Non è politically correct usare la parola sovranista. Ma di questo si parla quando un premier blocca l’export Ue di vaccini per mettere in prima fila il suo Paese. Con Mario Draghi il sovranismo si riprende una (parziale) rivincita. Il commento di Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella
La decisione del governo Draghi di sospendere l’invio dei vaccini prodotti in Italia da Astrazeneca all’Australia in risposta alle inadempienze contrattuali del colosso farmaceutico ha generato un comprensibile dibattito e ci si è interrogati sulla linea adottata dal presidente del Consiglio in politica estera.
C’è chi ha definito la misura “sovranista”, chi “protezionista”, altri ancora “semplicemente di buon senso”, di certo è una scelta senza precedenti, anche perché l’Italia è stata la prima nazione ad aver fatto leva sul nuovo regolamento europeo.
Il primo elemento da sottolineare è il fatto che la decisione di Draghi, verosimilmente solo pochi mesi fa osteggiata dall’Unione europea, ha riscontrato il placet delle istituzioni europee, segno del cambio di rotta di Bruxelles su numerosi temi.
Senza dubbio lo scenario politico è cambiato radicalmente rispetto allo scorso anno e ragionare con gli stessi schemi e categorie sarebbe sbagliato. Il coronavirus ha determinato una cesura di cui non si può non tener conto. Allo stesso tempo però, pensare che battaglie e posizioni politiche che sono state al centro del dibattito per anni siano cancellate come se nulla fosse, sarebbe parimenti un errore.
Di certo la pandemia ha dimostrato il fallimento del populismo, dell’incompetenza e della scarsa preparazione, imponendo la necessità di una classe dirigente competente, il contrario della vacuità delle proposte populiste.
L’emergenza sanitaria e socio-economica ha non solo attualizzato ma permeato le istituzioni nazionali e sovranazionali dei temi cari al pensiero sovranista e conservatore sancendo non tanto un superamento del sovranismo, quanto una sua evoluzione in senso più maturo, abbandonando alcune derive populiste per abbracciare posizioni più istituzionali e meno strillate.
È indubbio che il sovranismo sia evoluto e abbia subito una sua metamorfosi tralasciando posizioni a favore dell’uscita dall’euro e ammiccamenti a tesi complottiste che esistevano in alcune componenti, ma è altresì vero che l’influenza e la penetrazione delle idee sovraniste nelle istituzioni europee e italiane è innegabile.
Come definire la scelta di Draghi di bloccare l’invio dei vaccini all’Australia, la volontà di produrre un vaccino italiano o le azioni per impedire la delocalizzazione delle nostre aziende? Non vogliamo usare il termine sovranista perché appartenente a un altro momento storico?
Benissimo, utilizziamo un sinonimo, ma tant’è, queste idee fino a pochi mesi fa venivano osteggiate apertamente dal mondo liberal e progressista e definite come “nazionaliste”, mentre oggi sono accettate e addirittura elogiate dagli stessi esponenti politici e commentatori che le criticavano aspramente.
In tal senso è decisamente più coerente la Lega ad accettare queste posizioni rispetto ai partiti di sinistra che sono costretti a piroette retoriche e linguistiche per digerire scelte contrarie alla propria visione della società.
Impossibile perciò non riscontrare una parziale rivincita del sovranismo, che avrà mutato forme e terminologie, ma è infine riuscito a penetrare le difese dell’Unione europea.