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Draghi, fenomenologia di un governo apartitico. La bussola di Ocone

Superlega

La crisi interna prima dei Cinque stelle e poi clamorosamente del Pd, cioè delle forze che governavano precedentemente, e la maturazione della Lega verso un’identità compiuta che prima non aveva, sono elementi con una forte valenza positiva. Corrado Ocone spiega perché

C’è un doppio livello di analisi con cui va giudicata l’esperienza del governo di Mario Draghi. E corrisponde a due distinti terreni di gioco. Distinti, ma convergenti, perché unico è il fine: che, retoricamente, potremmo chiamare di “messa in salvo dell’Italia”. Anche la crisi del Paese, ormai più che trentennale, viaggia infatti lungo una duplice direttrice: quella del declino, economico e non solo, del Paese, che è causa ed effetto di un sistema statuale anchilosato, che abbisogna di forti riforme strutturali (amministrazione, giustizia, procedure. rapporti fra i poteri); e quello della crisi del sistema politico, anzi del fallimento della politica e in primo luogo della sua capacità di generare idee, rappresentare bisogni, avere una visione ideale seriamente vissuta, selezionare una classe dirigente.

Retorica per retorica, i soldi del Next Generation Eu, che a quelle riforme strutturali sono legati, sono un’occasione più unica che rara, e rappresentano forse anche l’ “ultimo treno” per la “rinascita” del Paese dal primo punto di vista. Questa parte è stata avocata a sé da Draghi e dai suoi uomini, che hanno una visione ben precisa dell’Europa e del nostro futuro, e quindi non sono tecnici ma politici, ma che pure non seguono né politiche di destra né di sinistra in senso stretto. Potrà sembrare, e forse anche potrà essere in certi momenti, che il pendolo oscilli dall’una o dall’altra parte, ma in sostanza quella di Draghi è una politicità apartitica, se così si può dire.

La seconda parte non è invece nel potere di Draghi, ma proprio dei partiti politici che, come da Costituzione, sono elemento fondamentale di mediazione fra i cittadini e il potere statale. La scommessa era però che lo shock indotto dall’irruzione dell’ex presidente della Banca Centrale Europea sulla scena politica nazionale favorisse, seppure indirettamente, quella graduale rinascita o maturazione dei partiti che possa portare in prospettiva allo sblocco del sistema politico e ad una futura sana dialettica democratica. Ad un mese esatto dall’insediamento di Draghi, con compiacimento dobbiamo osservare che non solo lo shock indotto sul sistema dei partiti c’è stato, ma esso sembra correre più velocemente di quando era ragionalmente prevedibile.

Vista in questa prospettiva, la crisi interna prima dei Cinque stelle e poi clamorosamente del Pd, cioè delle forze che governavano precedentemente, e la maturazione della Lega verso un’identità compiuta che prima non aveva, sono elementi con una forte valenza positiva, spesso (è normale) non colta dagli stessi protagonisti. Se l’impostazione del mio discorso ha un senso, ne discendono alcune non effimere conseguenze:

1) il cleavage “populisti” vs “europeisti” (o addirittua “fascisti” vs “antifacisti”), che sembrava dominare la passata stagione politica, era una costruzione abbastanza artificiale: quote abbondanti di “populismo” erano (e sono ovviamente in parte ancora) proprie di tutte le forze politiche, e molto presenti erano persino nel secondo governo Conte che pur si spacciava per “europeista”;

2) la “maturazione” passerà a sinistra anche attraverso una scomposizione/ricomposizione delle forze attuali, con la divisione dei Cinque Stelle in un’ala “moderata e liberale”, come ingenuamente la definisce Luigi Di Maio, ed una, minoritaria, più legata allo “spirito delle origini”; e con un Pd che ritornerà probabilmente alla sua originaria matrice riformista e liberal (e a quel punto chi meglio di un Matteo Renzi potrebbe interpretare la linea?);

3) la Destra a sua volta si dividerà in un normale partito conservatore, come è già in buona parte quello che fa capo a Giorgia Meloni, ed una Destra altresì conservatrice, ma più liberale, produttivistica e legata ai classici e moderati valori del ceto medio italiano (che solo nella sua parte eufemisticamente detta “riflessiva”, cioè intellettuale e impiegatizio-statale, può dirsi di sinistra). L’idea di questa seconda Destra è chiaramente quella che, un tempo coperta da Forza Italia, oggi va a ricoprire la Lega di Matteo Salvini. Nel suo caso la maturazione più che in una svolta consiste in una integrazione, o meglio nella costruzione di una identità che semplicemente non c’era, essendo il partito nato da poco ed essendo cresciuto fino a diventare il primo in Italia più per le capacità politiche e di cattura del consenso del suo leader che non per le idee di un organico programma di governo. Che poi questa “nuova” identità entri in sintonia con l’esperimento di Draghi più di quanto accada a sinistra, e che ciò dia quasi l’impressione che sia la Lega la forza trainante di un governo “spostato a destra”, come si è detto in questi giorni, è nella logica dei fatti del momento, ma esula del tutto dal senso generale che abbiamo provato a delineare.


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