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Democrazia a Hong Kong? Così Xi ha detto basta

Di Francesca Ghiretti

La stretta di Xi su Hong Kong e l’autosufficienza tecnologica. L’Assemblea nazionale del popolo analizzata da Francesca Ghiretti, ricercatrice nell’ambito degli studi sull’Asia presso l’Istituto affari internazionali

In vista dell’Assemblea nazionale del popolo l’attenzione degli osservatori quest’anno era focalizzata sul quattordicesimo piano quinquennale e sugli obiettivi di lungo termine per il 2035. Tuttavia, negli ultimi giorni dell’Assemblea, l’attenzione è stata catturata dalla riforma del sistema elettorale di Hong Kong.

Se la precedente legge sulla sicurezza nazionale aveva di fatto messo fine all’autonomia giuridica dell’isola, la riforma, passata in maniera preponderante anche per lo storico dell’Assemblea, chiude ufficialmente la stagione democratica di Hong Kong. Dopo gli eventi del 2020, c’erano pochi dubbi sul fatto che si sarebbe arrivati a questo punto.

Pechino e il presidente Xi Jinping hanno dimostrato la loro determinazione non solo a riunire la Cina sotto il controllo di Pechino. Ma soprattutto a dimostrare che Pechino non si fa influenzare dalle pressioni esterne – specialmente per questioni che considera interne. In tutta onestà, anche se si fossero prese misure più severe per “punire” Pechino delle decisioni prese nei confronti di Hong Kong, si sarebbe comunque arrivati qui. Dopotutto, è chiaro che il presidente Xi abbia evidenti tendenze centralizzanti che non sembrano diminuire con il tempo. Anzi…

A tal proposito vi è poi il secondo grande protagonista dell’Assemblea: l’autosufficienza tecnologica. È tanto prevedibile quanto lampante che il focus futuro dell’economia cinese sarà sulla riduzione, soprattutto in ambito tecnologico, delle proprie dipendenze dagli altri Paesi senza però isolarsi, poiché lo sviluppo economico della Cina ha bisogno di connessioni con l’esterno, l’idea è che queste diventino più selettive.

Sebbene questo possa sembrare in contraddizione con il recentemente concluso accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina (Cai), la verità è che alcune delle aperture previste dal piano quinquennale – soprattutto in materia di investimenti diretti – sono simili a quelle ottenute dall’Unione europea. Quelle del Cai sono più precise e in alcuni casi pensate ad hoc per le imprese europee, com’è normale che sia. Ma è risaputo che con pochissime eccezioni la Cina tende a liberalizzare settori dove le sue imprese hanno già una presenza ben stabilita e quindi dove imprese estere possono entrare ma non presentare una reale competizione per quelle autoctone. In alterativa, storicamente, l’accesso – spesso attraverso joint-venture – era garantito a imprese con specializzazioni di cui la Cina mancava.

Resta da vedere fino a che punto la Cina spingerà per l’autosufficienza tecnologica e soprattutto come si materializzerà questo approccio selettivo nei confronti dell’economia globali e di attori esteri.

Tuttavia, una strategia di questo tipo, sicuramente in primis, incoraggia altri attori, inclusa l’Unione europea, a muoversi sulla stessa linea – anche se in maniera più moderata – nei confronti dell’autonomia tecnologica e in secondo luogo, potrebbe creare ulteriori complicazioni nel dibattito riguardo future riforme di organizzazioni multilaterali come la necessaria riforma dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Riforma voluta sia dalla Cina che dall’Unione europea, ma il tipo di riforma che i due vogliono potrebbe non coincidere.

(Foto: Cop Paris, Flickr)

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