Riprendendo il film del 1942 di Alessandro Blasetti “Quattro passi tra le nuvole”, Giuseppe Pennisi indica i quattro punti, poco convincenti, del programma del nuovo segretario del Partito democratico
Come ho scritto su questa testata, conosco il nuovo segretario del Partito Democratico da quando aveva 24 anni ed era assistente dell’allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta. Ho avuto occasione di vederlo alcune volte nei seminari dell’Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) che spesso presiede. Nutro per lui stima e lo considero un vero riformista. Ha sulle spalle un compito gravoso: quello di riorganizzare il Partito Democratico di cui è diventato di recente segretario e di creare una coalizione di centrosinistra che possa essere competitiva con un’alleanza di centrodestra che, secondo i sondaggi principali – si legga l’accurata analisi pubblicata il 26 marzo dalla Fondazione Open Polis – considerano vincente ove le elezioni fossero imminenti.
Vivo a Roma nel quartiere Prati, una zona a reddito medio-alto che elegge da anni un municipio retto dal Pd; come è noto, il Pd è diventato il partito dei quartieri “alti e benestanti”, mentre le periferie votano Movimento Cinque Stelle (M5S) e le formazioni di centrodestra. Può sembrare un paradosso ma risultati elettorali e sondaggi confermano che questa è la situazione.
Proprio parlando con condomini e vicini – alcuni militanti Pd – ho avvertito che alcune delle prime mosse del neo segretario siano parse come i “quattro passi tra le nuvole” del famoso film di Alessandro Blasetti del 1942.
In primo luogo, tutti d’accordo sulla necessità di dare una chiara identità al Pd che “al colto ed all’inclito” è parso come un recinto per “guerre per bande” in un rodeo permanente di cui il suo predecessore ha detto addirittura di “vergognarsi”. Ma può essere lo “ius soli” il collante identitario? Gli elettori prataioli del Pd non ne vogliono sentire parlare. Ancora meno quelli pariolini. Soprattutto, non è un tema all’ordine del giorno di un governo nato con una duplice missione: sconfiggere il Covid-19 (o ridurne fortemente i danni) e rilanciare l’economia. Lo “ius soli”, di cui parlare ove le elezioni fossero vicine e ci fosse un’intesa con i partner di coalizione (per ora è anatema per gran parte dei militanti del M5S), è argomento molto divisivo che potrebbe diventare una bomba al plastico nel percorso (già molto difficile) del governo Draghi. Per inciso, sono sempre stato favorevole allo “ius culturae”.
In secondo luogo, perché proporsi come “centrale” alla grande coalizione che sostiene il governo Draghi, Non ci propone “centrali”, come non ci si propone “primi della classe”, ci si diventa se le circostanze e “gli altri” lo considerano meritevole.
In terzo luogo, lanciare un “grande Ulivo” contro una supposta minaccia di vittoria elettorale (quando ci saranno elezioni) è una carta vincente? Le esperienze precedenti di varie forme dell’”Ulivo” non sono incoraggianti. Tanto più adesso che ci sono divergenze profonde non tanto tra Pd ed Italia Viva quanto con il M5S: esprimono “blocchi sociali” con istanze differenti e divergenti. Sarebbe stato meglio tentare di iniziare un percorso programmatico insieme e poi vedere se un’alleanza è possibile e porta frutti positivi. Avere lanciato la proposta troppo presto, può essere la strada migliore per farla fallire.
In quarto luogo, la legge elettorale. L’elettorato Pd è piuttosto sconvolto: dopo mesi che un segretario (non si sa se parlando a titolo personale o esprimendo la posizione del gruppo dirigente del partito) ha proclamato le virtù di una legge proporzionale con sbarramento – cavallo di battaglia dell’azionista di maggioranze dell’eventuale “nuovo Ulivo”-, il nuovo segretario (esprimendo le proprie idee, dato che non è stato eletto ancora un nuovo gruppo dirigente del Pd) si è espresso a favore di un “maggioritario a doppio turno”. In Francia funziona benissimo e verosimilmente darebbe stabilità all’Italia. Tuttavia, gli specialisti di sistemi elettorali affermano che oggi darebbe tra il 60% ed il 66% dei seggi alla alleanza di centrodestra.
Infine, è arduo dirsi “democratici” se si è eletti con un plebiscito come quello di Cola di Rienzo o di Boris Godunov, e soprattutto se si dà l’impressione, a torto o a ragione. di forzare il cambiamento delle presidenze dei gruppi parlamentari. Cola di Rienzo e Boris Godunov ebbero un successo di breve periodo. Meglio quattro passi per Via Cola di Rienzo che sulle nuvole.