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F35 e non solo. Come sarà il Pentagono di Biden? La versione di Smith

Di Alessandro Strozzi
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Creare un approccio unico e completo alla sicurezza nazionale, rafforzare la diplomazia americana, lo sviluppo e la difesa e riformare l’assistenza estera. In un incontro della Brookings il deputato Adam Smith, presidente della House Armed Services Committee, svela le prossime mosse del Pentagono. E sugli F-35…

Mentre l’amministrazione Biden costruisce la sua strategia di sicurezza nazionale (Nss) e comincia ad affrontare le sfide di sicurezza che gli Stati Uniti si trovano a fronteggiare, il Congresso giocherà un ruolo critico nel plasmare la politica dell’amministrazione. Dall’approvazione dei bilanci alla conduzione della supervisione, la voce del Congresso, in particolare dei comitati chiave per la difesa e la politica estera, è fondamentale.

È per questo che venerdì 5 marzo la Brookings Institution ha ospitato il presidente della House Armed Services Committee (Hasc) — la commissione difesa della Camera – Adam Smith (D-WA), per una conversazione volta ad individuare le priorità strategiche per la sicurezza nazionale.

Smith è uno dei membri dei Congresso americano più influenti per ciò che concerne gli indirizzi di policy e di spesa che modellano l’attività del Pentagono. Infatti, nel suol ruolo Chairman, supervisiona le delibere della commissione per il bilancio annuale della difesa, che autorizza la spesa del Dipartimento della Difesa (DoD) attraverso il National Defense Authorization Act (Ndaa), il bilancio per la difesa americana.

Le priorità di cui la Hasc si dovrà occupare – e di cui Smith è portavoce – sono molteplici.

Innanzitutto gli Stati Uniti devono superare la propria crisi esistenziale che li porta a sottovalutare la competenza militare, diplomatica ed economica, quando invece all’esterno sono tradizionalmente percepiti come una potenza tenace, capace e militarmente competente.

Diversi sono i fattori che hanno minato l’autostima americana, tra cui spiccano la terribile risposta alla pandemia e l’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. È essenziale ricostruire la credibilità della Paese sia all’interno che all’esterno. Pertanto sarà fondamentale che l’amministrazione si concentri su due interventi immediati di grande impatto: la gestione dei vaccini e dei pacchetti di aiuti economici. Ancora, poiché si riscontra un forte desiderio dei cittadini americani di diminuire l’impegno militare all’esterno, sarà fondamentale comunicare e spiegare più efficacemente le importanti ragioni di tale impegno.

Creare un approccio unico e completo alla sicurezza nazionale: rafforzare la diplomazia americana, lo sviluppo e la difesa; e riformare l’assistenza estera. Senza dimenticare che una strategia di sicurezza nazionale è incompleta se non considera le minacce non militari quali pandemia, cambiamento climatico e l’estrema e quindi destabilizzante disuguaglianza economica (si vedono Afghanistan, Somalia, Libia). Per affrontare tutti questi temi, gli Stati Uniti dovranno insistere sull’approccio olistico detto Whole-of-Government Approach (Wga), ovvero lo sforzo congiunto dei diversi dipartimenti, amministrazioni e agenzie governative per fornire ed implementare soluzioni comuni.

Gran parte del mondo si sta chiedendo che fine abbiano fatto gli Stati Uniti, che dunque devono tornare a lavorare, come hanno fatto per decenni dopo la Seconda guerra mondiale, per un mondo pacifico e prospero, sostenuto dalle colonne portanti delle libertà economica e politica, del multilateralismo e delle istituzioni internazionali, dagli accordi e partnership con i paesi alleati. Non a caso Smith è stato protagonista del Congressional Caucus for Effective Foreign Assistance volto a promuovere il soft power americano nel mondo.

Il tutto per contrastare lo spettro di un crescente autoritarismo che si aggira per il globo: un rifiuto esponenziale delle libertà da parte di leader quali Putin, Xi ed Erdogan. Per sviluppare un messaggio coerente in politica estera che unisca democratici e repubblicani rispetto a Cina, Russia e Medio Oriente, Smith ha contribuito alla costituzione della Future of Defense Task Force.

Realtà bipartisan che raccoglie esponenti delle commissioni difesa delle due ale del congresso, analizza le sfide future per la sicurezza e la difesa, anticipando quali capacità gli Stati Uniti dovranno sviluppare per rimanere competitivi. Priorità all’estero della Hasc sono anche il continuo sostegno alla European Defense Initiative e alla Pacific Deterrence Initiative. Al contrario in Medio Oriente Smith ritiene che gli USA debbano portare avanti il loro disimpegno, per mettere in sicurezza le truppe americane e fare più affidamento su alleanze, aiuti allo sviluppo e diplomazia.

Prevenire i conflitti fornendo forti deterrenti. Ecco come Smith intende rispondere alle minacce russa, nord coreana ma, soprattutto, cinese. L’obiettivo è concentrarsi sulla deterrenza, non sulla supremazia militare capace di vincere una hot war. Come gli Usa, anche la Cina sa quanto un conflitto armato aperto sia troppo costoso.

La comunicazione è il fattore chiave che deve connettere Cina e Stati Uniti durante la nuova great power competition, come fecero a suo tempo Reagan e Nixon con i sovietici, pena una novella fog of war o una “trappola di Tucidide” à la Allison. Inoltre Smith ricorda come i war games realizzati dall’Office of Net Assessment abbiano mostrato negli ultimi 6-7 anni quanto gli Stati Uniti faticherebbero in un confronto diretto con la Cina. Certamente la Cina può essere considerata “cattiva”, ma a che proposito? Se dogmaticamente non si accetta nulla della Cina, che si può fare? Attaccarla direttamente? Ovviamente non se ne parla.

Con il dragone si dialoga, riconoscendogli a torto o ragione un ruolo globale importante. Contenimento è la parola giusta, come anche compromesso, termini che Smith mestamente riconosce essere caduti in disuso. Per questo è sbagliato sostenere la semplice costruzione di un esercito che realizzi una supremazia in grado di dominare la Cina.

Non sarà solo la forza militare a battere il colosso asiatico, ma la deterrenza, attraverso alleanze regionali con paesi alleati che contrastino l’influenza avversaria ed impediscano l’indebolimento delle istituzioni internazionali. La presenza globale della difesa americana fornisce proprio la capacità per rinnovare le alleanze. La competenza e capacità delle forze americane sono un grande strumento negoziale nel dialogo con paesi che presentano gravi problemi di sicurezza: possono infatti intervenire ed essere di supporto per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze locali.

Per ciò che attiene l’immenso budget della difesa americano (740,5 Miliardi di dollari secondo la NDAA 2021), Smith insiste affinché tale ingente somma sia spesa in maniera più efficace ed efficiente. Durante l’incontro con Brookings ha sottolineato l’incredibile numero di fondi utilizzati per sviluppare sistemi d’arma che poi non si sono mostrati all’altezza delle aspettative. Smith insiste da tempo affinché il programma F35 venga sospeso, o per lo meno profondamente rivisto. I costi di mantenimento degli F35 sono per Smith “brutali”. A sua detta, la United States Air Force (USAF) necessita di un mix di velivoli economicamente più accessibile, sia sotto il profilo del loro sviluppo che dell’ammodernamento.

Secondo Smith c’è una diffusa tendenza da parte dei policy makers ad affidarsi sul quantum degli interventi necessari: per affrontare i problemi si opta semplicemente per un aumento del budget disponibile. La domanda essenziale deve essere cosa la difesa statunitense sta cercando di ottenere, dove vuole arrivare: ecco il punto di partenza per capire come allocare budget. Ma questa ossessione per i “numeri” non è l’unica variabile utile. Infatti è necessario che venga fatta una più profonda riflessione sul “come” i fondi vengono utilizzati. Smith riporta due simpatici adagi in tal proposito: “I have not yet come across the entity that can’t be cut by 10% and get better at what it does” e il secondo “Gentleman are out of money, now we have to think.”

Il processo di procurement e acquisizione del DoD appare particolarmente complesso e farraginoso. È centrale migliorare l’acquisizione di nuove tecnologie, rispetto a processi di approvvigionamento troppo lunghi, che rendono obsoleta ogni tecnologia quando diviene operativa. La riforma delle acquisizioni deve superare il gap culturale che divide il Pentagono e bacini di capitale umano come le Silicon Valley: il problema è una burocrazia impenetrabile che dovrebbe invece essere più intelligibile e rapida. Nella Silicon Valley incoraggiano il fallimento, al Pentagono lo esorcizzano. Sarà funzionale dare più libertà e responsabilità ai funzionari di livello intermedio che si occupano dei programmi di procurement della difesa americana.

La parola chiave deve essere “risultato”, non più “processo”. La guerra dell’informazione riguarda la qualità degli output, non la quantità dei medesimi. Le rigidità amministrativo-burocratiche e l’ossessione per le “checklists” devono essere abbandonate. I sistemi d’arma dovranno essere sempre più durevoli, resilienti e adattabili, senza dimenticare la prioritaria protezione dei sistemi di comando e controllo (C2).

Infine, dall’incontro con Brookings emerge il tema più saliente relativo alla già menzionata deterrenza per il contenimento della Cina, ma anche della Nord Corea: la modernizzazione della triade nucleare americana, fondamentale per scongiurare un rischio di guerra atomica. Sono sei i fattori su cui si può intervenire per un suo ammodernamento: i sottomarini con missili balistici; i bombardieri strategici; i missili balistici intercontinentali (Icbm); i sistemi di comando e controllo; missili balistici stealth a lungo raggio (Lrso); le risorse del Dipartimento dell’energia (DoE) per la realizzazione di nuove testate nucleari.

Secondo Smith la priorità deve essere data ai sistemi di comando e controllo, discordando dalle recenti dichiarazioni di James Inhofe (R-Ok) — Ranking Member della Senate Armed Services Committee (Sasc) —  e Mike Rogers (R-MI) — Ranking member nella Hasc, che sostengono la necessità di un aumento del numero di testate atomiche e di una spesa generale di ammodernamento dell’arsenale nucleare del valore di 1,5 trilioni di dollari.

 

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