Skip to main content

Quale futuro per Renzi. La bussola di Ocone

Matteo Renzi domani si presenterà all’assemblea del suo partito come colui che ha portato a Palazzo Chigi Mario Draghi, ma anche come colui che ha meno incassato in dividendi e anzi ha più perso in peso politico col nuovo governo. E dovrà scegliere dove collocarsi. La bussola di Corrado Ocone

Strani paradossi della politica: Matteo Renzi domani si presenterà all’assemblea del suo partito come colui che ha portato a Palazzo Chigi il da tutti (o quasi) elogiato Mario Draghi ma anche come colui che ha meno incassato in dividendi e anzi ha più perso in peso politico, attuale e probabilmente anche futuro, col nuovo governo. Sicuramente fra i suoi ci sarà un po’ di malumore: per chi ha perso ministeri e sottosegretariati, ma anche per chi sa che da ora in poi il partito potrà mettere sul tavolo solo la sua forza esigua non avendo più quel surplus di potere che lo rendeva indispensabile alla vecchia maggioranza.

Renzi è però troppo politico, e troppo capace di volgere in positivo anche le situazioni avverse, per non supporre che qualcosa di nuovo certo presto si inventerà. Verso questo “nuovo”, sia o non sia la “mossa del cavallo” teorizzata in un suo (peraltro non indimenticabile) libro, la riunione di domani sarà probabilmente interlocutoria. Anche perché Renzi dà l’impressione di non avere ancora individuato una linea d’azione e di stare un po’ aspettando anche le mosse degli altri attori politici. Quel che è sicuro, è che, a livello di collocazione politica, nulla è scontato, nemmeno un dialogo con l’altro Matteo, quel Salvini che solo un anno e mezzo fa veniva descritto come alternativo non in senso politico ma addirittura morale.

Ma, in politica, si sa, la coerenza è un optional, o almeno si giudica con altri criteri che non quelli della fedeltà a ciò che si dice. E da questo punto di vista, anche se Renzi si è fatto una “cattiva fama”, la “malattia” è un po’ generalizzata e bisogna solo prenderne atto. Ecco allora che il problema della collocazione politica si intreccia con quello dell’identità del partito, che Renzi, al contrario dei democratici, ha già da un bel po’ di tempo risolto. Che si tratti di un partito di ispirazione riformistica, liberal, e quindi attento ai cosiddetti “diritti”, da una parte, e alla libertà d’impresa e economica, dall’altra, nessuno può metterlo in dubbio. Ma le perplessità sorgono invece sulla collocazione “centrista” e autonoma rispetto ai due grandi poli di centrodestra e centrosinistra.

Se, come sembra, l’ipotesi zingarettiana (e contiana) di una legge elettorale proporzionalistica si allontanerà sempre più, è evidente che per Renzi si porrà il problema di aderire in maniera più organica a quell’alleanza che dovrebbe avere nei dem e nei grillini l’asse portante. L’intenzione di Enrico Letta sembra, infatti, quella di conservare l’intesa abbozzata e perseguita dalla vecchia guardia  (anche se forse con una coloritura meno “strategica” rispetto a quanto aveva in animo Nicola Zingaretti) e di unire, in una sorta di Ulivo in miniatura, tutte le componenti oggi presenti nel Pd. La scelta di due vicesegretari facenti riferimento uno all’area liberal (alla quale per formazione egli dovrebbe essere più vicino) e l’altro a quella socialistico “di sinistra” risponde a questa logica e va letta in questa chiave.

Per Renzi, così come (in diverso modo) per Carlo Calenda ed Emma Bonino, si porrà presto perciò il problema del senso ultimo di un’autonomia collocantesi in un centro tutto sommato piccolo e irrilevante. La quale, solo in minima parte, potrà essere giocata in futuro nella tradizionale ottica dei “due forni”, cioè scegliendo di volta in volta secondo convenienza se allearsi a destra o a sinistra. Molto però dipenderà anche dalle evoluzioni della Lega, la quale, se difficilmente potrà seguire Renzi sul politically corrrect di certe battaglie per i “diritti”, si trova sempre più a suo agio nel ridar voce al mondo produttivo, soprattutto del Nord, che in qualche modo rappresenta ancora oggi la sua constituency principale.

Intanto, in questa fase interlocutoria i “due forni” fanno comodo a Renzi, il quale su almeno tre punti si sta muovendo in accordo con Lega e Forza Italia: la riforma della giustizia in senso marcatamente “garantista”; una politica che argini il Covid, e favorisca la “ripartenza”, con meno lockdown e con più attenzione al mondo di imprenditori e privati; la messa in cantiere di opere infrastrutturali da lungo tempo ferme, a cominciare dalla realizzazione di quel Ponte di Messina che, oltre ad avere un valore simbolico e di immagine non indifferente per il nostro Paese, favorirebbe quei collegamenti rapidi della Sicilia con l’Italia (e l’Europa) che non potranno che aiutare l’economia non solo isolana. A tutto questo si aggiungano le alleanze “a fisarmonica” che già vengono delineandosi per le prossime comunali e amministrative, che dovrebbero slittare in autunno.

Nel breve periodo, e in attesa di eventi e scelte oggi non preventivabili, il tenersi in mezzo al guado di un partito che stenta ancora a decollare è comprensibile e giustificabile.


×

Iscriviti alla newsletter