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Diritto alla felicità, dialogo tra Letta e Cucinelli sul futuro dell’etica

Che il diritto alla felicità abbia una sua legittimazione costituzionale. Un progetto ambizioso quello di Romana Liuzzo, presidente della Fondazione Guido Carli che ha organizzato ieri per discuterne una Lectio magistralis a due voci sul futuro dell’etica tra Gianni Letta, presidente onorario della Fondazione Guido Carli e Brunello Cucinelli, imprenditore e stilista. Tra i partecipanti il sindaco di Roma Virginia Raggi, Vincenzo Boccia e Paola Severino, presidente e vicepresidente della Luiss Guido Carli

Il diritto alla felicità, con l’etica in sottofondo. “Se la felicità non esiste, cos’è dunque la vita?”, si chiedeva Leopardi, mentre Montale affermava “tu felicità, agli occhi sei barlume che vacilla, al piede teso ghiaccio che si incrina”. Non c’è niente di meglio della poesia per leggere e interpretare i sentimenti umani, ha ricordato Gianni Letta, in occasione della Lectio magistralis sul futuro dell’etica a cui il presidente onorario della Fondazione Guido Carli ha preso parte insieme a Brunello Cucinelli, imprenditore e stilista. Tra i partecipanti dell’evento organizzato da Romana Liuzzo, presidente della Fondazione Guido Carli, c’erano il sindaco di Roma Virginia Raggi, Vincenzo Boccia e Paola Severino, presidente e vicepresidente della Luiss Guido Carli.

Ma è l’etica che detta e orienta i comportamenti. L’etica, definita dai dizionari filosofici come “la scienza della condotta umana, intesa come dottrina del fine a cui tende il comportamento e dei mezzi atti a raggiungere quel fine”. Ecco perché in molti si sono industriati per vedere come raggiungere questo fine arrivando al diritto alla felicità inserito dai Padri fondatori americani il 4 luglio 1776. È stata la prima volta che il diritto alla felicità ha trovato ospitalità solenne nella Costituzione e da allora molti paesi hanno inserito un riferimento alla felicità nelle loro Carte costituzionali. Da qui, la proposta di Romana Liuzzo di inserire in un comma dell’articolo 3 della Costituzione la felicità affinché trovi lì la sua legittimazione.

IL DIRITTO

Nell’azione dei padri costituenti americani c’era l’influsso dell’illuminismo, c’era l’eco di Rousseau, ha ricordato il presidente Letta, ma c’era anche uno spirito tipicamente italiano, un lampo che esalta la vivacità dell’ingegno napoletano. La bozza della Dichiarazione fu infatti inviata a Gaetano Filangieri il quale sostituì quello che era inizialmente il diritto alla proprietà con il diritto alla felicità come realizzazione di un governo giusto, in grado di creare la felicità nazionale e non personale. L’identificazione della felicità come un bene comune, una felicità non pensata e vissuta come stato emotivo ma come riflesso psicologico e spirituale di una felicità sociale, presupposto dell’armonica convivenza di una società e substrato di un’etica di valore.

Ed è proprio questo valore, ha sottolineato Letta, che ha guidato il lavoro e lo spirito di Brunello Cucinelli che ha inventato il capitalismo umanistico riuscendo a coniugare e connettere principi e valori con l’attività economica dell’impresa, questo rappresenta il presupposto della felicità. L’imprenditore ha una grandissima fiducia nell’avvenire e “spero che questo sia il migliore auspicio e sostegno per il nostro presidente Draghi nell’augurio che porti il nostro paese verso quel futuro radioso che Cucinelli ci fa vedere”, ha detto il presidente.

L’ASPIRAZIONE

La felicità non si raggiunge in forza di una norma ma in relazione alla condizione sociale ed economica di tutti, ha affermato Romana Liuzzo. E partendo da questo principio Brunello Cucinelli ha esposto la sua idea di aspirazione alla felicità, più che un diritto una ricerca della felicità spirituale, morale ed etica, per essere vivi in un mondo migliore.

Il sogno di Cucinelli è stato fin dall’inizio quello di rendere dignità economica ed etica al lavoro, fare profitti ma farli con senso morale affinché rechino il minor danno possibile all’umanità. Forte dei valori legati alla terra, alla famiglia, ispirandosi agli occhi lucidi di suo padre un tempo, e oggi a quelli fiduciosi dei suoi dipendenti, l’imprenditore ha saputo fondare il suo lavoro quotidiano sulla stima, che genera responsabilità e a sua volta creatività ed è riuscito a prendere tre decisioni importanti, nel periodo difficile della pandemia. Non licenziare nessuno dei suoi collaboratori e garantire lo stesso stipendio dell’anno precedente, non chiedere sconti e far sì che tutto quello che è in sovrappiù sia destinato a un progetto importante per l’umanità.

L’anno della pandemia, per Cucinelli, ha rappresentato un anno di dolore ma anche di incoraggiamento a riscoprire la nostra parte spirituale, per comprendere quanto sia importante credere in noi stessi e nelle nostre potenzialità, per tornare a investire in ideali belli e far sì che i giovani ricomincino a credere nella speranza invece che nella paura. Senza perdere la fiducia, ricordando che siamo i migliori competitori al mondo e dobbiamo credere nel valore della nostra Italia, nella costanza delle famiglie italiane con i loro risparmi, nella potenza dei prodotti manifatturieri, e insieme dobbiamo tornare a credere nello Stato.

L’APPRODO ALLA FELICITÀ

Nell’ultima relazione di Mario Draghi alla Banca d’Italia l’allora governatore indicò nella parte finale un aspetto sottovalutato, ha ricordato Vincenzo Boccia, che è l’antitesi della felicità: uno dei mali dell’economia è l’ansietà definita come la trepidazione, l’apprensione prodotta dall’incertezza o dal timore di qualche evento.

È necessario realizzare una società fatta di cittadini corresponsabili, inclusiva ed aperta, ha affermato Boccia. “La nobiltà della politica è proprio la definizione dei fini, di dove voglia arrivare, non è scontato che un’economia forte determini una società più giusta: tuttavia l’economia forte è la precondizione determinante per realizzare una società aperta e inclusiva”.

Il tema della felicità, soprattutto oggi alla luce della crisi sanitaria, economica e sociale si è trasformato in un percorso tortuoso e ricco di insidie, ha detto Virginia Raggi. La felicità non è qualcosa di tangibile ed è un concetto estremamente ampio, che necessita di un substrato di base, quello di riuscire a garantire la libertà, l’uguaglianza e la possibilità di ciascuno di noi di affermarsi all’interno della società sono precondizioni necessarie.

Nonostante la pandemia e le difficili prospettive, ha concluso il sindaco, siamo tutti tesi a guardare con fiducia al futuro attraverso la ricostruzione dei nostri legami, dei piani economici e una riprogettazione del domani. “L’obiettivo è quello di tendere alla felicità, anche se è complesso definire cosa sia la felicità ci stiamo già muovendo verso un nuovo stato di felicità o comunque di benessere collettivo dopo il Covid”.

Una ricostruzione che passa anche e soprattutto attraverso l’istruzione. Qual è il ruolo dell’università rispetto ai giovani, per renderli partecipi del bene comune? Primo Levi, ha ricordato Paola Severino, spiegava come amare il proprio lavoro costituisca la migliore approssimazione concreta di felicità sulla terra. Ed è proprio questo che è necessario trasmettere agli studenti, il lavoro non come fatica ma raggiungimento della felicità. In questo senso il ruolo dell’università risiede nell’aiutare gli studenti a scegliere quello che preferiscono. “Questo è il senso dell’umanesimo dell’Italia e della sua capacità di assumere come punto di partenza un momento di grande difficoltà”.



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