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La Nato è viva e guarda al 2030 con De Maizière, Mitchell e Dassù

Autonomia strategica, fronti esterni e sfide interne. Tre coautori del report Nato 2030 discutono del rinnovo dell’Alleanza nella cornice del dibattito promosso dal German Marshall Fund

In un mondo in cui si assiste a un riassetto degli equilibri geopolitici, in cui la Cina e la Russia assumono posture più aggressive e diventano rivali sistemici dell’Occidente, l’Alleanza Atlantica – che il presidente francese Emmanuel Macron chiamò “morta cerebralmente” – deve sapersi reinventare. Consapevoli di questa urgenza, nel dicembre del 2019 i leader Nato diedero al segretario generale Jens Stoltenberg il compito di produrre una riflessione in tal senso. Questo chiamò a raccolta un gruppo di 10 esperti, di provenienze e idee diverse, e li incaricò di arrivare a delle conclusioni.

Il risultato, un report intitolato “Nato 2030”, contiene le linee guida per ridefinire l’intera operazione nell’orizzonte dei prossimi dieci anni. Una sorta di risposta alle critiche di Macron e di tutti coloro che considerano l’Alleanza obsoleta. E a inizio marzo l’autorevole think tank German Marshall Fund ha voluto riunire tre esperti di quel gruppo di lavoro – il tedesco Thomas De Maizière, l’americano Wess Mitchell e l’italiana Marta Dassù – per commentare i ritrovamenti chiave.

Anzitutto il rapporto “non è un esercizio di think tank, ma una serie di raccomandazioni di azioni possibili” ha specificato De Maizière, già ministro della difesa e degli interni sotto la cancelliera Angela Merkel. Già il fatto che il gruppo di lavoro sia stato chiamato rappresenta una svolta, ha continuato, perché il dialogo stesso è venuto meno all’interno della Nato per evitare l’emergere di contrasti. Ma l’Alleanza deve tornare a essere quel luogo di confronto, ha detto il politico, perché solo da lì potrà sgorgare il cambiamento necessario.

Si tratta appunto di ripensare il ruolo complessivo della Nato, ha commentato Mitchell, che ha lavorato come diplomatico durante la presidenza di Donald Trump ed è fondatore del Center for European Policy Analysis (CEPA). Dopo trent’anni in cui l’egemonia americana non è mai stata messa in discussione (e in cui la Nato “ha avuto il lusso” di non doversi adeguare), “il mondo sta entrando in un’era di rivalità geopolitica più intensa. Questa è una realtà empirica”, ha detto l’americano.

La Cina è equipaggiata per superare gli Usa in ogni ambito, potenza militare inclusa, nei prossimi dieci anni. La sfida più grande per Washington – a prescindere da presidenze e correnti di pensiero diverse – sarà inevitabilmente nella regione indopacifica, ha spiegato Mitchell, ossia dove andranno a finire la maggior parte dell’attenzione e delle risorse americane. È perciò essenziale definire una nuova dimensione strategica dell’Europa, una maggiore responsabilità riguardo ai dossier russi, africani e mediorientali. Questa divisione dei compiti deve necessariamente operare con “simultaneità strategica”, ha concluso l’americano, affinchè la Nato possa agire efficacemente su tutti i fronti.

D’accordo anche Dassù, senior director per gli Affari europei dell’Aspen Institute (la quale ha già raccontato a Formiche.net la sua visione del report) che dal canto suo ha voluto concentrarsi sul fil rouge da seguire. Sbagliato parlare di fronte orientale e meridionale della Nato, secondo l’esperta, perché i dossier oramai sono interconnessi: la presenza russa e cinese nel Medioriente e nei Paesi mediterranei ne è la prova. Occorre dunque una strategia a tutto campo per un fronte unico in cui operare efficientemente. Non si possono contrastare efficacemente i grandi rivali se non si pensa anche alle altre regioni, perché solo allora si potrà, ad esempio, affrontare alla radice il problema che rappresenta la Turchia per l’Alleanza.

La definizione delle priorità della Nato, dunque, è la chiave di volta. Ma una parte del problema è burocratica: i Paesi europei sembrano in disaccordo anche sulle questioni fondamentali, ha commentato Mitchell, come la definizione di autonomia strategica o qualora rafforzare l’apporto europeo all’Alleanza. Ma come ha fatto notare Dassù, parlare di autonomia strategica in campo difesa, “strettamente, non ha senso”. La visione francese (di un’Ue più indipendentista rispetto alla Nato) non è popolare tra gli altri Paesi, ha detto l’esperta: basta guardare alle posizioni condivise dalla cancelliera Merkel e dal premier italiano Mario Draghi, che auspicano una complementarità con l’America in seno alla Nato.

“Bisogna smetterla con le parole rumorose e senza sostanza”, ha chiosato De Maizière, dopo aver sottolineato che è impossibile pensare di fare a meno degli americani (basti pensare al deterrente nucleare). Il consenso all’interno della Nato, ha continuato, è cruciale, ma non può diventare lo strumento con cui bloccare ogni iniziativa. Insomma, servono uno snellimento procedurale e una “bussola” ben definita, oltre a finanziamenti più consistenti da parte dei singoli Stati, ha concluso il tedesco.


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