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Francesco in Iraq, una luce nella notte del mondo. Scrive Milone

Di Massimo Enrico Milone

Icona planetaria di fraternità e solidarietà, il papa “venuto quasi dalla fine del mondo” ha sorretto e sorregge, con il suo Magistero, fatto di gesti, incontri, documenti, discorsi, una umanità che deve riscrivere, lottando contro il virus omicida ma anche alle prese con devastanti crisi economiche e sociali, il nuovo alfabeto della convivenza. Tra popoli, tra comunità, tra persone. L’intervento di Massimo Enrico Milone, direttore Rai Vaticano

È ancora notte del mondo. Con il suo inquietante carico di morti, paure, crisi economiche, relazioni sospese. La pandemia non dà tregua. E interroga, oltre alla scienza, anche il pensiero. Credenti e non credenti, tutti in crisi d’identità, cercano parole di certezza e speranza.

Icona planetaria di fraternità e solidarietà, il papa “venuto quasi dalla fine del mondo” ha sorretto e sorregge, con il suo Magistero, fatto di gesti, incontri, documenti, discorsi, una umanità che deve riscrivere, lottando contro il virus omicida ma anche alle prese con devastanti crisi economiche e sociali, il nuovo alfabeto della convivenza. Tra popoli, tra comunità, tra persone. In un mondo che dovrà essere, e sarà, diverso. Con le encicliche “Laudato si’” e “Fratelli tutti”, la possibile scelta di campo che papa Francesco prospetta all’umanità: tutela del Creato, attenzione alle periferie, fraternità, dialogo e rispetto tra culture e religioni diverse. È un processo lungo, complesso, non privo di ostacoli.

Ora, con il viaggio in Iraq, sulle orme di Abramo, papa Francesco sfida fondamentalismi, terrorismo, guerre, divisioni di portata storica. E, nonostante la pandemia, pur nella massima attenzione alla prevenzione (in aereo papale tutti vaccinati), venerdì mattina vola a Baghdad, scrivendo una pagina che è già Storia della Chiesa e del mondo. È il primo viaggio internazionale del papa nell’era pandemica. È il viaggio più difficile e importante del suo pontificato. Vicinanza ai cristiani, minoranza martire, sostegno alla ricostruzione del Paese, devastato da guerra e terrorismo, mano tesa ai fratelli musulmani.

Papa Francesco realizza il sogno di Giovanni Paolo II. I cristiani iracheni attendevano il papa dal 1999, da quando San Giovanni Paolo II immaginò un breve pellegrinaggio a Ur dei Caldei. Voleva partire da Abramo, padre comune di ebrei, cristiani e musulmani, il papa polacco, per parlare al mondo. Ma in tanti, con Saddam Hussein al potere, sconsigliarono il viaggio. Il presidente iracheno era contrario. E il viaggio non avvenne.

Tanti eventi da allora. Innanzitutto, la crudele sfida dell’Isis ai cristiani. Poi le guerre. Poi le devastazioni di intere città. Poi il terrorismo. E ancora, il quadro mondiale mutato completamente. Con nuovi potenti, vedi la Cina, che manovrano finanza e politica.

Ora arriva Francesco, che, tra l’altro, andrà proprio a Ur, nella città da cui partì il patriarca Abramo. Pregherà insieme ai credenti di altre fedi religiose per ritrovare le ragioni di una convivenza tra fratelli. Oltre le fazioni, le etnie, le divisioni, le lacerazioni. La visita, seppur blindata (il popolo iracheno sarà presente solo alla Messa nello stadio di Erbil, papa Francesco viaggerà in auto coperta, quasi certamente blindata), sarà un messaggio al Medio Oriente tutto e al mondo.

“Il papa vuole lanciare un messaggio verso il futuro”, ha sottolineato, nei giorni scorsi, il Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin. In Iraq risiede una delle comunità cristiane più antiche che porta nel suo corpo le ferite di guerre, violenze, terrorismo e povertà.

“Ci si deve mettere insieme per ricostruire il Paese, per sanare tutte queste piaghe, per ricominciare una nuova tappa”, ha spiegato il capo della diplomazia vaticana che, tre anni fa, visitò il Paese lanciando un monito: “I cristiani e i musulmani sono chiamati a illuminare le oscurità della paura e del non-senso”. Ora, arriva il papa della “Fratelli tutti”. Il papa del Documento sulla Fratellanza di Abu Dhabi. Il papa che, più che mai, nella notte di un mondo stremato dalla pandemia, ci ha ricordato costantemente “di essere figli dello stesso padre”.

Digiuni e preghiere, in Iraq, aspettando Francesco. Luce nelle tenebre. Per dissipare le tante oscurità che, in Iraq ma anche in larga parte del Medio Oriente, sono ostacoli reali per una convivenza pacifica. Papa Francesco visiterà luoghi di persecuzione, di martirio, di ricostruzione. Particolarmente significativo l’incontro con il grande Ayatollah al-Sistani. Una delle personalità più importanti del mondo sciita.

La sintesi del significato del viaggio, come ha illustrato il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, risiederà così in due parole: fraternità e speranza. Era stato lo stesso Papa Francesco, l’otto gennaio scorso, a parlarne al corpo diplomatico, riferendosi anche alla pandemia in atto. Disse: “Fraternità e speranza sono medicine di cui oggi il mondo ha bisogno, al pari dei vaccini”. Dunque, si parte. Per “un gesto d’amore per i cristiani nella regione, un po’ estremo”, ha spiegato Bruni ai vaticanisti.

È il trentatreesimo viaggio internazionale di Papa Francesco. Ha nel cuore la sollecitudine per i cristiani, netta minoranza, che si trovano in Iraq, ha presente il forte spirito di condivisione e di dialogo tra diverse religioni che si concretizzerà nell’incontro ecumenico a Ur, ha presente che essere e parlare in Iraq, seppur in soli incontri istituzionali, senza popolo, per la pandemia e il conseguente lockdown, significa, in una visione geopolitica, parlare di Siria, di Iran, di Turchia. Con tutte le inquietudini politiche, culturali, sociali che attraversano questi Paesi.

Accompagnerà il papa l’icona della Madonna di Loreto. E sull’aereo papale, a rappresentare i lavoratori del Vaticano, come da tradizione, ci sarà un infermiere. Una presenza fortemente simbolica, mentre il mondo affronta la pandemia.

In italiano i sette discorsi previsti per il papa. Il primo evento in un luogo simbolo della Chiesa irachena, la cattedrale siro-cattolica di Baghdad. Qui, il 31 ottobre del 2010, un gruppo di terroristi sferrò un attacco in cui rimasero uccisi 48 fedeli. Oggi, c’è una lunga striscia di marmo che dall’altare arriva al sagrato, ricordo di quel martirio, di quel sangue versato.

Poi, tra l’altro, a Qaraqosh, a Erbil, a Mosul, nella piana di Ninive. Altri momenti forti di preghiera e di silenzio. Per un evento, il viaggio del pontefice, che il patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphaël Sako, definisce “straordinario”.

Per il patriarca, “il papa verrà a dire – ha spiegato – basta guerra, basta violenza, cercate la pace e la fraternità e la tutela della dignità umana”. Francesco porterà conforto e speranza a un intero popolo. E, ancora una volta, nella notte del mondo, accenderà una luce per l’umanità tutta. È scritto nella preghiera preparata dai cristiani iracheni aspettando il papa: “Signore, nostro Creatore, illumina con la tua luce i nostri cuori, affinché vediamo il bene e la pace e iniziamo a realizzarli”.

Francesco è pronto, con la sua paternità, ad accendere quella luce. E far vivere al mondo intero uno dei punti più alti del suo rivoluzionario pontificato. Indicando la fraternità quale metodo anche per le relazioni internazionali. Superando gli ostacoli delle crisi che attraversano un mondo che altrimenti, e non solo per la pandemia, rischia di implodere. Sarà possibile?



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