Enrico Letta può leggere la coalizione in chiave tradizionale come una competizione tra centrosinistra vs centrodestra o guardare in prospettiva a quello che non c’è ancora ma può nascere anche qui. Una nuova alleanza semaforo, rossa, verde e gialla, tra socialdemocratici, verdi e liberali
Il Pd esce nel migliore dei modi possibili dalla peggiore crisi che abbia mai vissuto. Enrico Letta non è solo uno dei fondatori del Pd. È stato uno dei suoi più autorevoli dirigenti e premier nella stagione pre-renziana. Da allora sono passati sette anni. Renzi è stato sconfitto dal referendum costituzionale, i populisti hanno vinto le elezioni, lo stesso premier Giuseppe Conte ha governato con due esecutivi diametralmente opposti e infine è arrivato il ciclone Draghi che sta resettando tutta la politica italiana.
Sette anni nella rapidissima politica liquida che abbiamo conosciuto sono un’era geologica, e la pandemia, semmai fosse possibile, ha accelerato ancora di più l’ascesa e il crollo di leadership e allo stesso tempo di idee, visioni, appartenenze e identità politiche. Per questo sarebbe un errore se il ritorno di Letta fosse simile a quello Edmond Dantès del Conte di Montecristo. Meglio la figura di un generale richiamato dal congedo nell’ora più buia della sua comunità.
La duplice sfida che Enrico Letta ha davanti è questa. Nell’immediato, evitare la fine prematura del Pd per autoconsunzione. Nel medio-lungo periodo, lavorare perché il Pd resti asse portante di una coalizione progressista e democratica. Sulla prima, l’autorevolezza di Letta è sicuramente una garanzia, ma può non bastare. Se da un lato è molto comprensibile la necessità di definire alcune battaglie identitarie, di dare nuovo stimolo all’organizzazione e ai circoli e allo stesso tempo affermare con forza che l’agenda Draghi è l’agenda del Pd, resta un nodo problematico che lo stesso Letta ieri ha citato: il Pd non può esistere solo nella sua funzione di partito di governo, non può esistere solo per gestire il potere.
La seconda sfida riflette un quadro politico molto mutevole. L’insufficienza delle famiglie politiche tradizionali, anche in Europa, sta mostrando la necessità di guardare oltre gli schemi del passato. Persino nella stabile e forte Germania, le elezioni regionali danno segnali chiarissimi. Lo ha capito intelligentemente anche il sindaco Sala, che proprio tre giorni fa ha annunciato di aver aderito ai verdi europei.
Enrico Letta può leggere la coalizione in chiave tradizionale come una competizione tra centrosinistra vs centrodestra o guardare in prospettiva a quello che non c’è ancora ma può nascere anche qui. Una nuova alleanza semaforo, rossa, verde e gialla, tra socialdemocratici, verdi e liberali.
Come ho scritto settimane fa proprio su Formiche.net, con la guida di Conte il Movimento 5 Stelle può definitivamente istituzionalizzarsi e rappresentare un’area moderata e centrista che oggi ha scarsa rappresentanza. I verdi con la guida di Rossella Muroni e il sostegno di sindaci come Sala possono definitivamente far prevalere il lato pragmatico e innovativo dell’ambientalismo, e liberarsi di un certo ideologismo.
Il Pd in questo quadro può recuperare la sua centralità e la sua forza progressista e riformista, tornando ad essere il partito del lavoro, anzi dei lavori, oltre la comfort zone delle ztl delle grandi città.
Vasto programma, direbbe qualcuno. Certo, ma anche l’unico possibile per dare un senso a una storia e a una comunità politica, che vada oltre il contingente, oltre il momentaneo.