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L’asse Cina-Russia si rinsalda (e tradisce nervosismo)

I ministri degli esteri di Pechino e Mosca si schierano assieme contro le sanzioni coordinate occidentali. L’alba di una nuova guerra fredda?

L’asse tra Cina e Russia si sta rinsaldando a fronte delle sanzioni coordinate di Ue, Usa, Canada, Giappone e Regno Unito sulle violazioni dei diritti umani da parte delle due potenze autoritarie. Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov si trova da lunedì in Cina, dove discute e rilascia comunicati stampa assieme alla sua controparte cinese Wang Yi.

Martedì Lavrov ha dichiarato che le sanzioni occidentali stanno avvicinando Russia e Cina e ne ha criticato l’uso strumentale da parte dei Paesi occidentali col fine di “imporre le loro regole su tutti gli altri, [regole] che secondo loro dovrebbero sorreggere l’ordine mondiale”.

Wang, da parte sua, ha detto che i Paesi “dovrebbero unirsi per opporsi a tutte le forme di sanzioni unilaterali […] che non saranno accolte dalla comunità internazionale”. In un comunicato congiunto emesso dopo la conferenza stampa i due hanno dichiarato che nessun Paese dovrebbe imporre la propria forma di democrazia sugli altri; “interferire negli affari interni di una nazione sovrana con la scusa di ‘far progredire la democrazia’ è inaccettabile.”

I due Paesi erano rivali comunisti durante la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Negli scorsi anni si sono avvicinati per antitesi all’ordine mondiale guidato dagli Usa, eterno rivale della Russia e recentemente anche della Cina. Oggi esistono forti legami militari, tecnologici, di ricerca e di scambio di risorse naturali, per non parlare dell’affinità politica tra il partito unico del presidente Xi Jinping e l’autoritarismo dello zar Vladimir Putin.

Va detto che questi legami non si sono mai tradotti in un’alleanza formale. Le due potenze tendono a perseguire i loro obiettivi in politica estera senza disturbarsi a vicenda. Ma la crescente durezza dei Paesi occidentalizzati (includi quelli in Oriente come Australia e Giappone) nei confronti dei diritti che Russia e Cina calpestano – ricordiamo l’annessione della Crimea e l’avvelenamento di Alexei Navalny da una parte, la repressione di Hong Kong e i campi di “rieducazione” dello Xinjiang dall’altra – sta portando Mosca e Pechino a pensare alle contromisure.

Il ritorno dell’America di Joe Biden sulla scena multilaterale ha catalizzato un processo in moto, seppur lentamente, da diversi anni. Il presidente americano ha promesso continuità con la linea trumpiana anticinese, con la radicale differenza di voler coinvolgere gli alleati. I segnali si moltiplicano: si rinsalda il Quad, a cui si avvicina anche l’Europa, che a sua volta sta ritrovando la sintonia con gli Usa e la Nato. Le sanzioni coordinate sono la prova più evidente dell’Occidente che si ricompatta.

Si parla (non a caso) di una vera e propria nuova guerra fredda. I due blocchi in via di formazione, quello sino-sovietico e quello occidentale allargato, vedono contrapporsi gli autoritarismi e gli ideali democratici oltre agli interessi nazionali, politici ed economici degli attori in campo. E se l’obiettivo dichiarato di Cina e Russia è sfuggire al “dominio occidentale” e spingere per un mondo multipolare, il loro serrare i ranghi tradisce il nervosismo di un’alleanza più concreta tra le democrazie più grandi.

“Ci sono pochi dubbi dove si collochino l’Europa, o l’Italia su questa discriminante. L’equidistanza non è un’opzione”, scrive su Formiche.net Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi e rappresentante permanente dell’Italia alla Nato. “La rapidità e goffaggine della risposta di Pechino [alle sanzioni occidentali, ndr] rivelano sia il nervo scoperto dell’impotenza a nasconderle, sia il timore fondamentale: un fronte comune fra Washington e Bruxelles in funzione anticinese”.

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