Cedaw in merito alla disciplina del cognome da trasmettere ai figli, eliminando, così, qualsiasi confronto con il diritto internazionale per privilegiare una visione del diritto interno. Ma in questi tempi appare fondamentale l’importanza di guardare ad ordinamenti esteri e di adottare un approccio comparativistico – osservando i mutamenti della normativa e della giurisprudenza di altri Paesi – poiché sono definite come strumenti fondamentali per analizzare le istanze comuni alle democrazie contemporanee.
E appare fortemente innovativo l’impegno ad approfondire la tematica della comparazione che si presenta particolarmente attuale a causa dell’intensificarsi dei rapporti fra le diverse aree geografiche che caratterizza il mondo contemporaneo e per il diffondersi di processi di collaborazione e integrazioni fra ordinamenti che richiedono confronti fra diverse concezioni dei valori costituzionali. La Corte in verità nel 2006, con, la propria pronuncia aveva già annunciato la necessità per l’Italia di adeguarsi alle disposizioni di rango internazionale e, in particolare, a quanto prescritto dall’art. 16, 1° co., lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979. Quest’ultima previsione, non a caso, “impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome”.
L’analisi dell’Ordinanza posta all’attenzione della Corte costituzionale mette in discussione l’assunzione automatica da parte dei figli del patronimico – ancora presente nell’ordinamento giuridico contemporaneo – e rappresenta un segnale inequivocabile di una problematica presente nella società italiana dei nostri giorni, che tutt’ora predilige – a livello legislativo – che la trasmissione del cognome avvenga per via paterna.
Si evidenzia con maggiore chiarezza come la parità tra uomo e donna costituisca ancora un obiettivo da raggiungere per dare piena attuazione al combinato disposto degli artt. 3 e 29 Cost. la necessità di un intervento del legislatore, che, esclusivamente, potrà pronunciarsi con la giusta autorevolezza in merito alla volontà di mutare le regole di attribuzione del cognome. Diversi sono stati, e sono i progetti avanzati da più parti in diversi momenti storici, ma nessuno di essi ha mai superato il vaglio delle Camere. In particolare il contenuto della proposta – in tema di attribuzione del cognome ai figli – formulata dalla Rete per la Parità, a cui TutteperItalia si associa, che comporta una scelta responsabile e non farisaica di non “rimettere la scelta del cognome ai genitori che significherebbe anche pregiudicare il diritto del figlio alla propria identità personale, diritto che si realizza pienamente solo con il riconoscimento formale della discendenza sia in linea paterna che in linea materna” ma di promuovere un testo di legge che concretamente assuma la decisione di parità di entrambi i genitori a trasmettere il proprio cognome ponendosi di fatto nell’ordine di uguaglianza sostanziale come indicato dalla CC art 3.